I Roses
di Jay Roac
USA, 2025
Con: Olivia Colman (Ivy Rose), Benedict Cumberbatch (Theo Rose)
Trailer del film
Molto noto è il film con il quale nel 1989 Danny De Vito mise per immagini il romanzo The War of the Roses di Warren Adler. Un film citato anche come evidente smentita del modello di società ultraliberista (reaganiano) nel quale il dominio del mercato e il sacro valore della famiglia convivevano sereni. E invece, come Marx ed Engels sapevano già dal 1848, «la borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro» (Il Manifesto del Partito comunista, a cura di E. Cantimori Mezzomonti, Laterza, Roma-Bari 1981, p. 58).
Quello di Jay Roac non è un semplice remake del film di De Vito: luoghi, personaggi e situazioni sono in parte diversi, anche se la vicenda è naturalmente la stessa e racconta di una coppia molto affiatata che con il tempo arriva alla dissoluzione. Con il tempo e con il cangiare delle rispettive situazioni professionali. Il film comincia infatti con Theo che è un affermato architetto, il quale sembra giungere al culmine della propria carriera quando progetta un Museo del mare che somiglia a una nave sull’oceano. Accade però che la vela della nave, progettata come mobile ai venti, venga divelta da un uragano, cada sul tetto del Museo e tutto lo distrugga. Un fallimento totale. Sua moglie Ivy è una cuoca eccellente e appassionata che si è limitata a fare da chef in qualche ristorante e soprattutto a cucinare per Theo, per i loro due figli, per gli amici. Il marito le apre un ristorantino senza pretese, nel quale però per circostanze casuali arriva a cenare un famoso e potente critico gastronomico, che scrive una recensione capace di trasformare il ristorante in una meta di culto. Da quel momento in poi il successo di Ivy diventa travolgente, proprio mentre Theo viene licenziato e nessuno più lo assume.
Per rincuorarlo la moglie gli propone di progettare e costruire la loro nuova casa in riva all’oceano, che sarà finanziata da lei. Dimora assai bella, estremamente costosa e ultratecnologica. Ma neppure questa dimora può far tornare gli antichi sentimenti. Anzi la casa diventa un’ulteriore ragione di conflitto tra i due coniugi, un conflitto che si trasforma in una vera e propria guerra distruttiva, dalla quale la stessa villa rischia di uscire demolita.
La metafora è trasparente. La legge del mercato, la competizione diventata principio sociale assoluto, il successo come idolo, non possono che distruggere ogni cosa che incontrano, tutto ciò su cui si posano.
Ma non è solo questo. È che nella sostanza stessa del legame tra un uomo e una donna, nella peculiarità del sentimento amoroso, nella assolutezza della passione, è implicito il loro capovolgimento quando l’idolo che ci siamo costruiti dell’Altro torna ai nostri occhi alla sua dimensione empirica, concreta, quotidiana, che è sempre e per tutti una dimensione di miseria esistenziale.
Alle affermazioni marxiane vanno dunque aggiunte la grande fenomenologia proustiana dell’amore e la spietata lucidità con la quale Nietzsche osserva e descrive l’accadere: «L’amore come fatum, come fatalità, cinico, innocente, crudele – e appunto in ciò natura! L’amore che nei suoi strumenti è guerra, nel suo fondo è l’odio mortale dei sessi!» (Il caso Wagner, in «Opere», a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi 1975, vol. VI/3, § 2, p. 9).
‘Guerra’ e ‘odio’ sono appunto i sentimenti e le azioni che il film descrive con vivace e divertita amarezza.

Certamente lascio un commento. Come potrei esonerarmi dal farlo nei confronti di un testo che prende spunto dal “remake” di un famoso film del secolo scorso e cita nel suo commento tre grandi come Marx (ed Engels), Proust e Nietzsche? E poi, come non potrei trovare geniale la conclusione di quest’ultimo sull’amore (coniugale o no) che ” nel suo fondo è l’odio mortale dei sessi” ?