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Il piacere, l’inganno

Mademoiselle
di Chan-wook Park
Con: Tae-ri Kim (Sookee), Min-hee Kim (Lady Hideko), Ha Jung-woo (il Conte Fujiwara), Jin-woong Cho (lo zio Kouzuki)
Corea del Sud, 2016
Trailer del film

Una narrazione è, alla fine, la vita degli umani. Di questi animali che parlano, parlano e non la finiscono più. Che scrivono, scrivono e non la finiscono più. Che nutrono quindi il patetico e magnifico desiderio di comprendere il mondo del quale sono parte mediante il fluire delle parole e dei concetti.
Concetti anche iconici, visuali, pittorici. Il cinema è questo narrare, che in alcuni film emerge con una chiarezza didascalica la quale in Mademoiselle diventa anche ironica. La vicenda è ispirata a un romanzo di Sarah Waters –Ladra– che però viene trasposta dall’Inghilterra vittoriana alla Corea occupata dal Giappone negli anni Trenta del Novecento. La perversione dei puritani inglesi diventa così la raffinatezza dei pervertiti asiatici, di un ricco signore che possiede una grande biblioteca di testi erotici e insegna alla nipote a leggerli con voce suadente davanti a un gruppo di uomini tanto distinti quanto frementi ma la cui brama si esprime solo nel racconto, nel suono, nelle lettere/ideogrammi dei libri. La nipote/lettrice è una ricca ereditiera. Uno degli uomini decide di sedurla, sottrarla ai progetti di matrimonio dello zio, sposarla e appropriarsi dei suoi beni. Per questo ha bisogno dell’aiuto di una ragazza sua complice in altre truffe, che diventa dama di compagnia della giovane Hideko. La quale sembra inesperta, ingenua, pura. Ma anche la complice Sookee sembra ignorante e sprovveduta. L’uomo sembra un conte assai furbo, cinico, determinato.
Le tre parti in cui il film è diviso raccontano questa storia alla maniera del Rashomon di Kurosawa, da prospettive che si sovrappongono in parte ma che si dilatano poi a una differenza che si muove sul confine fra tenerezza, sadismo, inganno, crudeltà, follia, desiderio.
La pelle bianca e delicata delle due donne si alterna a un immenso polipo che abita il sotterraneo; l’eleganza degli uomini, dei giardini, della biblioteca si dissolve in un eros raccontato alla maniera del marchese de Sade; la stolta arroganza dei maschi si disvela nel sorriso vittorioso delle femmine.
È sempre la vendetta il tema dell’immaginazione di Chan-wook Park, come in Sympathy for Mr. Vengeance (2002), Old Boy (2003), Sympathy for Lady Vengeance (2005), Stoker (2013). Un’immaginazione che però appare qui come superficializzata in uno stile assai più patinato che terribile.
Rimane il piacere di raccontare l’inganno.

[Foto di Wang Zheng: Across the Sky for History]

Figli

Stoker
di Chan-wook Park
Con: Mia Wasikowska (India), Matthew Goode (Charlie Stoker), Nicole Kidman (Evelyn Stoker)
USA, Gran Bretagna 2013
Trailer del film

India compie 18 anni. Lo stesso giorno suo padre muore in un incidente d’auto. Mentre la famiglia è in lutto si presenta lo zio Charlie, fratello del padre. India sente i suoi pensieri, che la affascinano e la respingono. Silenziosa, intoccabile e determinata, scoprirà a poco a poco chi è lo zio, quello che ha fatto. E se ne libererà, nel nome del Padre.
La ferocia di film molto densi come Sympathy for Mr. Vengeance, Oldboy e Sympathy for Lady Vengeance si sublima e stempera nella violenza manieristica e interiore di Stoker, che intreccia vampirismo psicologico, lucida follia, elegante delirio.
Si tratta di un film/iniziazione, un’opera sull’educazione ai sentimenti e soprattutto sull’assassinio che i figli compiono nei confronti degli adulti: allontanandoli, ricattandoli, seducendoli, amandoli, sostituendoli nel tempo e nello spazio. La madre di India si chiede per quale ragione a un certo punto della vita si facciano dei figli.
Stoker è anche un sapiente, compiaciuto, coinvolgente esercizio di stile, nel quale ogni inquadratura ha una logica estetica e narrativa impeccabile. E gelida.

 

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