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Risplendono estranei

Le società umane sono per loro natura tiranniche. E questo a causa di vari fattori, tra i quali: la struttura gregaria della specie; la paura come condizione di sopravvivenza; la stanzialità che favorisce la perpetuazione dei privilegi; il piacere profondo che nasce dal controllo della volontà altrui; la capacità di elaborazione e giustificazione ideologica delle ragioni e delle modalità del dominio. La libertà è dunque qualcosa di innaturale, infrequente, costruito, voluto e sempre da difendere nei confronti della legge d’inerzia dell’autorità e della servitù volontaria.
Anche per questo sono discutibili i tentativi di recenti correnti storiografiche di ridimensionare la libertà degli antichi Greci. Nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente antichi e anche nelle società contemporanee queste libertà rimangono delle eccezioni da conoscere, apprezzare e difendere. Non vanno infatti dimenticati almeno due elementi di tutta evidenza e di notevole gravità: il totalitarismo è un fenomeno del XX secolo e non del mondo antico; la capacità che i Governi contemporanei possiedono di controllare ogni istante della vita dei cittadini e di influenzarne pensieri, parole e opere, è incomparabile con quella di qualunque altra fase conosciuta della storia umana. E questo anche per ragioni semplicemente tecniche.
La libertà degli Elleni è confermata anche dal tomo che chiude la splendida opera curata da Salvatore Settis, il settimo complessivo dei quattro volumi che compongono I Greci.
Libertà nei confronti degli dèi, prima di tutto. I Greci arrivarono a concepire l’ἱλαροτραγῳδία, l’ilarotragedia, una sistematica e pesante presa in giro dei miti; arrivarono ad accusare esplicitamente gli dèi di ingiustizia nella concezione e conduzione delle cose umane; arrivarono a dubitare della loro stessa esistenza o li immaginarono del tutto disinteressati alle vicende della nostra specie. Qualcosa di assai diverso e lontano dai dispositivi concettuali dei successivi monoteismi.
Libertà nei confronti degli umani, con l’esplicita teorizzazione e la frequente messa in atto del tirannicidio, come testimonia – tra l’altro – la legge di Eucrate del 337/336 a.e.v.: «Se qualcuno si pone contro il popolo con la prospettiva di una tirannide o partecipa all’affermazione di una tirannide o abbatte il popolo di Atene o la democrazia in Atene, chiunque uccida chi fa qualcuna di queste cose, sarà senza colpa»1.
Libertà finanziaria, difesa anche con uno degli elementi senza i quali una comunità politica gode di una libertà solo apparente, l’autonomia monetaria: «La moneta come emblema della polis, segno tangibile della sua autonomia politica (che si esprime nell’apertura della zecca, nel diritto di battere moneta) e del sentimento civico connesso allo sviluppo della polis stessa nel VI secolo a. C.» (Federica Missere Fontana, p. 1034). Libertà alla quale hanno irresponsabilmente rinunciato gli Stati europei, con il risultato di sottomettersi all’economia dello Stato più forte, che attualmente è la Germania. L’euro, infatti, non è altro che un marco mascherato, come è inevitabile che sia, dato che l’elemento ultimo di un processo di unificazione – la moneta collettiva – è stato invece realizzato quasi per primo.
Libertà sessuale, con la pratica di costumi successivamente ritenuti del tutto immorali, quali la pederastia che «rendeva i giovani emuli delle virtù dei loro amanti più maturi e questi, a loro volta, erano responsabili dell’educazione dei loro ἐρώμενοι fino a quando non diventavano adulti» e la cui manifestazione sessuale non era per lo più la sodomia ma «la copulazione intercrurale, ossia tra le cosce» (Enrica Fontani, p. 957).
Libertà dall’ossessione del lavoro, ritenuto un elemento di servitù; e basta osservare con quale stato d’animo milioni di persone si recano oggi al lavoro per ammettere che i Greci non si sbagliavano di molto.
Libertà dalla pervasività della sfera pubblica, con la difesa di una sfera personale di vita ben esemplificata dall’«αὐλή, spazio di mediazione fra la strada cittadina e le stanze della casa, fra l’esterno e l’interno» (Alessandra Tempesta, 1126 e 1149), come ancora si può vedere a Erice e in altre località del Mediterraneo.
Libertà dalle illusioni sulla vita e sulla morte, testimoniata dall’intera loro cultura: teologia, letteratura,  arte, filosofia, drammaturgia. Dioniso e Ade sono una sola divinità (lo scrive Eraclito) e anche per questo la festa e i riti funerari sono al centro della società ellenica. Se «tutto è pieno di segni, ed è sapiente chi da una cosa ne conosce un’altra» (Plotino, Enneadi, II, 3, 7), il monumento funerario è σῆμα, è segno per eccellenza, e questo «già in Omero e nelle prime iscrizioni funerarie» (Claudio Franzoni, p. 1263).

L’ultimo elemento indicato qui sopra, la drammaturgia, è insieme alla filosofia il più vivo oggi tra quelli inventati e trasmessi dai Greci. E tuttavia nelle nostre rappresentazioni delle tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide perdiamo molti elementi essenziali del teatro greco, «prima di tutto la dimensione religiosa: gli spettacoli ad Atene non si svolgevano in qualunque parte dell’anno, ma solo durante le feste in onore di Dioniso, e anzi sotto il suo sguardo, se è vero che una sua statua era portata, prima che iniziassero gli spettacoli, fin dentro il teatro» (Franzoni, p. 791) e  poi anche la dimensione civica e la dimensione agonistica.
Se «i Greci risplendono più che mai»2, è anche vero che i Greci ci sono estranei più che mai. E anche per tale ragione rappresentano un antidoto ai limiti del presente, costituiscono ancora una garanzia e una fonte della nostra libertà.


Note

1. I Greci. Storia Cultura Arte Società, a cura di S. Settis, Volume IV/2 Atlante 2, a cura di C. Franzoni, Einaudi 2002, p. 1023. Le citazioni successive saranno indicate con il nome dell’autore e il numero di pagina.
2. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884, in «Opere», Adelphi 1976, VII/2, 26[43], p. 144.

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Con questo testo si chiude l’analisi de I Greci. Storia Cultura Arte Società.
I precedenti contributi si trovano qui:

vol. I Noi e i Greci

Vol. II/1 Una storia greca. Formazione (fino al VI a.C.) [manca 🙁 ]

Vol. II/2 Una storia greca. Definizione (VI – IV secolo)

vol. II/3 Una storia greca. Trasformazioni (IV secolo a.C. – II secolo d.C)

vol. III I Greci oltre la Grecia

Vol. IV/1 Atlante 1

Kaos / Kosmos

Anche se gli inventori della Grecia non sono mai stati in Grecia – tra di loro Winckelmann, Goethe, Hölderlin, Schinkel, Nietzsche – ciò che hanno pensato, immaginato e scoperto di quel mondo corrisponde in gran parte a quello che la Grecia è stata. Le motivazioni sono diverse e numerose. «La prima ragione è che il vero viaggio si svolgeva nello spazio del testo: i Greci si incontravano negli eventi narrati dagli storiografi e nelle convenzioni dei filosofi, nella tensione o nella liberazione del dramma teatrale, nella passioni dipinte dai lirici»1. Al di là di questa e di altre verità, un punto chiave è che per comprendere la Grecia antica bisogna essere antichi Greci e quei personaggi lo sono stati.
La passione dei Greci per il viaggio – pur con tutte le difficoltà e i rischi che viaggiare comportava – è motivata anche dal dinamismo e dalla curiosità in cui consiste ogni vera conoscenza, ogni passione per il sapere. Essa si rivolge – nei Greci e nei loro eredi – agli ambiti e ai temi più diversi ma tutti convergenti nella comprensione del mondo, vale a dire nella filosofia.
Si parte dall’intero, dal cielo, dagli astri, dall’ordine supremo e luminoso, dal κόσμος.
Si attraversano poi boschi, mari, pianure, montagne, tutti luoghi abitati dagli dèi.
Si vive nella città, la grande invenzione della specie umana, che per i Greci era una sola cosa con il corpomente di ciascuno, come confermano anche le parole di Socrate nel Critone, con le quali esprime il suo debito verso Atene anche quando la città lo uccide.
Per difendere e acquisire spazi e città, gli umani hanno inventato dal solco dell’aggressività animale la guerra, alla quale anche i Greci dedicarono sforzi di intelligenza, creatività, ingegno e tenacia davvero totali, e sempre allo scopo di sopravvivere e di distruggere; un solo esempio che è simbolico e dunque particolarmente significativo: il mantello dei soldati spartani era di un colore rosso acceso, che «doveva avere un valore magico ma in battaglia poteva anche avere la funzione di nascondere le macchie di sangue provocate dalle ferite» (A. Cristofori, 462).
Un’altra forma della violenza sono i sacrifici, inseparabili dalle moltissime feste che i Greci celebravano durante l’anno: ad Atene, ad esempio, in età classica i giorni di festa andavano da 120 a 144, un numero inaccettabile per il nostro stile di vita economicista e improntato alla schiavitù del lavoro. «I Greci celebravano la festa come evento comunitario […] e straordinario», un momento di vero e proprio «incontro col sacro» (E. Fontani, 649), nel quale i bambini non andavano a scuola, gli schiavi erano dispensati dal servizio, le altre attività politiche si fermavano poiché era appunto la festa l’attività politica per eccellenza. «Il decoro della festa identificava l’essere greco» (Id., 656), anche nel culto della fecondità e del piacere: tra gli oggetti sacri il fallo ha uno statuto centrale, tanto che in alcune feste le rispettabili matrone gettavano semi su statuette di peni. Il fallo infatti «fungeva da talismano per assicurare la buona crescita dei germogli. Questa pratica rituale, di esclusiva pertinenza femminile, aveva luogo a Eleusi e contemplava l’allestimento di un banchetto in un clima nel quale era ammessa ogni forma di turpiloquio (αἰσχρολογία)» (Id., 686). Delle feste erano protagonisti gli dèi e tra di loro specialmente Dioniso, per la sua vitalità, per la sua gioia. Una Hydria di Polignoto mostra due ragazze che si danno alla ‘danza delle Cariatidi’. La loro grazia appare davanti ai nostri occhi come se accadesse adesso, innocente e insieme sensuale.
In queste feste così gaie si celebrava anche la morte. La morte degli altri animali, in modo che il loro sangue potesse – secondo l’ipotesi del tutto corretta di Gianfranco Mormino – ingraziarsi  gli dèi e permettere che la semina nella terra irrorata dal sangue potesse ancora produrre grano, cibo, vita. Uno dei capitoli più crudi e splendidi dei Dialoghi con Leucò di PaveseL’ospite– testimonia il dato antropologico per il quale all’inizio le vittime di questa offerta alle potenze ctonie erano altri umani, poi sostituiti da creature assai più sottomesse e impotenti di fronte alla violenza umana: gli altri animali. Enrica Fontani conferma che «il momento culminante della festa era il sacrificio (θυσία). […] Sacrificare significava onorare gli dèi per mezzo di oblazioni, per placarli o sollecitarne il favore. […] L’eziologia del sacrificio spiega in chiave di trasgressione, rispetto alla consuetudine originaria di oblazioni incruente (frutti della terra, focacce), l’atto del primo uccisore di buoi (βουτύπος) che inaugurò il regime alimentare carnivoro (Porfirio, Dell’astinenza, 2.29-30). Il sacrificio vegetariano totale cedette il passo alla prassi cruenta dell’uccisione ritualizzata (ολόκαυστον), che diventò il perno dell’identità civica e del sistema basato sulla condivisione del cibo. La dimensione politica e quella religiosa appaiono qui più che mai solidali e complementari» (653).
Di questa natura violenta ma ritualizzata della Grecità, e in generale del mondo antico, sono testimonianza sia i sacrifici animali – mentre i massacri contemporanei che su di loro si praticano non hanno nulla di sacro e simbolico, sono soltanto pura totale sterminata violenza – sia gli agoni, i giochi, le gare. Una dimensione talmente importante, questa, una passione così profonda da far sì che l’agone nato nell’ambito della festa rese alla fine la festa una semplice cornice dell’agone. Burckhardt e Nietzsche hanno dunque ben individuato «nello ‘spirito agonale’ una delle forze trainanti della civiltà greca. Ogni campo dell’attività umana sembra, per i Greci, motivo di competizione: oltre lo sport, la musica, la danza, il teatro, il simposio, fino alle dispute filosofiche. Persino la bellezza» (C. Marconi, 761).
Culti, feste, sacrifici, agoni avevano sempre come centro e sfondo il santuario. Che non è soltanto il tempio ma è il paesaggio sacro dentro il quale anche il tempio vive. Il tempio, certo, è un luogo del tutto particolare, le cui colonne – scrisse Le Corbusier riferendosi al Partenone «obbediscono ad un’unica legge, sgorgano dalla terra» (cit. da C. Franzoni, 133)– e tuttavia il racconto eracliteo degli dèi che abitano anche in cucina testimonia che «per i Greci qualsiasi luogo può essere considerato adatto a ospitare un santuario. Perché ciò accada è sufficiente percepirvi la presenza del divino attraverso i suoi segni, e sentirsi con ciò più vicini a lui» (Id., 528).
La prima divinità è la luce. Sacerdoti e fedeli si rivolgevano a est, verso il sole che sorge, «dove si immagina la divinità, quando, all’alba, ha luogo il sacrificio» (Id., 531). Il cielo, la terra, gli animali, i divini si incrociano nello spazio del santuario, che diventa così Νόμος, luogo nel quale l’umano dà a se stesso senso. Le metope del lato sud del Partenone sono ispirate «al principio generale della lotta conto il disordine (χάος) per l’affermazione dell’ordine (κόσμος)» (Id., 620).
I Greci sono anche questa identità/differenza tra il Kaos e il Kosmos.

[L’immagine raffigura l’Oggetto di Hoag, una delle galassie più singolari del cosmo, dalla forma circolare con al centro un nucleo assai luminoso. Dista 600 milioni di anni luce dalla Terra]

Nota

1.C. Franzoni, in I Greci. Storia Cultura Arte Società, a cura di S. Settis, Volume IV/1 Atlante 1, a cura di C. Franzoni, Einaudi 2002, p. XII. Le citazioni successive saranno indicate con il nome dell’autore e il numero di pagina.

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