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Più redenti

Più redenti

Maria Maddalena
di Garth Davis
Gran Bretagna, 2018
Con: Rooney Mara (Maria Maddalena), Joaquin Phoenix (Gesù)
Trailer del film

I miti, come i classici secondo Italo Calvino, sono quei racconti che hanno sempre qualcosa di nuovo da dire. In Europa il mito cristiano è naturalmente il più conosciuto, accolto, ripetuto. A tutti familiare e a tutti estraneo nella sua grandezza e nella sua assurdità del racconto di un padre che, per riparare i danni prodotti dalla propria evidente incapacità a produrre un mondo decente, non trova nulla di meglio che mandare suo figlio a farsi macellare. Lasciando per il resto tutto intatto nel dolore del mondo.
Che cosa attira così tanto in una storia come questa, più insensata di qualunque mito ellenico o induista? La Croce, questo attira. Un simbolo semplice e potente della condizione umana, della vita che ogni giorno trascina i membri di questa bizzarra specie che si crede speciale a proseguire sulla via del Calvario, vale a dire a campare ancora. Ci si identifica con questo Rabbi un po’ esaltato, molto ascetico, abbastanza sentimentale e soprattutto sicuro di ciò che dice e che fa. Ecco, aver descritto così Gesù è un merito del film di Garth Davis e dell’interpretazione di Joaquin Phoenix, perché dalle testimonianze che abbiamo su questo Maestro credo che l’immagine corrisponda abbastanza al modello.
Aver dato comunque preminenza alla figura di Maria di Magdala non sembra soltanto un effetto cinematografico dell’attenzione da tempo giustamente dedicata alla donna. Il Rabbi, infatti, accettava davvero femmine tra i propri seguaci. Nel mondo antico soltanto Pitagora e Platone avevano fatto altrettanto. Il film descrive Maria con caratteri sostanzialmente analoghi a quelli del Maestro. Un po’ meno sicura di lui e più fredda nella relazione con il mondo. Capace però di profondi slanci e soprattutto di un grande coraggio, prima nell’opporsi ai maschi della famiglia che la vorrebbero sposare a forza, poi nel redarguire gli altri apostoli sulla loro miopia a proposito delle vere intenzioni del Maestro. Con l’ironia tipicamente giovanile dei suoi 33 anni, il Cristo risorto appare soltanto a lei e non agli apostoli (l’episodio di Emmaus è un’altra cosa e qui in ogni caso non compare).
La seconda ragione del grande successo del mito di Gesù è, appunto, la Resurrezione. Pensare che dopo la dissoluzione della nostra unità psicosomatica, dopo la fine del tempo, possiamo tornare a vivere ancora e soprattutto farlo in una sperabile condizione di perenne felicità, è una tentazione troppo naturale e troppo forte per degli animali consapevoli di dover morire e che sono attaccati con le unghie e con i denti alla vita. E però non è un caso che al cinema la rappresentazione di Cristo risorto sia sempre stata un problema quasi insormontabile. Pasolini -se ben ricordo- rinuncia a descriverla. Jesus Christ Superstar la risolve in un ballo  pop, tutto lustrini e percussioni (peraltro molto belle). Persino Zeffirelli si limita a pochi secondi di inquadratura di Gesù con accanto a lui due discepoli che poggiano la testa sulle sue spalle; aggiungendo la frase «sarò con voi sino alla fine del mondo».
Ma con noi non c’è quest’uomo proclamato dio da altri, ben dopo la sua tragica fine. La vita umana è rimasta la stessa imbevibile broda, lo stesso crunch cranch delle ossa rotte, la stessa insolazione che qualche miracoloso pomataro promette ogni tanto di alleviare. E invece il sole ti brucia e la notte arriva.
Sulla resurrezione inciampa anche Maria Maddalena. Rimasto sino a lì un film sobrio e quasi mistico, dopo l’incontro tra Maria e Gesù risorto si conclude in un dialogo tra lei e gli apostoli che è persino imbarazzante nella sua moralistica prolissità. Meglio sarebbe stato chiudere l’opera sull’immagine del Cristo e della Maddalena che guardano insieme l’orizzonte.
È proprio difficile descrivere l’impossibile. Non c’è riuscito neppure Mathias Grünewald nel suo Altare di Isenheim conservato a Colmar. Il Risorto vi appare infatti come una specie di guru volante, anche un poco ridicolo. Molto più riusciti, direi splendidi, sono invece i soldati sotto di lui, travolti dalla luce ma sempre e ancora rotolanti nella sconfitta del dolore umano. Poiché sconfitta è il dolore e nulla redime la sofferenza. Aver convinto troppi umani del contrario è una delle peggiori conseguenze della fede cristiana.
«Bessere Lieder müssten sie mir singen, dass ich an ihren Erlöser glauben lerne: erlöster müssten mir seine jünger aussehen!»
[Migliori inni dovrebbero cantarmi affinché io possa credere nel loro Redentore; più redenti dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli!; Nietzsche, Also sprach Zarathustra parte II, «Von den Priestern (Sui preti)»].

4 commenti

  • Enrico Palma

    Novembre 20, 2020

    Caro professore, mi fa piacere inserire qui qualche mia breve riflessione sul film. A presto.

    Con tutta probabilità il Gesù storico che ci consegnano i Vangeli e la tradizione deve essere stato come questo film ce lo rappresenta: un guaritore ispirato dal Battista con un fortissimo potere carismatico, con un’attrazione magnetica verso coloro che lo incontravano e che da lui si facevano toccare, e con una straordinaria abilità comunicativa e di presa in chi lo ascoltava.
    Gesù è il figlio di Dio che annuncia la conversione, il Nuovo Regno. Seguito dai suoi discepoli percorrono la Galilea, la Giudea e la Samaria predicando questo nuovo messaggio, incontrando le genti dei villaggi in cui si imbattono, tenendo loro i discorsi della nuova verità, battezzandoli nelle acque del mare e facendoli rinascere alla nuova vita. Tra di loro c’è anche Maria di Magdala, la quale ha un dono che le riconoscono anche le donne del suo villaggio, d’essere cioè un’anima per sua natura votata all’aiuto, al soccorso, alla vicinanza, e in più alla meditazione sulla sofferenza e sul sentimento della salvezza. Come dice al suo Rabbi su «ciò che si prova del Regno dei Cieli».
    Gesù guarisce gli ammalati, restituisce la vista ai ciechi, risuscita i morti. A tratti sembra dunque, come deve esserlo stato, un taumaturgo che lenisce le sofferenze di chi invoca la guarigione, di chi soprattutto, come del resto anche i suoi discepoli, recla-ma un segno (i miracoli) per credere in lui. E difatti così gli credono.
    Il cristiano tipico, il seguace modello di questa nuova fede, pare essere proprio Giuda, il quale segue il Rabbi per avere indietro la sua famiglia, sottrattagli a causa di una stagione indigente e dell’oppressione politica così invisa ai discepoli capeggiati da Pietro, i quali più che predicare la pace e la fratellanza vorrebbero fomentare una rivolta armata. Gesù incontra uomini e donne segnati in maniera insostenibile dal dolore: il suo messaggio, forse nella scena più potente del film, cioè la guarigione del guercio, e la fede che esso richiede non sono nulla a confronto dei suoi miracoli, che più dell’amore e della carità le genti reclamano a gran voce. Il Gesù guaritore, come mi sembra evidente anche nei Vangeli, è comprensibilmente ben più ammirato rispetto al Gesù che predica, perché è del miracolo che si ha più bisogno, e una volta che uno di essi accade le folle infatti lo sommergono.
    Probabilmente è proprio la più comprensiva Maria di Magdala, a cui per prima compare il Risorto all’alba del terzo giorno, colei che ha compreso più a fondo il messaggio di Cristo. Il Regno dei Cieli, il Nuovo Regno, in cui tutti saremo in pace amando e venendo amati inizia in ciascuno di noi, nel cuore di ogni battezzato e convertito, quando cioè al male si risponde con il perdono, quando alla sofferenza si replica con l’amore. Solo così il male che l’umano si porta dentro può essere redento. Il Regno è da compiersi qui, ora e in nessun altrove. Non è l’altrove in cui Giuda avrebbe visto la moglie e il figlio, non è l’altrove di cui era speranzoso Pietro, non è l’altrove degli afflitti lungo le campagne e i monti di quella che adesso è detta Terra Santa.
    Il cuore degli uomini è in verità una cloaca. Ed è per questo che Cristo è stato ucciso in un modo orribile e tremendo, che all’uomo buono e giusto per antonomasia si resta increduli e per cui alla fine, con una rabbia e un accanimento tipicamente umani, viene messo in croce. Il mistero della bontà e del male nell’umano e nel mondo sta infatti, più di ogni altro simbolo, luogo e avvenimento, nel mistero di questa croce, di questa morte, ben prima dunque della resurrezione, alla quale, se si comprende il vero messaggio, si può anche restare indifferenti.

  • Pasquale

    Aprile 1, 2018

    Sì è vero ciò che dici. Diremmo che i secondi sono ab imo et initio propaganda per se stessi; un preambolo alla striscia di Ga-rza laddove il primo, secondo me, è così pieno di paganesimo- il cattolicesimo soprattuto mi pare religione di pagus rovinata dalla frequentazione cittadina e borghese – di malocchio e scongiuri, più che di prescrizioni, oggi almeno. Ogni volta che qualcuno mi fa gli auguri di pasqua mi pare che punti le dita a corno dietro la schiena. Sono tentato di replicare a Maria Maddalena con Agnus Dei. Oggi fan la festa agli agni con gl’igni. Un mesto abbraccio pasquale. Psq.

    p.s. ieri in una chiesona non finita e bellissima piantata in un pratone alle porte di Tirano, ho visto quattro sparuti slavi, gli uomini incravattati ocon i loro fazzolettoni le donne, i sottanoni, allestire scatole di colomba e cioccolati all’altare per la benedizione o cosa non saprei di un pretone panzuti e vestito di un costumazzo grigio da garzone di macello.Mi ha fatto una tenerezza… l’infanzia della ragione.La paura. Del resto, viva mia suocera, amavo tantissimo il rito giù a casa in Toscana, vedere la RIna, ti dirò chi era, arrivare il mattino di Pasqua presto con un cestino di uova, coperte d’un tovagliolo prezioso, e che aveva portato all’alba a far benedire, e poi si mangiavano prima di tutto a pranzo. Perdite nel tempo.

  • Pasquale

    Marzo 30, 2018

    Bessere Lieder müssten sie mir singen, dass ich an ihren Erlöser glauben lerne: erlöster müssten mir seine jünger aussehen

    Insomma delle somme altezza cosa vuole…. canta il coro in Cenerentola di Rossini. A motivo di ciò questi film miei omonimi, uno per tutti tutti per uno, il peggiore senz’altro il da te citato di Zeffirini, Gesù e le sue sorelle, mi stanno in uggia. Fossi anche stato tentato dal volermi nuocere adesso che ho letto questa succosa e serafica tua relazione non vado per non guastarmi il gusto di averne letto. E il Caino di SAramago mi sembra più adatto ai piccini. Abbraccioti Psq.

    • agbiuso

      Marzo 30, 2018

      Caro Pasquale, “film miei omonimi” è un’espressione che dice molto della tua ironia, della capacità di volgere le parole a un disincantato sorriso. Il mito cristiano mi interessa sempre, molto più di quelli ebraici (rozzi e violenti) e islamici (insostenibili nel loro sciocchume). Mi interessa perché la teologia è una scienza meravigliosa, imprevedibile e profonda.
      Non sono pochi, ormai, i film che decidi di non vedere dopo aver letto le mie recensioni. Le motivazioni mi gratificano sempre. Grazie dunque.

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