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Pluralità e interpretazione

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GIORNALE DI METAFISICA
Pluralità e interpretazione

Anno XXXIII (2011), nn. 1-2, Gennaio/Agosto
Tilgher, Genova 2011
Pagine 320

Plurale ed ermeneutico è per sua natura il linguaggio. L‘uniformità unificante vorrebbe invece ridurre la pluralità dei parlanti a una «globanglizzazione» (D .Di Cesare, p. 17) sostenuta anche di recente da ministri, funzionari e decisori politici italiani, i quali sono convinti che la lingua sia uno strumento qualsiasi, mentre invece essa è «l’organo che articola il mondo» (20), tanto che «anche il più sottile imporsi di una lingua, non è l’imposizione di uno strumento come un altro, ma è piuttosto, e più profondamente, l’imposizione di un modo di articolare il mondo» (23). È per questo che ogni monismo linguistico uccidendo le lingue consuma le differenze e invece che creare un «paradiso comunicativo» produce «l’inferno culturale e […] il trionfo della stupidità» (26).
Plurale ed ermeneutico è anche il prospettivismo nietzscheano, che non è una banale forma di relativismo proprio perché le opere di Nietzsche «forniscono dei criteri per discernere –ex negativo ed in positivo- il grado di validità delle varie prospettive» (S. Pastorino, 87). Si tratta di un prospettivismo vicino a quello che due fisici come Hawking e Mlodinow sostengono in un articolo pubblicato su Le scienze (dicembre 2010, p. 88), citato da P. Palumbo: «Non esiste un concetto di realtà indipendente da una teoria o dall’immagine che se ne ha. Adottiamo invece un punto di vista che chiamiamo realismo dipendente dal modello: l’idea che una teoria fisica o un’immagine del mondo sia un modello (in genere di natura matematica) con un insieme di regole che collegano gli elementi del modello alle osservazioni. Secondo il realismo dipendente dal modello non ha senso chiedersi se un modello sia reale, ma solo se concorda con le osservazioni. Se due modelli concordano con le osservazioni, nessuno dei due può essere considerato più reale dell’altro. Una persona può usare il modello più adeguato alla situazione che sta considerando» (138). Sono dei fisici, cioè dei veri scienziati, a mostrare l’ingenuità di non pochi filosofi tutti tesi a ‘naturalizzare’ sempre qualcosa: la mente, il linguaggio, la conoscenza. Ma che cosa è natura? Che cosa è realtà? La conoscenza umana passa sempre attraverso il corpomente che costruisce per se stesso percezioni, giudizi, significati. La materia è la materia della mente.
Da Eraclito a Heidegger la filosofia consapevole della complessità semantica del mondo ha delineato un tentativo di comprensione che nessun riduzionismo scientista è in grado di attingere. Adriano Ardovino dedica un denso saggio ai seminari su Eraclito svolti da Eugen Fink e da Martin Heidegger. I temi principali sono identità/differenza, tempo/mondo, Ereignis/Lichtung, il fulmine.
Heidegger non pensa dialetticamente identità e differenza come pendant l’uno dell’altra ma entrambe «come articolazione unitaria dello stesso» che non vuol dire uniformità ma piuttosto la reciproca «appartenenza (Verhältnis)  della distinzione (Unterschied)» (212).
Che -diversamente da Fink- Heidegger individui in Eraclito un percorso non dal fuoco al Logos ma dal Logos al fuoco, vuol dire l’andare «dall’essere -attraverso il tempo- al mondo come appropriazione e diradamento» (222 e 214). Il mondo non è l’insieme naturalistico degli enti, non è la somma delle cose, non è il numero infinito delle circostanze. Il mondo è l’intersecarsi di Ereignis e Lichtung. Quest’ultima parola non ha a che fare con la luce –Licht– bensì con un diradare dinamico. Non quindi «nel senso, tendenzialmente statico e spazializzante, di “radura”, quanto in quello processuale e temporale di “diradamento”, del liberarsi di una qualche apertura» (217).
Tutto questo è ben sintetizzato da Gadamer quando ricorda le parole incise sull’architrave della baita di Heidegger: Tà de panta oiakìzei keraunòs, «il fulmine governa ogni cosa» (fr. 64 di Eraclito); «Certamente in questa sentenza non viene inteso l’attributo del signore del cielo, attraverso cui egli fa tuonare le sue decisioni sulla terra, ma piuttosto l’improvviso e lampeggiante rischiararsi che rende di colpo ogni cosa visibile, ma in modo tale da essere di nuovo inghiottita dall’oscurità. Così almeno Heidegger legò le sue domande al senso profondo delle parole di Eraclito» (citato a p. 224).

1 commento

  • diegob

    Aprile 1, 2012

    forse la smania di naturalizzare ad ogni costo, è, per come ho inteso io leggendo, caro alberto, la pretesa più scioccamente intellettualistica che esiste

    la nostra natura è pensare, concepire un mondo, non capisco perchè dovremmo vergognarci di avere delle idee

    secondo me dietro c’è un motivo politico, al fondo: con la scusa di sancire il naturale ad ogni costo, si vuol svalutare ogni pensiero nuovo, libero, azzardato, scomodo, così da rubricarlo come inutile esercizio culturale, spesa pubblica da tagliare

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