Skip to content


Crimini

Crimini

Friedrich Dürrenmatt
Il complice
Commedia
(Der Mitmacher, 1971-1973, prima rappresentazione a Zurigo 5.3.1973)
In «Teatro», a cura di Eugenio Bernardi
Traduzione di Emilio Castellani
Einaudi-Gallimard, Torino 2002
Pagine 951-1010

Tra il 1957 e il 1985 Friedrich Dürrenmatt scrisse un romanzo intitolato Justiz, allo scopo esplicitamente dichiarato di «sondare ancora una volta scrupolosamente le possibilità che forse restano alla giustizia» (Giustizia, Garzanti 1989, p. 11). La risposta, negativa, è del tutto chiara anche in questa ‘commedia’ dei primi anni Settanta. I suoi temi sono la giustizia, appunto, e la catastrofe.
La trama si incentra su Doc, un chimico, uno scienziato brillante e riconosciuto – il quale «credev[a] alla favola della libertà della scienza» (p. 954) – che dopo essere passato dall’università all’industria privata viene licenziato e si ritrova a fare il tassista. In questa veste incontra un boss della malavita al quale si offre come capace di risolvere il problema dello smaltimento dei cadaveri, che lui è in grado di disgregare e gettare nelle fogne come liquidi. Abita dunque da anni nei sotterranei di un palazzo dove ha sede il suo laboratorio di necrodialisi, nel quale vive, dorme e legge fumetti. Il ‘mondo di sopra’ gli è assente. Eliminare in questo modo altri umani è solo questione di affari – non sa chi sono, non gliene importa – ed è noto che «tutti gli affari sono sporchi» (975), che «il mondo degli affari si regge sulla brutalità» (988).
Insieme al Boss arrivano via via Cop, un capo della polizia corrotto che chiede il 50% degli introiti della ditta, e Bill, un giovane diventato, dopo aver fatto uccidere lo zio, l’uomo più ricco del mondo. Bill è figlio di Doc, ha maturato una forma estrema di anarchismo e offre una cifra enorme per far uccidere al Boss il presidente della Repubblica. La motivazione sta nel tentativo di portare alla consapevolezza i cittadini mediante una serie di catastrofi politiche, anche perché «solo la perdita di affari colossali può avere qualche effetto su un mondo come questo» (1003). Affermazione di inquietante attualità, dato che i maggiori conflitti in corso, in Ucraina e in Palestina, sono frutto appunto di affari, delle aziende produttrici di armi ma non soltanto di esse. Ma sullo sfondo e dentro il testo emerge con chiarezza che la vera e inevitabile catastrofe è l’esistenza dell’umanità.

Un’esistenza quasi del tutto priva di un valore del quale sono pieni i trattati di etica, di giurisprudenza, di teologia: la giustizia, appunto. Rivolgendosi a Doc il poliziotto chiede: «Giustizia, figliolo? È pura fantasia, disse. […] La giustizia è impossibile». E aggiunge: «Oggi viene tolto di mezzo chi scopre un crimine, non il criminale» (1005); un’affermazione che costituisce l’epigrafe, ad esempio, del caso Assange, il giornalista incarcerato, perseguitato e condannato dal democratico e libero Occidente per aver semplicemente reso note le comunicazioni interne agli apparati di potere degli Stati Uniti e delle sue colonie, comunicazioni di natura criminale, appunto. Il fatto è che la criminalità è «già da un bel po’ la forma tipica della civiltà di oggi» (1006).
Tale intrinseca assenza di giustizia è tuttavia a sua volta un elemento secondario, derivato. È uno dei tanti fattori prodotti dall’inverosimile casualità che ha condotto l’evoluzione, o comunque il meccanismo chimico, all’esistenza di un animale capace di elaborare linguaggio e concetti e dunque di utilizzarli per la distruzione. La complicità sta nell’esistenza stessa di questo «vertebrato della malora» (1244), che si è moltiplicato sino a raggiungere nel 2022 l’incredibile cifra di otto miliardi di esemplari e la cui proliferazione a livello mondiale non accenna a diminuire.

L’ampio commento di Dürrenmatt a questo suo testo indica con chiarezza la necessità di fermarsi, o meglio indica con chiarezza il fatto che se questa specie di conigli bipedi non cercherà da sola di fermare la propria riproduzione, provvederà per essa il sistema biologico del quale è soltanto una parte:

Questa esplosione di abitanti del pianeta può avere come conseguenza solo la fame che esisteva, è vero, anche in precedenza, ma che ora cresce immensamente, vista la quantità enorme di abitanti della terra e non solo la fame, anche le epidemie sono in agguato, epidemie che senza dubbio imperversavano anche in precedenza, ma che ora si propagano nonostante la medicina moderna, con virus che in un certo senso si inventano da sé, anche le catastrofi naturali diventano sempre più spaventose, poiché aumentano anche le loro possibili vittime, senza che la fame, le epidemie e le catastrofi naturali arrivino peraltro a porre un freno a questa crescita gigantesca dell’umanità (1244).

E tuttavia sui tempi della natura non soltanto terrestre, sui tempi della natura e basta, dei processi energetici  del Sole e della materia universale, su tali scale temporali tutto questo rimane irrilevante poiché «dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire» (Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, trad. di Giorgio  Colli, in «Opere», vol. III/2, Adelphi 1964 e sgg., p. 355).
E questo è la giustizia.

3 commenti

  • Emilio Simonetti

    Novembre 26, 2024

    Da recente neofita dell’Antinatalismo, non so valutare appieno – al di là dell’evidente interesse per i contenuti letterari del suo lavoro – le connessioni dell’opera di Dürrenmatt con questo tema. Connessioni, mi pare, segnalate dal professore Biuso anche con il link a quello che mi sembra il miglior approfondimento sull’Antinatalismo, uscito lo scorso anno sulla rivista Dialoghi mediterranei. In ogni caso, posso notare, sempre da neofita, una certa somiglianza/affinità della “stimmung” antiumanistica del suo commento all’opera dello scrittore tedesco, con quella di certi scritti “efilisti”, anche questi scoperti dal sottoscritto solo di recente. Stessa repulsione filosofico-morale per il “coniglio bipede” o “invertebrato della malora”, che intossica criminalmente il pianeta con 8 miliardi di abitanti. Mi colpisce anche il paradosso indicato dal commento di Sarah Dierna come conseguenza, se ho capito bene, dell’egoismo razionale di Derek Parfit: “A questo punto, sarebbe il caso di dire che l’Antinatalismo debba essere auspicato se la specie vuole sopravvivere o meglio se non vuole anticipare la propria estinzione”. Mi permetto di notare che qui, credo, è stata costruita e inserita una freccia in più nella faretra dell’Antinatalismo.

  • Michele Del Vecchio

    Novembre 26, 2024

    E’ un intreccio di riflessioni e di formulazioni da cui non si esce. Sarà la Provvidenza a tenere in vita l’umanità, cresciuta a dismisura nel suo minuscolo atomo ? Per ora dico no. Ma non escludo ripensamenti. Sarà la natura, cieca e generosa, a ristabilire quell’equilibrio che oggi sembra destinato a saltare e travolgere i miserabili resti di questo insignificante ente, sconosciuto ed introvabile nella restante immensità del cosmo ? Oppure sarà il caso, con la sua prevedibile imprevedibilità, a disintegrare questo atomo oscuro di Male ? O sarà l’uomo a salvare se stesso ? Forse qui siamo più vicini alla verità. Quanto costi, in termini umani questa salvezza non lo so. So che il prezzo sino ad ora pagato è stato altissimo, a tal punto che mi verrebbe voglia di lasciar perdere tutto: il Male (Dürrenmatt) e il Bene (la vita che mi porto dentro).

  • Sarah

    Novembre 25, 2024

    Il commento di Dürrenmatt si presenta come un’ennesima conferma della natura filantropica dell’Antinatalismo che è tale, in questo caso, non perché si occupa della vita di coloro che ancora non ci sono, bensì dell’esistenza di coloro che già esistono. Da un punto di vista morale, tale posizione corrisponderebbe all’egoismo razionale teorizzato da Derek Parfit; da un punto di vista biologico si tratta di un’ovvietà che non abbisogna di calcoli ma di un minimo di buon senso.
    A questo punto, sarebbe il caso di dire che l’Antinatalismo debba essere auspicato se la specie vuole sopravvivere o meglio se non vuole anticipare la propria estinzione. Perché presto o tardi la fine della nostra specie è, per fortuna, assicurata.
    Aggiungo, infine, che il richiamo biologico, naturale e non antropocentrico è forse il meno sondato all’interno della riflessione antinatalista e non credo che questa mancanza sia da imputare alla sua ovvietà. Ritengo piuttosto che la prospettiva morale conservi ancora un’ombra umana che qui si perde del tutto. In altri termini, mettere in gioco l’interesse dell’esserci, che esiste o che ha ancora da essere, mitighi – almeno in parte – la verità dell’Antinatalismo. Escludere del tutto l’umano e mostrarne la sua presenza virale, nociva, del tutto trascurabile e in ogni caso destinata a finire appare troppo scomodo persino da parte di coloro che difendono la conclusione non procreativa. Si tratta di una via nuova che, almeno per adesso, non ho trovato nei miei studi. La ringrazio, quindi, per gli spunti di riflessione che, anche attraverso questo spazio, sta dando alla mia ricerca.

    Un caro saluto,
    Sarah

Inserisci un commento

Vai alla barra degli strumenti