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Brecht in Afghanistan

El Teatre Lliure – Barcellona
La ronde de nuit
Una creazione collettiva da un’idea di Ariane Mnouchkine, messa in scena da Hélène Cinque
Con: Haroon Amani, Aref Banahar, Taher Beak, Saboor Dilawar, Mujtaba Habibi, Mustafa Habibi, Sayed Ahmad Hashimi, Farid Ahmad Joya, Shafiq Kohi, Asif Mawdudi, Wioletta Michalczuk, Caroline Panzera, Ghulam Reza Rajabi, Omid Rawendah, Shohreh Sabaghy, Harold Savary, Wajma Tota Khil
Coproduzione del Théâtre du Soleil con il Théâtre Nanterre – Armandiers
Sino al 22 giugno 2014

 

ronde_nuit

Nader viene dall’Afghanistan e finalmente ha trovato lavoro come guardiano notturno in un teatro parigino. Nel quartiere girano clochard, prostitute, tossici, poliziotti. E molti Sans-papier, i senza documenti, gli ‘extracomunitari’, insomma. Un amico di Nadier che ha ottenuto il passaporto francese sta per ripartire alla volta di Kabul ma gli chiede di dare ospitalità per quella sola notte a un gruppo di migranti che non ha dove ripararsi dall’ondata di gelo che incombe. Nadier accetta e la notte si trasforma nei racconti, nei sogni, negli incubi che prendono forma tra le quinte del teatro.
Antiche storie, ripetute violenze, desideri inconfessati, volontà di riscatto danzano tra il sonno, i dialoghi su Skipe con le loro terre lontane, i timori per i soldati e i poliziotti che irrompono, le memorie diventate immagini-corpi.
Intriso di umorismo e di tragedia, questo esperimento di Ariane Mnouchkine e Hélène Cinque con gli attori del Théâtre Aftaab (che in lingua dari significa ‘sole’) mi è sembrato un esempio di teatro brechtiano didascalico e commovente, politico e onirico, storico ma soprattutto interiore. La recitazione è eccellente, forse anche perché questi attori non soltanto recitano ma rivivono il loro stare al mondo.

 

Ridere della tristezza

Piccolo Teatro Studio – Milano
Jucatùre
(Els Jugadors)
di Pau Mirò
Con: Renato Carpentieri, Enrico Ianniello, Tony Laudadio, Marcello Romolo
Traduzione e regia di  Enrico Ianniello
Produzione Teatri Uniti in collaborazione con OTC, Institut Ramon Llull
Sino al 18 gennaio 2013

Un barbiere che sta perdendo il lavoro e spera soltanto che la moglie non lo lasci. Un becchino innamorato di una prostituta ucraina. Un attore che viene regolarmente scartato ai provini e che ruba nei supermercati. Un docente universitario di matematica che ha picchiato uno studente insolente e che ora è sottoposto a processo. Tutti e quattro si ritrovano a casa del professore per giocare a carte e anche -di tanto in tanto- per recarsi a un casinò nel quale perdono gran parte dei loro denari. Una mattina il professore trova sotto il cuscino la pistola che fu del padre. Propone agli altri di compiere una rapina.

La figura del Padre è al centro di questo testo. Un’ombra, un’autorità, un modello. E una sorda ribellione alla dipendenza da lui. Il Professore, che è ossessionato dalla memoria paterna, dalle punizioni, dai doveri, diventa a sua volta il punto di riferimento per gli altri. I quattro personaggi possiedono ciascuno una connotazione molto forte, ben scolpita, differente dagli altri tre. Ma l’insieme risulta unitario e delinea delle vite del tutto plausibili e comuni, che nella normalità del quotidiano mostrano in modo lampante quanto l’esistenza possa diventare atroce per gli umani. E tuttavia si ride, si ride davvero molto per la vivacità del testo, l’intelligenza delle numerose battute umoristiche, l’efficacia dei tempi comici scelti dal regista. Regista -Enrico Ianniello- che non soltanto interpreta in modo intenso la figura per molti versi più ricca, quella del becchino, ma che trasponendo la vicenda da Barcellona a Napoli e traducendola dal catalano in napoletano, rende Jucatùre estremamente espressivo, carnale come il desiderio e ironico come la morte.
Si può ridere della tristezza. Uno dei miracoli del teatro.

Biutiful

di Alejandro Gonzalez Iñárritu
USA 2010
Con: Javier Bardem (Uxbal), Maricel Álvarez (Marambra), Hanaa Bouchaib (Ana), Guillermo Estrella (Mateo), Diaryatou Daff (Igé), Cheng Tai Shen (Hai), Luo Jin (Liwei) Eduard Fernández (Tito), Rubén Ochandiano (Zanc)
Trailer del film

Uxbal fa da mediatore fra gli immigrati clandestini che vendono merce contraffatta e la polizia corrotta, tra gruppi di cinesi e imprenditori locali. Un po’ li sfrutta, un po’ viene sfruttato, un po’ aiuta davvero chi ha bisogno. Un personaggio fuori dagli schemi, con due bambini -Ana e Mateo- da accudire dopo la separazione dalla madre, bipolare e alcolizzata anche se ancora innamorata di lui. Uxbal vorrebbe portare un po’ di luce a se stesso e agli altri ma ciò che intraprende si risolve in fallimento o in tragedia. La morte gli sta dentro, alla lettera. E coi morti riesce  a parlare, accompagnando verso la pace chi fra di loro ancora non sembra pronto ad andarsene davvero.

Una Barcellona livida è il tessuto dentro il quale si sgretola la trama di questa vita. Uno squallore profondo innerva luoghi, volti, situazioni, persone. E arriva al culmine non nelle case fatiscenti o nelle strade abbandonate ma in un night scintillante nel quale la disperazione dei corpi diventa più che malattia, si fa puro stordimento del non senso. Iñárritu rinuncia qui agli scarti temporali e spaziali del montaggio che caratterizzavano 21 grammi e Babel, a favore invece di una narrazione più tradizionale, lineare. Il risultato è in ogni caso un film di grande impatto iconico -il genio abita nei particolari e in scene quasi accennate come quella dei corpi sulla spiaggia- ed emotivo, come se vedessimo la disperazione fatta carne e sguardo in un Javier Bardem veramente straordinario. L’opera inizia e si chiude su un anello e nel candore di un bosco innevato dentro il quale il tempo è ormai dissolto: «Che cosa c’è lì?»

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