
Oh, Canada
di Paul Schrader
USA, 2024
Con: Richard Gere (Leo Fife), Jacob Elordi (Leo Fife giovane), Uma Thurman (Emma/Gloria), Michael Imperioli (Malcom)
Trailer del film
Scorrono scorrono le immagini della vita, le sue memorie, mentre un tumore divora il corpo e ogni giorno, ogni ora potrebbero essere gli ultimi.
Scorrono scorrono le parole, il fiume di parole che Leonard Fife rivolge tramite una telecamera a sua moglie e ai vecchi allievi che lo stanno intervistando, convinti di documentare il testamento di un grande regista e fotografo, che ha filmato le tragedie e i crimini degli Stati Uniti d’America, la violenza contro gli altri animali, la pedofilia nelle Chiese. E che si rifugiò in Canada per non andare a massacrare i vietcong nella guerra scatenata dagli USA contro il Vietnam.
Scorrono scorrono le bugie che si trasformano in verità, poiché Leonard non vuole più fingere e dalle sue parole lucide e insieme scomposte, dai gesti decisi e affaticati, dallo sguardo determinato e perduto, emerge la vita di un uomo che nulla ha avuto di eroico, come ha sinora invece fatto credere. Un’esistenza affastellata di silenzi, inganni, doppiezze, amori non amori e soprattutto fughe, a cominciare da quella che lo portò in Canada non per ragioni politiche ma per semplice, pur se comprensibilissima, codardia.
Scorrono scorrono gli sguardi increduli dei suoi amici, le lacrime della moglie, l’urina nella sacca. Prima che la fatica di respirare sbarri l’ultima e sempre fallita fuga.
Scorre scorre sugli eventi lo sguardo calvinista che diventa in Paul Schrader uno scavo sempre più affranto dentro la miseria umana.
Il contatore di carte (2021) disegnava una cupa atmosfera di colpa e di infamia. Il maestro giardiniere (2022) abitava Gracewood, luogo di inquietudine ma anche di una paradossale grazia. Il Canada di questo film è il tempo che scorre, redime, condanna, rende vecchi e fa morire. Il luterano Søren Kierkegaard e il cattolico Eugenio Mazzarella sostengono entrambi che «il corpo e la sua morte restano i più grandi pensatori». Scorrono in questo film il senso e la luce di tale affermazione.
1 commento
Michele Del Vecchio
Si,certamente, l’esperienza del nostro corpo che decade, che si inceppa, che si incurva, che si si disfa, che si allontana inesorabilmente dalla vita, può essere quella condizione, quella esperienza che ci rivela la verità a cui ci siamo sempre sottratti, Il morire, quando ci si presenta nella sua inesorabile verità, quando si manifesta in tutta la sua invincibile forza a cui non possiamo in alcun modo opporci, non ci lascia altra strada che quella di consegnarci ad esso,senza più disporre di alcuna risorsa che non sia quella di accettare l’atto conclusivo. Soli e senza più la compagnia delle menzogne che ci hanno tenuto in vita sino ad allora.In questa senso il morire ci restituisce alla verità.