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Lire Proust

LIRE, Marcel Proust
Hors-Serie n. 8
Paris, 2009
Pagine 98

«En fait, Proust est un auteur simple, c’est la réalité qui est complexe», afferma Jean-Yves Tadié nell’intervista rilasciata per questo numero monografico di Lire (pag. 19). Numero bellissimo per le splendide fotografie, per le tante notizie e soprattutto per la ricchezza delle analisi.

L’opera e la persona di Proust -identiche non sul versante dell’appiattimento biografico del capolavoro ma della trasfigurazione dell’autore nella sua scrittura- appaiono al lettore in tutta la loro unicità creativa, disperazione struggente, potenza metaforica. La “piccola ala di muro giallo” della Veduta di Delft davanti alla quale muore Bergotte «personne n’a jamais pu localiser avec certitude» (67) poiché in realtà lo scrittore muore davanti alla bellezza stessa, che non risiede nell’armonia a tutti evidente ma nel particolare invisibile che vibra alla mente. E tuttavia la Recherche è davvero -metafora celebre e abusata- una cattedrale inquietante e magnifica, tanto che Proust avrebbe voluto dire -anche ma non solo a chi rifiutò di pubblicare il primo volume con la motivazione che «on n’a aucune notion de ce dont il s’agit» (così Jacques Normand nel 1912, p. 89)- che «j’avais voulu donner à chaque partie de mon livre le titre -Porche, Vitraux de l’abside, etc, pour répondre d’avance à la critique stupide qu’on me fait de manquer de construction…» (93).

In questo luogo dello spazio e del tempo vivono, abitano, agiscono, amano, invecchiano, parlano, ricordano centinaia di personaggi. Alcuni di essi vengono descritti in un Dizionario dal quale emergono nella loro estrema varietà e, insieme, nell’identità antropologica che li attraversa.

I luoghi della Recherche -Illiers/Combray, Parigi, Cabourg/Balbec, Amiens, Venezia-; le difficoltà nel trovare un editore –Du côté de chez Swann uscì infatti a spese dell’autore-; l’immensa corrispondenza -ventimila lettere- in gran parte conservata in una Università dell’Illinois; la prima guerra mondiale e la sua importanza per il romanzo; la passione di Proust per gli investimenti in borsa e per la lettura dei quotidiani. Questi alcuni degli altri temi discussi nella Rivista.

Significativo è un argomentato articolo sulla dimensione profondamente filosofica della Recherche, autentico capolavoro fenomenologico ed espressione dell’impero dei segni che è il linguaggio. «Le roman proposerait un “vocabulaire d’une pensée des affaires humaines” qui impose à Proust romancier de dépasser le dogme solipsiste de Proust théoricien, selon lequel chaque conscience est enfermée dans des représentations et ne peut jamais rencontrer en autrui que des projections d’elle-même» (86). Vero. E tuttavia il Proust romanziere e il Proust teorico convergono totalmente in moltissime pagine dell’opera. Un solo esempio, a proposito di quanto qui sopra affermato da Jean Montenot: «Quando si ama, l’amore è troppo grande perché possa trovar posto tutto quanto in noi; s’irradia verso la persona amata, incontra in lei una superficie che lo arresta, lo costringe a tornare verso il punto di partenza, e questo rimbalzo della nostra stessa tenerezza noi lo chiamiamo i sentimenti dell’altro, lo troviamo tanto più dolce di quanto fosse all’andata, perché non sappiamo che proviene da noi» (All’ombra delle fanciulle in fiore, Einaudi 1978, p. 196 [«Quand on aime, l’amour est trop grand pour pouvoir être contenu tout entier en nous; il irradie vers la personne aimée, rencontre en elle une surface qui l’arrête, le force à revenir vers son point de départ; et c’est ce choc en retour de notre propre tendresse que nous appelons les sentiments de l’autre et qui nous charme plus qu’à l’aller, parce que nous ne connaissons pas qu’elle vient de nous»] ). L’innamoramento è dunque una forma di autismo?

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