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Isteria e Stato d’eccezione

In un intervento tenuto l’11 novembre 2021 a Venezia, Giorgio Agamben chiarisce con lucidità e dottrina lo statuto dello Stato d’eccezione (Ausnahmezustand) nel quale siamo immersi da due anni, le sue radici, le sue manifestazioni, le sue conseguenze, ciò che è possibile e non è possibile fare per rimanere liberi al suo interno.
Il testo è breve e ne consiglio vivamente la lettura:

Da parte mia osservo che un’ondata di isteria e fanatismo collettivi impone isolamento, autolesionismo, anoressia, bulimia, suicidi. Un’ondata che produce chiusure e discriminazioni miracolose e superstiziose. Di fronte all’orrore della vita collettiva che si spegne si può sperare in una ribellione selvaggia, chiunque la pratichi. Anche per questo diventano politicamente essenziali quei cittadini, pochi o molti che siano, i quali rimangono autonomi, consapevoli, liberi, nonostante l’enorme pressione sociale, normativa e poliziesca che stanno subendo. Sono loro la Costituzione, sono i loro corpimente ancora liberi.
La pervasiva oscurità diffusa nel corpo collettivo prende le forme della malinconia, della separazione, della diffidenza e della violenza. Ma oscurità è una parola inseparabile dal suo opposto. C’è buio soltanto dove si sa che cosa sia luce, c’è buio soltanto dove si dà luce. Anche per questo non è legittima nessuna rassegnazione, nessuno scoramento, e va invece ricordato l’antico detto non prævalebunt, non prevarranno.

Contagio

Banche, uffici postali, trasporti, negozi, centri commerciali, pizzerie, discoteche e tutto il resto rimangono aperti. Le scuole e le università vengono chiuse. Tanto scuola e università, la cosiddetta cultura, non servono a niente. Sono così improduttive che potrebbero rimanere chiuse anche per mesi e nessuno se ne accorgerebbe. Lo sanno tutti e il governo italiano lo certifica. E questo nonostante il comitato tecnico-scientifico avesse in realtà espresso perplessità in merito a tale provvedimento.

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4.3.2020 – 22:18
Il comitato di scienziati ritiene di dubbia efficacia la chiusura delle scuole
Non è stato il comitato tecnico-scientifico a proporre al governo la misura della chiusura delle scuole. Gli esperti, a quanto si apprende, avrebbero espresso al contrario dei dubbi sull’opportunità di tale misura, perché non supportata da evidenze scientifiche sulla reale efficacia rispetto al contenimento del virus, se non su tempi molto più lunghi.
Dubbi espressi nel parere consegnato al governo ma solo consultivo. In serata, l’Istituto Superiore di Sanità ha poi pubblicato sul suo sito un focus in cui si sottolinea invece l’efficacia delle misure prese per prevenire una grande ondata di contagi.
Fonte: AGI (anche Repubblica)
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Giorgio Agamben ha ragione nel cogliere un vero e proprio «bisogno di stato di panico collettivo» che sembra manifestarsi in corpi sociali abituati a una costante e ormai lunga sicurezza. Un bisogno del quale i media tradizionali e i social networks si sono fatti portavoce, amplificatori e paladini. Giornali, televisioni, pubblici amministratori fanno a gara nel cercare di sollecitare e soddisfare tale bisogno, anche chiudendo musei, scuole, università ma lasciando ben aperti gli ambiti e le attività che vengono reputate indispensabili.
È inoltre evidente che, essendo i virus assai cosmopoliti e globalizzati, la varietà di reazioni e provvedimenti all’interno dell’Europa (per tacere degli altri continenti) rende parziali e in gran parte inefficaci le decisioni di un singolo governo.
È la fragilità della «società aperta», un puro costrutto ideologico del liberismo, che si ribalta nel bisogno di uno Ausnahmezustand, stato d’eccezione / stato d’emergenza, proclamare il quale costituisce davvero lo stigma della sovranità. Che io sappia, è la prima volta nella storia d’Italia che un governo decide uno stato d’emergenza per tutti gli istituti formativi dell’intera Repubblica. Dato che in ambito giuridico e sociologico i precedenti contano molto, questo è un precedente che potrà essere richiamato e utilizzato in situazioni anche diverse rispetto a quella sanitaria.
Uno stato d’emergenza la cui efficacia empirica è assai inferiore rispetto al suo significato politico. Lo hanno compreso alcuni studenti dell’Università di Catania, i quali mi hanno scritto: «Con la chiusura di scuole e università è stata sicuramente scongiurata una pandemia devastante in stile World War Z e ora, per esempio, io non potrò più mettere a rischio la salute di nessuno, né quella di mia madre, oggi in tribunale (ma anche domani e nei giorni a venire), né quella di mio padre, autotrasportatore in viaggio per tutta Europa» (Marcosebastiano Patanè); «È evidente che scuole, università, cinema e teatri non sono utili per il mantenimento della macchina economica. È più importante mantenere alla giusta temperatura la macchina/capitale e non il sapere, la conoscenza e la formazione. Adesso le schiere di liceali e universitari in vacanza prenderanno dimora in piazza Stesicoro (un luogo asettico, sanificato, senza virus), ovvero andranno a formarsi fra un panino e l’altro del McDonald’s» (Enrico Moncado).
Un McDonald’s, appunto, garantisce meglio di un Dipartimento universitario la salute pubblica. Come molti altri luoghi, come tutti gli altri luoghi.
«Affine d’escludere, per quanto fosse possibile, dalla radunanza gli infetti e i sospetti, fece inchiodar gli usci delle case sequestrate» (I Promessi Sposi, cap. XXXII) A quando tali provvedimenti seicenteschi contro il virus? In fondo, e questo come stiamo vedendo è vero, la biologia è molto più potente della storia e di tutte le democrazie.

[Segnalo una riflessione del collega Enrico Galiano, che condivido per intero:
Ecco perché insegnare è una cosa che non si può fare a distanza]

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