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Jünger

Jünger

Ernst Jünger
Trattato del ribelle
(Der Waldgang, 1951)
Trad. di Francesco Bovoli
Adelphi, 2001
Pagine 136

Di fronte al potere che incessantemente interroga gli uomini contemporanei –tramite anagrafi, schedari, questionari, consultazioni elettorali, richiesta di esibire in ogni momento la propria identità, moduli da riempire su siti telematici, autorizzazioni da dare per accedere ai Social Network- il Ribelle è il Waldgänger, colui che si dà al bosco della propria interiorità inattaccabile, al silenzio su ciò che veramente si è, alla foresta di significati altri rispetto a quelli che la macchina globalista vorrebbe imporre. Immerso nel qui e ora della riflessione e dell’azione, «il Ribelle è il singolo, l’uomo concreto che agisce nel caso concreto» (p. 114). I suoi strumenti di libertà e di rivolta sono la parola, la conoscenza, il coraggio.
La lingua intesse, infatti, la sua azione «intorno al silenzio, come l’oasi si stende intorno alla sorgente» (132) e in questo modo –dando i nomi alle cose- ne fa lo strumento di un λόγος più forte di qualunque menzogna e parola d’ordine.
La conoscenza è forma immediata della liberazione ogni volta che si sforza di attingere «il mito senza tempo che si ripete nella storia» (54); le strutture immutabili dell’umano e del mondano; ciò che rimane identico a sé nel volgere infinito delle differenze, delle novità, dell’effimero. Mediante tale conoscenza, il Ribelle può scoprire l’eternità della stupidità ma anche la sua fragilità. Può scoprire la schiavitù che sta al cuore di ogni progetto che intenda espropriare gli umani di ciò che è loro per dissolverlo nel collettivo che sempre «assume aspetti disumani» (84); infatti, l’ultima proprietà che i poteri totalitari annientano è quella del corpo, con la sua capacità di agire, amare e trovare. Può scoprire che la vera paura -della quale ogni altra è conseguenza e figura- è quella della morte; sconfiggerla «equivale a vincere ogni altro terrore» (76).
La tecnica può apparire forma della rovina ma può anche diventare strumento di liberazione. I suoi vincoli possono essere infranti per attingere invece le sue possibilità poiché «in realtà tutto il potere tecnico dispiegato oggi altro non è che un effimero bagliore dei tesori dell’essere. L’uomo che riesce a penetrare nelle segrete dell’essere, anche solo per un fuggevole istante, acquisterà sicurezza: l’ordine temporale non soltanto perderà il suo aspetto minaccioso, ma gli apparirà dotato di senso» (58)
Il coraggio della mente si traduce immediatamente in quello dell’agire, nella forza di dire no al pensiero unico, alla prevedibilità degli orizzonti, all’omologazione dilagante. In una società nella quale si sono già insinuate «nuove categorie di uomini al tempo stesso intelligenti e sradicati» (121) (gli esseri di cui Pierre Lévy, ad esempio, tesse l’elogio), il Ribelle rappresenta gli altri uomini, le altre intelligenze che resistono, che inventano, che pensando costruiscono dighe contro ogni potenza volta a fare dell’umano un gregge e della tecnica il suo guardiano.

3 commenti

  • Pasquale

    Febbraio 13, 2018

    Va bene, oìmoi. Psq

  • Pasquale

    Febbraio 12, 2018

    Curiosa ulteriore coincidenza di pensieri; ho qui nella pila delle letture da fare, appena ricevuti per posta, lo Jünger di Trattato e di Oltre la linea , insieme con La questione dell ‘essere di M.H. Evviva. Psq.

    • agbiuso

      Febbraio 12, 2018

      Vedi, caro Pasquale? Ancora una volta è la conferma che Spinoza ha ragione: con parole quali caso o coincidenza noi indichiamo soltanto la nostra ignoranza. Il tutto è la Necessità. Essa si esprime anche in questi incroci di libri che fecondano le nostre esistenze.
      Leggerai dunque due esempi di un pensiero che non trema. Mai. Di fronte a nulla. Concludendo il suo contributo Über die Linie, Jünger scrive infatti che «il proprio petto: qui sta, come un tempo nella Tebaide, il centro di ogni deserto e rovina. Qui sta la catena verso cui spingono i demoni. Qui ognuno, di qualunque condizione e rango, conduce da solo e in prima persona la sua lotta, e con la sua vittoria il mondo cambia. Se egli ha la meglio, il niente si ritirerà in se stesso, abbandonando sulla riva i tesori che le sue onde avevano sommerso. Essi compenseranno i sacrifici» (Oltre la linea, p. 104 della trad. italiana).
      Rispondendogli, Heidegger afferma che «invece di volere oltrepassare il nichilismo, dobbiamo prima raccoglierci nella sua essenza» (p. 162).
      Sono letture consone a questi anni, letture che ci temprano.

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