Gole dell’Alcantara – Motta Camastra (ME)
Odissea
Regia di Giovanni Anfuso
Con: Davide Sbrogiò (Odisseo maturo), Giovanna Mangiù (Circe/Penelope), Liliana Randi (Atena)
Sino al 31 agosto 2025

Le Gole dell’Alcantara, certo, dalla cui notturna profondità alzando lo sguardo si vedono stelle come Arturo e il triangolo estivo (Vega, Altair, Deneb). Il fiume che scorre, limpido, gelido, immortale. La sensazione di trovarsi in un luogo sacro, il cui incanto è dato dalle pietre, dai minerali, dalle colate laviche diventate colonnari di basalto, percorsi per millenni dalle acque. Quasi canne d’organo con le quali la materia suona la propria musica.
Dentro lo slargo delle Gole che si trova nel Fondaco Motta è stata messa in scena un’Odissea in pillole. Alcuni episodi vengono immaginati attraverso la voce e i movimenti degli attori, come il canto delle Sirene, altri sono semplicemente raccontati, come l’incontro tra Odisseo e Polifemo. La recitazione è nella media televisiva ma diventa inaccettabile nell’attrice che interpreta Atena, la quale è riuscita a trasformare la dea in una massaia isterica che arriva a fastidiosi acuti e non scandendo praticamente mai il testo ma sempre urlandolo o sogghignando.
Chi conosce il poema, chi lo ha letto, inserisce i pochi episodi nel flusso della memoria; chi non lo ha letto se ne fa un’idea piccola.
Perché continuare a scomodare Omero oppure Dante per operazioni così modeste? Non sarebbe meglio scrivere qualche testo adatto al luogo, a un luogo liquido e magnifico? Ma nomi e titoli come Inferno oppure Odissea continuano a esercitare un richiamo che testi contemporanei non avrebbero. Questo va a onore di quelle opere ma non di chi le mette in scena.
Le Gole dell’Alcantara fanno parte del territorio di Motta Camastra, un paesino che le sovrasta, edificato su uno sperone di roccia per ragioni evidentemente difensive (dai mussulmani, dalla malaria). Luogo fatto di scalinate, strade ripide, belvederi che si aprono sulla vastità della valle, sul giallo dei Peloritani che qui finiscono trascorrendo nella pietra lavica dell’Etna, la cui visione è da Motta imponente, magnifica.

Poche persone abitano il paese, persone che si fidano (ho visto un’automobile con il finestrino aperto e dentro una borsa anch’essa aperta, la proprietaria non teme furti evidentemente); che cercano di conservare la memoria di questo spazio da loro amato, per quanto scomodo (Giuseppe Cosentino ha le pareti della sua barberia tappezzate di fotografie di Motta e dei suoi abitanti lungo i decenni); che si riuniscono all’aperto e chiacchierano in una piazzetta davanti a quello che immagino essere l’unico bar del paese.
Motta Camastra è un piccolo ma significativo esempio di che cosa sia e che cosa significhi una comunità ancora esistente e viva, rispetto all’omologazione di luoghi tutti uguali, tutti insicuri, tutti zombi.
Per quanto ridotta a frammenti, la voce di Omero sottostante è anch’essa ben viva, giovanissima.

2 pensiero su “Odisseo all’Alcantara”
  1. Ho letto la tua magnifica prosa con cui descrivi un particolarissimo e potente “genius loci” siciliano, sorto per volontà umana -probabilmente ispirata dal divino-, per misteriose potenze naturali, per l’ incanto della parola e del poema omerico. La Sicilia è una terra troppo misteriosa, troppa sacra e cara agli dei per poter essere compiutamente indagata da parola umana.

    1. Grazie, Michele, per aver apprezzato il tentativo di restituire qualcosa di luoghi vicini e diversi nel tempo e nello spazio ma, davvero, tutti cari agli dèi, prima e al di là dell’umana presenza.

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