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Franko B.

Franko B. I Still Love

Milano – Padiglione d’Arte Contemporanea
A cura di Francesca Alfano Miglietti
Allestimento di Fabio Novembre
Sino al 28 novembre 2010

Aver trasformato il corpo dell’artista da strumento dell’opera a opera esso stesso, è certamente uno dei fenomeni più importanti e radicali dell’arte contemporanea. Franko B., milanese di nascita ma londinese da ormai molti anni, è uno di questi artisti-opera che però inserisce se stesso all’interno di un itinerario tra le cose e i concetti del quale egli diventa parte. Le opere presentate in questa mostra sono infatti tra loro differenti, anche se tutte accomunate da una tonalità nello stesso tempo cupa e in rivolta. Il nero vi domina, nel corpo di Franko e negli acrilici che soltanto le ombre in rilievo -e dunque la luce- riescono a far emergere dallo sfondo. Vi si contrappone il bianco-rosso del cotone egiziano cucito sulle tele, a disegnare soggetti diversi. Cinque panche di chiesa ridipinte in color oro formano poi una scultura dal titolo The Golden Age Period, l’età d’oro delle certezze infantili, catechistiche. Alcune grandi fotografie e dei video mostrano il corpo dell’artista nudo e perfettamente bianco, segnato da ferite dalle quali cola il sangue che si raggruma a terra. Nelle opere più recenti, invece, il corpo è dipinto di un nero integrale e immobile, come gli uccelli e altri animali -tutti nerissimi anch’essi- che compongono varie installazioni.

Parte essenziale della mostra è l’allestimento con il quale l’architetto Fabio Novembre ha modificato gli interni del PAC allo scopo di dare luce e spazio al nero di Franko. Entrando, la prima sala è vuota e confluisce nella seconda con un’apertura nel muro a forma di croce, al centro della quale c’è il volto dell’artista. Volto che finalmente appare in una delle immagini conclusive della mostra, non più oscurato e coperto ma intenso, rassegnato, triste. Col suo nero delle forme sul nero della realtà -avrebbe detto Hegel- l’arte non si lascia ringiovanire ma soltanto morire. Tutto infatti qui sembra immobile, finito, anche se Franko B. dichiara di “amare ancora”.

12 commenti

  • mario

    Novembre 24, 2010

    Grazie a te/voi dell’alato peripato in cui m’avete assiso 😉
    A questo punto, però, ne voglio qualche scheggia a mia volta a pie’ d’articolo posthuman, ché sì raro è raccogliere dei feedback dai viandanti sui nostri articoletti…
    Abbracci, ci vediamo!

  • agbiuso

    Novembre 23, 2010

    Ho letto l’articolo sulle Disquieting images, ovviamente dottissimo.
    Cercherò di visitare l’orrido della Triennale e ti dirò.
    Intanto grazie a te, Mario, e a Diego.

  • diegob

    Novembre 23, 2010

    certo, caro mario, l’accostamento non è sciocco o improrio, ho voluto solo porre un dubbio per meglio capire quell’interessante articolo

  • mario

    Novembre 23, 2010

    e perdoni l’ortografia ‘tamarra’ sul finale 😉

  • mario

    Novembre 23, 2010

    Gentile Diego, la sua penna è dotta, forse troppo per un tamarro che sguazza nel sangue e nei rockettari capelloni 😉
    Se il male esplicito è la mostra della Triennale (orrori della cronaca ben documentati) vs quello esistenziale di FrankoB (allora avrei capito), la critica ha un senso, certo, e il mio accostamento è sicuramente arbitrario.

    Però se pensa che nella Immagini Inquietanti non c’è solo cronaca, ma anche l’eros deviato (e voyeuristico) di Mapplethorpe (che ha fatto cover rock), Nan Goldin (stesso giro) e altri, mi vien da pensare che anche l’angoscia esistenziale (e l’autoesibizione ematica, molto ‘punk’) del Franko B in qualche modo pteva starci dentro quel cocnept… no?

    Un concept sul quale peraltro io continuo a nutrire a mia volta il dubbio di fonso se fosse giusto accostare insieme l’orrore esplicito delle guerre/mutilazioni con quello delle ricerche artistiche più ardite ma personali.

    Quindi mi permetto di condividere la sua critica col più togato Celant, curatore della mostra. Colpevole, ma ubi maior… 😉

  • diegob

    Novembre 23, 2010

    Se visionate, ditemi la vostra

    gentile mario, mi sono permesso di leggere, seppur in modo rapido, l’articolo che gentilmente ha sottoposto

    è interessante e scritto con penna briosa, ma avrei una piccola critica di fondo all’accostamento fra la mostra ed altre forme artistiche ove abbiamo una crudeltà esplicita

    quando la crudeltà è esplicita in toto, diciamo quando essa ci provoca la fascinazione dell’orrore, in realtà rende omaggio ad una concezione dell’angoscia e dell’orrore molto tradizionali; se quello è il male, allora il resto, le altre umane espressioni, sono il bene, sono rassicuranti

    invece, in un’arte dove l’orrore non è esplicito, ma è una percezione che scopriamo nel vivere stesso, nell’essere uomini, nel dilemma stesso del noi, allora è un disagio più profondo, più alla fondazione dell’esperienza esistenziale

    in fondo, un male esplicito nasconde il male totale e pervasivo del vivere

    spero d’essermi spiegato, mi scuso se ho preso una cantonata, ma non sono un competente del genere

  • mario

    Novembre 22, 2010

    Contribuisco a mia volta sull'”arte che si lascia morire” – o forse la cui vita attuale consiste molto nel ricordarci che si muore ancora (e malamente) nella società del glamour coatto – con questo breve saggetto che lega arbitrariamente la personale di Franko B. alla collettiva ‘Inquietante’ alla Triennale.
    Se visionate, ditemi la vostra (qui o in calce all’articolo, buone visione, ciao Alberto e ciao a tutti!

  • Campo Paolina

    Novembre 20, 2010

    Su radio rai tre, ho ascoltato oggi l’intervista all’autore(di cui, purtroppo, non ricordo il nome)de “La vita al tempo della morte”, riflessioni sul tempo scaturite da paesaggi, come quelli dei laghi dell’Avigliana in Piemonte e da circostanze dolorose come la morte di una persona cara.
    Tempo come fattore determinante e costitutivo di ciò che noi siamo; tempo, inteso come quel “fra” fatto di colori, teso comunque al nero della morte che ci costituisce sempre.
    Grazie.

  • agbiuso

    Novembre 20, 2010

    Ha capito benissimo, caro Diego.
    Sia sul versante artistico -“un’arte esplosa, drammatica, spiazzante”-, sia su quello dell’unità radicale del corpomente.

  • diego b

    Novembre 20, 2010

    Aver trasformato il corpo dell’artista da strumento dell’opera a opera esso stesso, è certamente uno dei fenomeni più importanti e radicali dell’arte contemporanea.

    non mi intendo d’arte, ma penso che questo sia un tentativo di scardinare lo schema consueto che vede l’artista da una parte, l’opera dell’artista dall’altra

    in fondo se manteniamo questo schema classico artista/opera, qualunque opera d’arte, anche la più urlata e trasgressiva, rimarrà rassicurante, rimarrà doverosamente archiviata in quella libertà innocua, buona per la conversazione da vernissage, un gioco da salotto

    invece così, instaurando una porosità, una scandalosa mescolanza dei termini del gioco, allora è un’arte esplosa, drammatica, spiazzante

    a latere poi, la questione del corpo, che sempre più emerge come vero proprietario dell’anima e non viceversa

    non so, caro prof. biuso, se ho capito bene il senso di quest’arte, ma a me viene in mente questa prospettiva

  • agbiuso

    Novembre 20, 2010

    Grazie a te, Illumination, per aver compreso uno dei significati di questo luogo della Rete: ricordare in primo luogo a me stesso -e poi, se riesco, a chi legge- l’essere intessuti di tempo e il dovere che ne consegue: cercare di essere felici, qui e ora.

  • Illumination

    Novembre 20, 2010

    Non sono a Milano, non vado alle mostre, non vado al cinema, non guardo la televisione, non leggo i quotidiani, non sto con la gente…ma vivo la natura, viva, colorata, e mi rendo conto, però, che tutto “passa”, che tutto è nero, pronto per il buio più profondo!
    Ma, anch’io, amo ancora…solo ciò che l’uomo e la sua follia non riescono a toccare e a distruggere.
    Grazie, Alberto, perché ci ricordi in ogni modo il senso della nostra breve presenza su questa terra.

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