Skip to content


Statue

Statue

Vasco Ascolini. De Statua
Galleria 70 – Milano
Sino al 15 giugno 2025

Una piccola ma nota galleria milanese, la Galleria 70 di Eugenio Bitetti, non si è mai piegata a ciò che Giuseppe Frazzetto ha definito il sistema dell’arte, basando invece ogni propria scelta, tematica e artista sulla necessità del bello. Una necessità plurale, vasta, che può toccare le epoche e gli spazi più diversi.
Le trenta immagini nelle quali sino al 15 giugno sarà possibile entrare costituiscono una prova di tale modo di intendere l’arte e la funzione del gallerista. L’autore è Vasco Ascolini, artista noto in tutto il mondo e che ha fotografato delle statue in varie città d’Europa. Fotografato? No, Ascolini le ha rese vive, le ha fatte dialogare tra di loro e con chi guarda, le ha fatte emergere dal buio, le ha rivestite di una luce che è insieme pacata, inquietante e profonda.
Le sue sculture non sono mai separate e astratte ma appaiono sempre poste in continuità con lo spazio. E questo accade che si tratti di musei, di chiese, di laboratori di restauro, di piazze e persino di magazzini dove le statue aspettano di essere curate o esposte. Lo spazio e la luce sono i veri elementi di un dialogo con il marmo che rende il marmo luminoso pur essendo fotografato sempre nel bianco, nel nero e nel grigio. Fotografato in una gamma di sfumature del grigio davvero speciale, frutto anche del fatto che Ascolini sviluppa personalmente nella camera oscura le proprie immagini. Tanto da aver smesso di fotografare quando per ragioni di salute non gli è stato più possibile operare sui suoi negativi. Perché, scrive Bitetti nel catalogo, «essendo per lui la fase della stampa inseparabile dall’intero processo di creazione dell’immagine, aveva preferito smettere. Un ragionamento forse inconcepibile per i criteri della logica contemporanea».
Eleonora d’Aragona emerge dall’ombra, somigliante a una statua asiatica. Un busto del Musée Rodin è circondato dalle luci, riflesse probabilmente da un lampadario. Riflesso che moltiplica i cenni in un profilo dell’Altes Museum di Berlino nel quale due figure che sono la stessa statua sembrano entrare e uscire nello spazio silenzioso della stanza, sullo sfondo di una grande finestra. Da una colonna del Duomo di San Giovanni in Persiceto l’aquila guarda in alto verso il Quarto vangelo ma di essa si scorge soltanto il busto e del libro solo il frammento di una pagina. Da un altro Duomo, quello di Mantova, una figura emerge come ierofania dallo spazio buio. Nella luce di Trieste, invece, una statua su un piedistallo guarda il mare, perfettamente al centro di una costruzione prospettica fatta di alberi, di vasi, di siepi. Di uno dei tesori del Museo Archeologico Nazionale di Atene rimane la linea d’ombra e di luce, una curva di materia cosmica (immagine di apertura).
Queste e altre opere sono trasfigurate, diventano tutte contemporanee e soprattutto sono vive, veramente vive. «Di rado si rinviene in arte una qualità dinamica tanto vera, un senso di movimento così naturale come nelle statue di Ascolini», scrive ancora Bitetti. Il quale ha posto le immagini in dialogo con alcune opere di arte africana che rendono così prezioso il suo spazio.
E allora comprendiamo il segreto di tutto questo: l’animismo. Come le sculture d’Africa, anche le statue di Ascolini sono vive e totali poiché sono sacre, perché in esse accade, si incarna e splende la luce della materia plasmata dalle forze divine del mondo, dalla potenza quieta della natura dio. 

Inserisci un commento

Vai alla barra degli strumenti