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Il sonno della ragione

Recensione a:
Autori Vari
Filosofi in ciabatte. Divagazioni filosofiche ai tempi del Coronavirus

A cura di Mario Graziano
Corisco Edizioni, Roma-Messina 2020
Pagine 206

in il Pequod , anno 1, numero 2, novembre 2020, pagine 54-57

La filosofia, che si presenti in ciabatte (Armchair Philosophy) o in cattedra, ha il diritto e il dovere di rifiutare ogni superstizione, di demistificare ogni tesi che si ponga come assoluta, sempre vera, portatrice del Bene. Di demistificare anche la vita quando essa si presenta separata da ogni altro elemento del mondo. Il libro che ho recensito è nato su iniziativa del Coordinamento della Ricerca Italiana delle Scienze Cognitive e costituisce una indagine plurale e da diverse prospettive sugli aspetti più controversi della situazione nella quale da più di un anno siamo immersi. Nella recensione ho cercato di dar conto dei contributi che a me sono parsi più fecondi ma il testo è interamente e gratuitamente disponibile sul sito dell’editore.
La copertina del volume riproduce il capriccio numero 43 di Francisco Goya, dal titolo El sueño de la razón produce monstruos. I mostri dell’irrazionalità, dell’ignoranza, del terrore. Che si esprimono in una miriade di manifestazioni, decreti, articoli di stampa, programmi televisivi. E anche nelle gravi decisioni prese dalla Crus (Conferenza dei Rettori delle Università Siciliane), fondate su procedure poco scientifiche e socialmente rovinose. Ne ho parlato in un articolo pubblicato su corpi e politica e girodivite. Lo riproduco qui anche e soprattutto perché contiene la testimonianza struggente e concreta di una studentessa dell’Università di Udine.

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«Non sanno nemmeno che faccia abbiamo»
(14.1.2021)

Le gravi decisioni prese anche dalla Crus (Conferenza dei Rettori delle Università Siciliane, che meglio sarebbe rinominare Crux) sono fondate su procedure scarsamente scientifiche e socialmente esiziali, che abbiamo segnalato anche qui: Linguaggio, potere, epidemia.
Dopo aver letto questo articolo, il collega Alessandro Pluchino -fisico dell’Università di Catania- mi ha trasmesso un intervento di qualche tempo fa di Giorgio Parisi, fisico anch’egli e Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, il quale scrive, tra l’altro, che «come ha richiamato chiaramente la commissione COVID-19 dell’Accademia dei Lincei, in assenza di trasparenza, ogni conclusione diviene contestabile sul piano scientifico e, quindi, anche sul piano politico. Che senso ha decidere l’apertura o la chiusura delle Regioni basandosi su un numero non affidabile, con un’incertezza enorme?» (L’indice Rt è inaffidabile).
Anche per questo è grave e storica la responsabilità che i decisori politici e accademici si stanno assumendo con il mettere a rischio non soltanto i diritti degli studenti -i quali continuano a pagare ben reali tasse di iscrizione in cambio di un insegnamento e di servizi da dieci mesi soltanto virtuali– ma subiscono anche conseguenze assai dannose per la loro salute fisica e mentale, come documentano, tra gli altri, sia un testo che abbiamo già pubblicato di D., studente dell’Università di Catania sia quello più recente di una studentessa dell’Università di Udine:

«Buongiorno, stamattina sono qui per ricordarvi che gli studenti universitari non rientrano in ateneo da 11 mesi. Noto che anche dopo le feste nessuno si è degnato di considerare la categoria degli studenti universitari, totalmente abbandonata dalle istituzioni e da un ministro che ormai latita da un pezzo. In questi 11 mesi abbiamo continuato a pagare le tasse nonostante i problemi economici che tante famiglie avranno avuto e non è stato trovato uno straccio di soluzione. Sono 11 mesi che ci stiamo spersonalizzando davanti a un computer, ci sono docenti che non sanno nemmeno che faccia abbiamo e noi non sappiamo che faccia abbiano i docenti. L’Università con la U maiuscola è un posto dove si coltivano menti e si scambiano idee, menti e idee che non possono essere coltivate e scambiate tramite un pc, tramite una didattica a distanza che funge solo da palliativo per una situazione di agonia. Un paese che non si interessa del futuro dei suoi giovani è un paese vecchio, che si lamenta però quando quei giovani se ne vanno via per venire valorizzati in altri paesi. Io ormai sono esausta, stanca di sentire ogni giorno le stesse parole e di non ricevere risposte. Risposte che il paese mi deve e ci deve perché siamo anche noi cittadini, gli studenti universitari non sono studenti di serie B, sono studenti che meriterebbero un encomio per come hanno vissuto e gestito questa situazione, lasciati fondamentalmente ad “autogestirsi”. Sono momenti di vita che non ci restituirà nessuno, e non me ne vogliano i genitori di figli piccoli, però la laurea non capita tutti i giorni, la gioia di uscire dall’università dopo aver passato un esame difficile che ci stava addosso come un macigno, il poter avere un confronto diretto con i docenti e non dover sgomitare “virtualmente” su una piattaforma per farci sentire, la stesura della tesi (che vi lascio solo immaginare cosa significhi non avere il relatore vicino), sono tutti momenti che a nessuno è venuto in mente di considerare, e di considerare quanto per noi sia doloroso andare avanti così. Sto iniziando il mio secondo semestre del secondo anno di magistrale e quindi sto concludendo il mio percorso universitario davanti a uno schermo e non lo auguro a nessuno.
Rendo questo post pubblico se qualcuno volesse condividerlo (nel caso lo faceste ve ne sarei grata davvero). È uno sfogo diverso che affido ai social nella speranza che tanti si accorgano che anche noi esistiamo».
Fonte: pagina Facebook di Alessandra Peru (4.1.2021)

Mi sembra un testo davvero saggio e commovente, una testimonianza struggente, concreta e splendida da parte di una studentessa la quale ha compreso che cosa significhi essere parte della Communitas universitaria e di che cosa la stiano privando le irrazionali, contraddittorie, miopi scelte dei decisori politici e accademici, a partire da uno dei più discutibili, un soggetto politico e insieme accademico, il ministro dell’Università Gaetano Manfredi, che anche alla Federico II di Napoli, della quale è stato rettore, ricordano senza nostalgia.
Almeno Lucia Azzolina (laureata nel Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania) si è battuta, pur con scarsi risultati, per tenere aperte le scuole, mentre Manfredi è, come scrive la studentessa Peru, «un ministro che ormai latita da un pezzo».
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