Come ogni anno, qualche settimana fa ho ricevuto dal mio Dipartimento due documenti che si intitolano Rapporti di riesame ciclico, relativi ai corsi L-5 (Filosofia, triennale) e LM-78 (Scienze filosofiche, magistrale) nei quali si fa il punto della situazione relativa all’offerta formativa, al numero degli iscritti e dei laureati, ad altri numerosi elementi organizzativi e statistici, alle eventuali azioni per migliorare i punti critici. Documenti nei quali si valuta e ci si ‘autovaluta’.
Ai docenti che insegnano in tali corsi si chiede di approvare o respingere tali documenti. Io ho risposto astenendomi e ho inviato ai colleghi che hanno redatto tali documenti una lettera nella quale ho motivato la mia astensione.
Ho ricevuto due risposte che rendo anch’esse pubbliche, con l’autorizzazione dei loro autori. Nel secondo caso la persona che mi ha inviato le sue riflessioni preferisce rimanere anonima.
Per i lettori di questo sito non si tratta di nulla di particolarmente nuovo ma è molto significativo e positivo che le riflessioni da me proposte ai colleghi siano state da alcuni di loro condivise.
Al libro di Eric D. Hirsch e a quello di Angélique del Rey, ricordato da Massimo Vittorio, aggiungo un testo fondamentale, nel quale Valeria Pinto già più di dieci anni fa aveva compreso la direzione verso la quale l’ossessione valutativa si stava muovendo (e il suo reale significato): Valutare e punire, Cronopio 2012.

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Cari colleghi, 

vi disturbo per comunicarvi le ragioni della mia ‘astensione’ sui Rapporti di riesame ciclico relativi ai corsi L-5 e LM78.
Ragioni che non riguardano il vostro lavoro, che apprezzo molto per la dedizione, il tempo, la pazienza con le quali vi siete dedicati a questo impegno. Sono ragioni generali, che concernono la proliferazione ormai patologica di analisi, report, valutazioni e autovalutazioni. Tutto questo non è il nostro lavoro; noi siamo studiosi e non amministrativi o statistici.
Ma non si tratta solo di questo. La ragione del mio netto rifiuto di tali pratiche riguarda la loro irrazionalità. Tali procedure ormai ossessive mi ricordano infatti la burocrazia sovietica, dove il proliferare dei documenti, dei rapporti, delle ammissioni di errori e insufficienze chiesto agli impiegati del regime non ne migliorava affatto il funzionamento e anzi ne nascondeva la profonda, appunto, irrazionalità.
Anche in siffatti documenti si possono tuttavia trovare delle riflessioni sensate, come quella che ho letto a p. 26 del documento relativo al corso L-5:

«Dalle schede OPIS compilate sia dagli studenti frequentanti e non frequentanti (d.1) sia dai docenti (d.11), emerge ormai da qualche anno come costante dato critico l’inadeguatezza dei prerequisiti, che influisce molto sulla fluidità delle carriere e sugli abbandoni. Questa tendenza è molto generalizzata, ma anche radicata, dal momento che non muta nonostante il miglioramento di alcuni indicatori della performance degli studenti. La discussione sulle schede OPIS che il Gruppo AQ del CdS ha avviato con i rappresentanti degli studenti non ha fornito ulteriori indicazioni per una migliore gestione di questa criticità. Resta il dato, che è connesso all’impossibilità di una selezione più serrata in ingresso e alla difficoltà di affrontare soprattutto gli insegnamenti di primo anno».

Mi sembrano parole oneste, con le quali non ci si nasconde il problema e si ammette la sua irrisolvibilità, dato che la soluzione dipende soltanto in minima parte dai docenti di un Dipartimento universitario e ha a che fare, invece, con le assai più ampie dinamiche sociali.
La scuola non esiste più, semplicemente. E quindi come possono gli studenti arrivare all’Università con un minimo di ‘adeguatezza dei prerequisiti’? Non possono. Io spero che non cederemo alla facile soluzione (della quale pure vedo segnali) di ipersemplificare gli studi universitari. È una non soluzione che consegna l’Italia e l’Europa alla sottomissione a nazioni come l’India, la Russia, la Cina, dove la selezione scolastica e universitaria è molto, molto rigorosa. I nostri figli diventeranno i domestici di quei Paesi.
Traggo queste conclusioni anche dallo studio di un recente volume, rigoroso e documentatissimo: E.D. Hirsch Jr., Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo, trad. e cura di P. Di Remigio e F. Di Biase, Editrice Petite Plaisance, Pistoia 2024.

L’ho fatta più lunga di quanto avessi previsto e me ne scuso.
Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro,
Alberto

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Questa la risposta di Massimo Vittorio, professore associato di Filosofia morale:

Caro Alberto, cari tutti,
Mi conforta leggere queste parole: mi fa capire che non sono l’unico a credere di vivere in una sorta di distopia accademica.
Ho avuto modo di comunicare il mio dissenso diverse volte, specialmente a coloro che più forse subiscono tutto questo, […] che ringrazio ancora per l’indispensabile supporto.
Se è vero che alcune di queste procedure di autovalutazione hanno reso il corpo docente più consapevole delle dinamiche che regolano un intero CdS, tirando spesso fuori il singolo docente dalla torre d’avorio delle proprie lezioni/ricerche/esami e facendogli ricordare che fa parte di una comunità che si regge grazie al (buon) lavoro di molti (se non di tutti), dall’altro è certamente vero che il fascino della autovalutazione non conosce limiti: ci sarà sempre spazio per una valutazione di qualcosa e per una certificazione di qualcos’altro.
Si tratta di una proliferazione burocratica incontrollata e alienante (come aveva ben evidenziato già qualche decennio fa Taylor), che non solo sposta e svilisce il senso della missione e della funzione docente, ma che ben testimonia la deriva sociale in direzione della mera matematizzazione del mondo (numeri, percentuali, parametri, indicatori), che si presta all’esigenza di quantificare tutto, legando pericolosamente il valore all’utile, alla quantità.
Mi scuso anch’io per avervi trattenuto nella lettura e certamente non è questa la sede per affrontare tematiche tanto serie. Ma ritengo che sia un dovere morale discuterne tutti come comunità di docenti, ricercatori, studiosi. Perché quando si inizia a farcire la lingua di acronimi, molto del nostro dire all’università e sull’università finisce per essere veicolato da SUA, SMA, GOMP, RAQ, RRC, AQ, ANVUR, ASN; e allora resta davvero ben poco da dire. E tutto il nostro essere non è che un essere valutati: «Valutato, dunque sono» (Angélique del Rey, La tirannia della valutazione).

Un caro saluto e un augurio di buon, serio, lavoro.
Massimo

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E questa è l’altra risposta che ho ricevuto:

Caro Alberto,
grazie per il tuo messaggio. Come ben sai (non ne faccio mistero) su questi temi siamo d’accordo praticamente su tutto e solo il mio attaccamento all’Università, al nostro Dipartimento e ai nostri corsi di laurea (quindi, in ultima istanza, al nostro lavoro e ai nostri studenti), mi spinge (e quasi costringe) a continuare assiduamente a occuparmi di tutta questa (ormai elefantiaca) componente amministrativa e burocratica del mondo accademico.
Sono convinto (anche di questo non faccio mistero) che tutti noi abbiamo colpevolmente e incredibilmente sottovalutato, al momento opportuno (il primo quindicennio di questo nuovo millennio, più o meno), la portata del cambiamento epocale che stava coinvolgendo il mondo universitario, con l’ingresso in esso di un sistema di valutazione e autovalutazione che, una volta messo in piedi, non ha fatto altro che seguire il corso della sua propria natura, che è quella di moltiplicarsi all’infinito fagocitando tutto ciò che lo circonda.
Spero davvero di sbagliarmi, quando penso (e tremo a questo pensiero) che ormai sia troppo tardi per porre rimedio a tutto ciò

3 pensiero su “Valutazione”
  1. È ovvio dirti che condivido pienamente ciò che tu e i tuoi due colleghi scrivete sulla irreversibile trasformazione che il mondo universitario ha subito, metamorfosi che sempre più si consolida come potere burocratico, sopraffazione della logica matematico-quantitativa, marginalizzazione dei significati culturali e formativi. Alla radice di tutto questo c’ – c’è lo siamo detto molte volte – la morte della scuola italiana, la sua riduzione a struttura di contenimento di tutte le idiozie che la cultura educativa e formativa sforna incessantemente. Ammiro la tua decisione di astenerti nella votazione e le due dichiarazioni dei tuoi colleghi. Non so se un giorno un Nume vorrà salvarci da questo collasso nazionale.

  2. Già qualche anno fa il mio “Maestro” , Mario Torelli disse: “ tra poco i professori universitari saranno sostituiti da ragionieri col pallottoliere “ e purtroppo ci si muove sempre di più in questa direzione

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