
Vorrei indicare brevemente qual è il fondamento fisico della prospettiva metafisica che in vari libri e saggi cerco di formulare. Si tratta di un fondamento cosmologico che rende assai evidente la completa insignificanza del nostro pianeta nell’universo e quindi l’inessenzialità della nostra e delle altre specie viventi.
Tale realtà è descritta in modo semplice e chiaro in un articolo del numero 60 (aprile 2025) del mensile Cosmo2050. L’articolo si intitola Il respiro dell’universo, l’autore è Marco Sergio Erculiani. Ne riporto qui l’incipit (p. 28), particolarmente efficace. Invito a porre attenzione al significato dei numeri che si utilizzano in questo testo e ricordo che la luce viaggia alla velocità di quasi 300.000 km al secondo; già immaginare quindi che cosa sia un solo anno luce è per la nostra mente un’impresa improba:
Se ci limitiamo alla materia ordinaria, l’universo è un insieme di centinaia (o migliaia) di miliardi di galassie, tutte connesse fra di loro dalla forza di gravità. Come una immensa rete neurale che respira e si espande alla velocità che aumenta all’aumentare della distanza a cui si osserva: circa 73,2 km al secondo per ogni megaparsec (Mpc), dove 1 Mpc equivale a 3,26 milioni di anni luce.
Non è semplice comprendere l’Universo. Sia dal lato fisico che dal lato esperienziale. Basti pensare alla unità di misura delle distanze che si usa in astronomia: l’anno luce, la distanza che la luce può percorrere in un anno. Stiamo parlando di 9460 miliardi di chilometri, equivalenti al percorso che compie la Terra intorno al Sole in 10.000 anni. Nonostante le grandi dimensioni di questa unità, le misure dell’Universo richiedono dei numeri giganteschi. La nostra Galassia ha un diametro di 100mila anni luce, la galassia di Andromeda, la più vicina a noi, dista 2,45 milioni di anni luce. Il raggio dell’Universo osservabile è stimato in circa 46,5 miliardi di anni luce…
Queste cifre sono utili come strumenti matematici ma sono inafferrabili dalla nostra coscienza.
L’articolo prosegue inserendo il nostro sistema solare all’interno della Via Lattea, la quale è soltanto una delle miliardi di galassie che compongono il Superammasso della Vergine, che fa parte a sua volta di una immensa e impensabile struttura chiamata Laniakea (in hawaiano: ‘Paradiso infinito’). Ma anche Laniakea è parte di una realtà più ampia denominata Superammasso di Shapley.
Per capire ancora meglio, consiglio anche la lettura di un breve testo pubblicato sul sito della rivista: Dalla Terra ai confini dell’Universo.
Di fronte a tali dati e all’impensabile (alla lettera) vastità dell’Universo, ritengo che l’unico atteggiamento metafisico e scientifico sensato sia l’antropodecentrismo.
Prospettiva che era già assai chiara nei Dialoghi di Giordano Bruno, in particolare nella Cena de le Ceneri, nel De la causa, principio e uno, nel De l’infinito, universo e mondi. Prospettiva che fonda anche una filosofia assai diversa da quello di Bruno, la Teodicea di Leibniz, il quale pensa correttamente che la Terra
n’est qu’une planète, c’est-à-dire un des six satellites principaux de notre soleil ; et comme toutes les fixes sont des soleils aussi, l’on voit combien notre terre est peu de chose par rapport aux choses visibles, puisqu’elle n’est qu’un appendice de l’un d’entre eux. […] Que ce soit le ciel empyrée ou non, toujours cet espace immense qui environne toute cette région pourra être rempli de bonheur et de gloire. […] Que deviendra la considération de notre globe et de ses habitants ? Ne sera-ce pas quelque chose d’incomparablement moindre qu’un point physique, puisque notre terre est comme un point au prix de la distance de quelques fixes ?
La Terra è soltanto un pianeta, vale a dire uno dei sei principali satelliti del nostro Sole; e come tutte le stelle fisse sono anch’esse dei soli, si vede come la nostra Terra sia poca cosa in confronto all’insieme delle cose visibili, poiché non è altro che un’appendice di una di tali stelle. […] Che si tratti o meno dell’Empireo, questo immenso spazio che circonda l’intera regione [visibile] potrebbe essere colmo di felicità e di gloria. […] Che cosa diventerà la considerazione del nostro globo e di chi lo abita? Non sarà qualcosa di incomparabilmente inferiore a un punto fisico, poiché la nostra Terra è come un punto rispetto alla distanza delle [stelle] fisse? (Théodicée, I, § 19).
Di fronte alla potenza e alla densità del cosmo appaiono inoltre veramente bizzarri la pretesa di negare la realtà fisica del tempo (che invece con l’universo coincide) e di attribuire alla nostra specie una qualche funzione produttiva del reale (il Geist, lo Spirito), come fanno le diverse forme di idealismo e di trascendentalismo.
La critica marxiana all’idealismo della Heilige Familie, della sacra famiglia degli idealisti, per essere completa deve diventare una critica anche e specialmente dell’antropocentrica famiglia, della quale fanno parte, insieme agli idealisti, anche e soprattutto i monoteismi religiosi e le filosofie del soggetto umano sovrano.
La misura, il senso e la funzione di Homo sapiens sono ciò che la cosmologia indica con implacabile chiarezza: un nulla.
La perfezione, la pura energia senza dolore, la luce, il divino.
Essere questo, non un umano, essere il Sole, essere stella.

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4 commenti
Federico
Riporto un passo, che fra l’altro è già presente nella sezione “Aforismi” di questo sito, tratto da un bel saggio di Heinz von Foerster:
«Per quanto sorprendente, tutto questo non dovrebbe tuttavia essere davvero una sorpresa, perché “lì fuori” non ci sono né luce né colore, ma solo onde elettromagnetiche: “lì fuori” non ci sono né suono né musica, ma solo variazioni periodiche della pressione dell’aria; “lì fuori” non ci sono né caldo né freddo, ma solo molecole in movimento dotate di minore o maggiore energia cinetica, e così via. Infine, sicuramente, “lì fuori” non c’è dolore.»
Von Foerster H., “Costruire una realtà”, in AA.VV., La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Milano, Feltrinelli, 1988, p. 41.
Michele Del Vecchio
Molto interessante la pubblicazione di materiali sulla cosmologia. E ti invito a proseguire questa attività di documentazioni e di riflessine anche là, dove sorge il sospetto che questo infinito cosmo confermi la irrilevanza della presenza umana. Devo dirti che personalmente freno sulla conclusione circa la nullità dell’homo sapiens a fronte della gigantesca, infinita macchina che si dilata inesorabilmente. Non mi riesce proprio di farlo questo passaggio, dalla dimensione del gigantesco, dell’infinito, del perenne movimento alla microscopica dimensione del nulla, la nostra. Perché devo riconoscermi un semplice “niente” ? Il mistero del cosmo è anche il mistero della mia presenza, della mia esistenza, della mia coscienza, del mio pensiero, della mia vita. Vivo, pienamente vivo nel mio microcosmo; e nel mio minuscolo granello di sabbia non so darmi ragione né dell’uno né dell’altro. So che ci sono entrambi: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. E cosa ci stanno a fare, non lo so.
Emilo
Icastico e adamantino, il fondamento cosmologico del suo antropodecentrismo, gentile professore Biuso. Come non esserne persuasi? Che l’umano sia un misero niente, e tale da considerare, è passaggio che mi sento seraficamente e convintamente di fare al cospetto di questo immenso spettacolo cosmico, concettualmente inarrivabile. Senonché mi resta da capire – ma mi resta da capire da anni – perché questo niente si crogiola con il non-niente, in atteggiamento pervicacemente antifrastico, a pensare ed elaborare sistemi, formule e queruli programmi che promettono liberazione e salvezza ma poi, come facilmente ci si avvede, producono solo disastri, guerre, schiavitù, sofferenze e atrocità inenarrabili (Quando non si crede nell’intercambiabilità delle idee, il sangue scorre, dice Cioran). Mi sembra che non ci siano chiavi che possano aprire questo misero niente, non l’Arte, non le Religioni, non le Grandi Narrazioni, già in crisi da tempo, e nemmeno, da ultimo, la “Diserzione” contro il dominio neoliberale dell’algocrazia tecno-finanziaria, predicata da Franco Berardi con le “comunità epicuree non appetitive”. Paolo Godani, in questa scia, nel suo recente La Melanconia e la fine del mondo, fa riferimento all’ “Ethos del trascendimento” proposto da Ernesto De Martino per spiegare l’inesausta tensione al superamento del dato biologico naturale da parte dell’uomo (che altri chiamano “totalità incompiuta” o “costitutiva difettività dell’uomo”). Senonché non è convincente a mio avviso nemmeno il trascendimento dell’ethos del trascendimento, che è la conclusiva formula, mi pare, cui sia giunto il pensiero politico-filosofico più avvertito di questi tempi, con la proposta delle comunità non appetitive di cui sopra. In conclusione, mi sembra di restare paralizzato e intrappolato, come dicevo, a fronte di un cosmo immenso e abiotico, nella inconcussa nescienza di un niente (l’umano) che si ostina a dire inutilmente e disastrosamente, qualcosa.
agbiuso
Gentile Emilio, le sue domande sono pienamente legittime. E la ringrazio per i numerosi riferimenti presenti nella sua riflessione.
Io credo che uno dei limiti anche delle prospettive politicamente più critiche stia nel rimanere abbarbicati a un’etica che attribuisce alla nostra specie in ogni caso una primazia rispetto al mondo della materia naturans e non semplicemente una differenza. Siamo animali che lottano per il territorio, per il cibo e per le femmine. Lo facciamo con strumenti a noi peculiari – come ad esempio questo sito – ma non potremmo fare altro. Siamo materia che lotta per esistere ancora sino a quando finalmente ogni lotta, e con essa ogni dolore, sarà stata cancellata.
Sino ad allora dobbiamo comunque pensare, dire, comunicare. Semplicemente perché questa è la nostra natura, tale è il nostro modo di essere forma e manifestazione della natura naturans e della natura naturata, vale a dire il modo in cui siamo parte dell’intero.