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Memoria e oblio

Paul Ricoeur
Ricordare, dimenticare, perdonare
L’enigma del passato
(Das Rätsel der Vergangenheit. Erinnern – Vergessen – Verzeihen, Wallstein, Göttingen 1998)
Trad. di Nicoletta Salomon
il Mulino,  2012
Pagine XVII-124

La persona umana è una memoria viva che si muove nello spaziotempo costituito dai ricordi che abitano il suo corpo e dagli eventi che si susseguono nel mondo. Entrambi -ricordi ed eventi- non possiedono la struttura massiccia e uniforme di una strada e del muro che la delimita, non sono uniformi e continui ma somigliano alla complessità delle isole di un arcipelago, che emergono dal mare profondo del tempo.
Il corpomente è costituito dalla molteplicità delle possibili relazioni con questo arcipelago. In primo luogo dalla differenza tra μνήμη e ἀνάμνησις, già fondamentale e assai chiara in Aristotele, per il quale la staticità del μνήμη è inseparabile dal dinamismo dell’ἀνάμνησις, poiché il ricordo è sempre anche rimemorazione ora di ciò che è avvenuto prima. E questo fa del ricordare un’attività del presente rivolta all’azione nell’adesso e nel poi.
L’aristotelico Heidegger ha tenuto ben presente questa distinzione quando ha posto a fondamento di molte analisi di Sein und Zeit la differenza tra il passato come Vergangenheit e il passato come Gewesen-Gewesenheit, la differenza tra ciò che non è più e ciò che è ancora nel suo essente-stato. Quanto Ricoeur  definisce passéité, passeità, non è l’essere-stato che non è più ma è l’essente-stato che è ancora. È, ad esempio, l’oggetto d’amore perduto dal singolo ma ancora presente nel suo essere stato perduto. È l’evento accaduto a una comunità, evento che come struttura eveniente è passato ma che determina ora e ancora l’identità e i drammi del gruppo.

L’oblio strumentale di ciò che è stato compiuto dai singoli e dai popoli -strumentale al non pagarne le conseguenze- ha il suo contraltare nell’«ostinata politica di commemorazione» che produce «abusi della memoria» (p. 81) il cui inevitabile esito è l’insostenibilità del ricordo, sia per chi è accusato sia per chi accusa.
Se ci sono forme di oblio strumentali, passive e interessate, c’è anche e soprattutto una forma d’oblio necessaria alla vita umana, alla sua continuazione lungo i sentieri delle vicende individuali e collettive. Come ben sapeva Nietzsche, l’oblio è infatti necessario alla «conquista della distanza temporale» (68) e quindi alla risignificazione che permette di accogliere quanto è accaduto nelle strutture dell’adesso. Se «i fatti sono incancellabili, se non si può più disfare ciò che è stato fatto, né fare in modo che ciò che è accaduto non lo sia, in compenso, il senso di ciò che è accaduto non è fissato una volta per tutte» (41 e 92 ).
Un vero perdono è difficile poiché non cancella i fatti accaduti, cancellazione impossibile, ma muta il loro significato, accettando che il debito non venga saldato e che il debitore rimanga insolvente senza per questo rimanere per sempre colpevole. Un perdono di questa natura, portata ed effetti è possibile soltanto perché i fatti storici non coincidono con l’oggettività dell’accaduto, non sono strutture date una volta per tutte ma costituiscono una costellazione semantica che presentifica il passato in modo ogni volta diverso in relazione alla differenza che è il futuro.

La riflessione heideggeriana sulla Schuld, sulla colpevolezza intrinseca all’essere, è feconda anche nell’ambito psichico e storico, oltre che metafisico. Comprendere la colpa, accoglierla come struttura  ontologica e non morale, è una condizione di intendimento del limite che accomuna ogni evento e della differenza tra gli eventi che confermano la colpa e altri che invece da essa affrancano.
Gli esistenziali di Sein und Zeit mostrano in questo modo la loro continuità con il platonismo, con l’immemorabile da sempre obliato e la cui ἀνάμνησις rappresenta il lavoro della mente che conosce «ciò che non abbiamo mai veramente appreso, e che tuttavia ci fa essere ciò che siamo: forze di vita, forze creatrici di storia, ‘origine’, Ursprung» (100-101). È questo il fondamento dell’apprendimento platonico, che rende  «possibile imparare ciò che in un certo senso non si è mai smesso di sapere» (101).
Come si vede, bisogna affrancarsi da ogni prospettiva semplicemente etica per cogliere quanto si muove nel fondo dell’umano e del suo tormento.

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