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Il passato che non si vuole fare passare

Il passato che non si vuole fare passare

Il debito
di John Madden
(The Debt)
Con: Helen Mirren (Rachel Singer), Jessica Chastain (Rachel da giovane), Jesper Christensen (Dieter Vogel), Ciarán Hids (David), Sam Worthington (David da giovane), Tom Wilkinson (Stephan), Marton Csokas (Stephan da giovane)
Usa, 2010
Trailer del film

Nel 1966 a Berlino Est tre agenti del Mossad (il servizio segreto israeliano) rapiscono e catturano Dieter Vogel (“il medico di Birkenau”) allo scopo di condurlo a Gerusalemme e sottoporlo a processo. Qualcosa però va storto e i tre rimangono imprigionati insieme al criminale nazionalsocialista in un appartamento berlinese, dove Vogel si mostra assai più abile di quanto avessero immaginato. Decenni dopo, la verità ufficiale che li ha resi eroi si scontra con una verità diversa. E la lotta sembra non finire, intrecciandosi ai rapporti affettivi mai sopiti tra la ragazza e i due uomini, adesso tutti maturi sessantenni.
Si tratta del remake di Ha-Hov di Assaf Bernstein (Israele, 2007), una Spy Story piuttosto improbabile, il cui elemento migliore sono le scene d’azione, appunto. L’andare e venire tra il passato di Berlino e il presente di Tel Aviv rimane meccanico nel rendere il peso della memoria e di una menzogna prolungata nel tempo. E alla fine si ha la sensazione di un’apologia del feroce servizio segreto israeliano. Un libro di Ernst Nolte criticava sin dal titolo il pietrificarsi del passato –Germania: un passato che non passa (Einaudi 1987)- ritenendolo un’assurdità storiografica e metafisica. Nietzsche ha difeso con molti argomenti la necessità del dimenticare per vivere ancora. Due grandi accordi di pace come l’Editto di Nantes (1598) e il Trattato di Vestfalia (1648) prevedevano delle esplicite “clausole d’oblio”. Esattamente l’opposto delle troppe “giornate della memoria”, uno dei cui effetti è mantenere vivo il rancore, la violenza, l’odio. Forse è bene che anche al cinema, che se ne è occupato in una miriade di modi, quel passato ebraico lasci il posto ad altri stermini, più recenti e non meno atroci.

3 commenti

  • agbiuso

    Ottobre 21, 2011

    Cara Aurora, era proprio Nietzsche a sostenere che bisogna “ricordare sì ma con cautela”, come lei scrive. E quindi la malattia di Nietzsche non dipende né dal ricordare né da altri elementi legati alla sua ricerca filosofica. I filosofi, molto più semplicemente, sono delle persone che si possono ammalare, come tutti noi.
    Più importante di ogni elemento biografico è quanto Nietzsche sostiene nella II Considerazione inattuale –Sull’utilità e il danno della storia per la vita– dove scrive che “è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa felicità: il poter dimenticare […] per ogni agire ci vuole oblio: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non soltanto luce, ma anche oscurità” («Opere», Adelphi, vol. III /1, p. 264).
    Infatti per un individuo ipermnesico -che non riesce a dimenticare nulla- la mente si trasforma in un coacervo di sensazioni, immagini, emozioni prive di un significato coerente poiché è anche la selezione dei ricordi, il loro continuo essere cancellati e riscritti, a dare un senso attivo, vitale, funzionale alla memoria. L’oblio è un dono degli dèi, un modo per annullare il dolore degli eventi, dissolvere l’angoscia degli errori compiuti e subiti, in modo da poter ancora vivere proiettati nella cura del futuro. È questo dono che manca a Ireneo Funes, il personaggio borgesiano che “sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Río Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. […] Ricordava non solo ogni foglia di ogni albero di ogni montagna, ma anche ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata […] Funes discerneva continuamente il calmo progredire della corruzione, della carie, della fatica. Notava i progressi della morte, dell’umidità” (Borges, “Funes o della memoria”, in Finzioni, «Tutte le opere», Mondadori, 1991, vol. I, pp. 712-714). Un uomo così non vive più; allo stesso modo sono pericolose le civiltà e le credenze che ingiungono di “non dimenticare” e sono insane le società nelle quali quasi ogni settimana si celebra una “giornata della memoria”. Questa società è, appunto, la nostra.

  • aurora

    Ottobre 21, 2011

    povero Nietzsche capiva troppo bene tutto,tanto che non ha retto ed è finito in manicomio.E’ meglio non essere così geniali e ricordare si ma con cautela

  • diegob

    Ottobre 20, 2011

    caro prof. biuso, secondo me il passato è un coltello, possiamo usarlo per tagliare in fraterno convivio delle belle fette di pane, ma anche per piantarlo nella schiena ad un odiato nemico

    nietzsche come al solito ha capito tutto: data la natura incoercibilmente ferina dell’uomo, solo un provvidenziale oblìo può salvarci

    certo, il potere usa il cupo tamburo del passato, per distogliere i sudditi dal vedere ciò che accade nell’oggi; ma è chiaro che non si racconta il passato, si usa il passato

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