One Battle After Another
di Paul Thomas Anderson
USA, 2025
Con: Leonardo Di Caprio (Bob), Sean Penn (Il colonnello Steven J. Lockjaw), Chase Infiniti (Willa), Benicio Del Toro (Sensei), Teyana Taylor (Perfidia)
Trailer del film
Che cos’è la letteratura? Che cos’è il cinema? Che cosa il teatro o la poesia? Quale rapporto esiste tra queste forme dell’esperienza umana e lo scorrere quotidiano delle vite? Probabilmente un rapporto flebile, a volte inesistente. La vita degli umani, giorno dopo giorno, è infatti assai meno interessante, forse meno violenta, meno generosa, meno bella di quanto letteratura, cinema, teatro o poesia raccontino.
Quale rapporto si dà tra l’esistenza degli Stati Uniti d’America e il suo cinema? Paul Thomas Anderson ha il merito e la forza di porre in modo netto questa domanda. E infatti il suo cinema è epico, come epica è l’autopercezione di quella Nazione.
There will be Blood (Il petroliere, 2008) racconta l’epica di un uomo che lavora come un ossesso, guadagna, uccide, allo scopo di poter stare da solo. The Master (2012) descrive la potenza dell’elemento religioso nella vita collettiva e individuale degli americani. Phantom Thread (Il filo nascosto, 2017) mostra quanto possa costare a un uomo l’elemosina di un sorriso.
La trama di One Battle After Another si ispira (molto alla lontana) a quella del romanzo di Thomas Pynchon Vineland. Una trama corale, storica, di generazione, che racconta le azioni e il destino di un gruppo di sovversivi negli USA degli anni Novanta del Novecento e di un loro tenace persecutore nell’esercito. Il colonnello Steven J. Lockjaw persegue in realtà l’obiettivo di essere accolto nella società dei Pionieri del Natale, un gruppo esclusivo ed elitario di bianchi razzisti, una massoneria senza scrupoli, una struttura mafiosa. Ma Lockjaw sa che c’è qualcosa che rischia di impedire l’affiliazione: il rapporto che ha avuto con una donna nera di nome Perfidia, leader del gruppo sovversivo French 75, dalla quale forse ha avuto una figlia, Willa. Perfidia ha tradito e ha fatto i nomi dei suoi complici ma rimangono il compagno – Bob, un bombarolo piuttosto sconclusionato – e la figlia di Perfidia che Bob ritiene essere sua
Il colonnello utilizza dunque tutti i suoi uomini e le strutture dell’esercito per trovare Bob e Willa, per eliminare il primo e arrestare la seconda, in modo da accertarsi (con un test DNA) se sia figlia sua o di Bob e, nel primo caso, ucciderla, in modo che nessuno dentro il gruppo mafioso-suprematista abbia le prove della sua contaminazione con i negri.
Lo scarto di Anderson consiste nel non fare di una simile trama l’ennesima occasione politicamente corretta ma, al contrario, la testimonianza di una completa dissoluzione della società americana, perduta nelle armi, nelle droghe, nelle ideologie più violente, discriminanti e distruttive. I massoni e i militari sono privi di ogni freno rispetto a comportamenti criminali ma anche i sovversivi si tradiscono a vicenda, si perdono negli stupefacenti, sono altrettanto ambiziosi e altrettanto miserabili.
Una realtà che viene descritta in tre ore di cinema senza respiro, dal ritmo furibondo, sostenuto anche da molta opportuna ironia. E con delle scene di inseguimento di grande potenza visiva, soprattutto l’ultima lungo i rettilinei deserti e a gobba dell’Arizona, dove Bob cerca la figlia, la quale fugge da un sicario dei Pionieri del Natale, il quale insegue anche il colonnello Lockjaw, che a sua volta cerca Bob. L’esito diventa, come molto spesso nel cinema americano, un western magnificamente interpretato da due attori come Di Caprio e Penn, che non recitano ma che sono i loro personaggi.
E dunque: quale rapporto si dà tra il cinema e la società statunitense? Ipotizzo che rispetto a un film così epico, e dunque in qualche modo così nobile, gli Stati Uniti d’America siano peggio. Una Nazione che ha la capacità di essere nello stesso tempo razzista e mischiata, senza un’identità che non sia la forza militare, con un’élite di suprematisti convinti del Manifest Destiny di dominio sul mondo da parte della nuova Gerusalemme e però costituita da milioni di miserabili, prigionieri nelle loro metropoli. Un popolo intriso di cultura nelle Università più esclusive e in una ridottissima élite ma spaventosamente ignorante in centinaia di milioni dei suoi cittadini. Un confuso insieme di protestanti, islamici, animisti, che sono feroci tra di loro e con tutti gli altri popoli, assolutamente e sempre feroci.


Andrea Zhok, 11.10.2025
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Ogni tanto c’è qualcuno che ricorda come la vita a Cuba o in Venezuela sia dura, come la popolazione soffra, come l’economia sia in gravi ambasce. Spesso questi soggetti proseguono assumendo, o sostenendo senz’altro, che questa è responsabilità di governi illiberali, che dunque sarebbe auspicabile veder rovesciati, consentendo così finalmente di emancipare il popolo dalla miseria.
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Non si sa mai se per ignoranza o dolo, ma questi soggetti dimenticano sempre di menzionare un dettaglio.
Paesi come Cuba e Venezuela sono sotto la morsa di devastanti sanzioni internazionali promosse dagli USA.
Cuba è sotto sanzioni da sempre, sin da quando hanno osato cacciare il dittatore filoamericano Fulgencio Batista (1959).
Il Venezuela è sotto embargo, con impedimento a vendere il proprio petrolio e ad accedere al sistema creditizio internazionale dal 2017 (primo mandato Trump). Tra il 2017 e il 2024 il Venezuela ha subito perdite stimate intorno a 226 miliardi di dollari, a causa di questa morsa.
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Ora, il giochino americano è sempre lo stesso, ovunque nel mondo: esercitano una combinazione di ricatti economici, minacce (o senz’altro interventi) militari, e finanziamento delle forze filoamericane all’interno del paese su cui vogliono mettere le mani. Questo logoramento prosegue fino ad ottenere l’ascesa al potere di un loro pupazzo, in forme che vengono gabellate per “spontanea espressione della volontà popolare”.
Che sia Pinochet in Cile o Al-Jolani in Siria, che si parli di Guatemala, Nicaragua, Bolivia, Libia, ecc. lo schema si ripresenta con piccolissime variazioni.
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In ciò non c’è niente di misterioso. Si tratta di ordinaria politica imperialista.
L’unica cosa in questo quadro che rasenta il mistero è la reattività degli “emancipatori a molla” nelle lande occidentali. Si tratta di imbarazzanti quanto frequenti gonzi, per lo più baizuo, che, di quando in quando, vengono svegliati dal giornale del mattino nelle vesti di intrepidi liberatori di popoli oppressi.
Fino alla sera prima non sapevano neanche dell’esistenza di questo o quel terribile regime illiberale ed affamatore dei popoli, ma il giorno dopo, d’un botto, si scoprono protettori dei campesinos e dei diritti civili in qualche paese remoto dove – guarda te le coincidenze – sta or ora maturando un “regime change made in USA”.
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Poi, tipicamente, il giorno dopo che il nuovo regime “amico” ha preso il potere, dimenticano in tempo reale l’esistenza del paese medesimo, certi – si suppone – che da quel momento in poi le sorti dei popoli che gli stavano così a cuore si siano definitivamente risollevate, tanto che non vale più la pena occuparsene.
Questo argomento lo trovo personalmente molto interessante perché io ho sempre avuto la passione per il cinema e per la letteratura, se poi dopo aver letto un libro vedo che hanno fatto un film allora in quel caso non perdo tempo a paragonarlo al testo scritto, alcune volte delusioni, “Io sono leggenda”, altre volte invece esco soddisfatto, “Caos Calmo”,
“L’eleganza del riccio”, per citarne alcuni, l’Italia con il cinema americano sono in simbiosi per via di capolavori come “C’era una volta in America” “Gli intoccabili” oppure la trilogia del “Padrino” attraverso registi e attori da premio Oscar. Rimango affascinato da tanta arte sia in forma scritta che cinematografica, un appunto va anche alle colonne sonore che sono dei veri capolavori.