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Mente & Cervello 64 – Aprile 2010

Esiste a Torino un museo singolare, dove si viene accolti dallo scheletro del padrone di casa, Cesare Lombroso. Il suo direttore -Saverio Montaldo- afferma che le teorie lombrosiane «sono state estremamente apprezzate dai suoi contemporanei e, pur essendo sostanzialmente sbagliate, si basavano su una grande fiducia nelle potenzialità del metodo scientifico» (D.Ovadia, p. 60). Montaldo continua ammettendo che Lombroso fosse razzista nel significato esatto del termine, convinto com’era «che si potesse classificare il genere umano in senso razziale e creare gerarchie tra le razze, ma tutti gli scienziati dell’epoca lo erano» (63). Mi sembra un caso esemplificativo dell’epistemologia di Thomas Kuhn, per il quale ciò che definiamo “scientifico” consiste in una serie di paradigmi mutevoli nel tempo e non sempre attinenti ai dati empirici, a loro volta frutto del modo in cui li si ottiene. Infatti, sostiene ancora Montaldo, questo museo intende «raccontare un errore scientifico e mostrare quali strade può imboccare la scienza quando usa i dati oggettivi selezionandoli sulla base di un’idea preconcetta. Lombroso faceva questo: trovava conferma delle proprie intuizioni, ma scartava, letteralmente non vedeva, le prove contrarie» (64).
Vedere, non vedere, presupporre, modificare, aprirsi a dati nuovi, è in gran parte il lavoro concreto delle scienze. E accade a volte che anche un singolo fatto metta in discussione concezioni consolidate. Tale il caso di una bambina che si è scoperto possedere un solo emisfero cerebrale e tuttavia condurre una vita pressoché normale. Un fatto che «mette in evidenza l’incredibile plasticità del cervello umano» (S. Schleim, 68), anche al di là delle «affermazioni semplificatorie sulla lateralizzazione del cervello formulate in molte note trattazioni» (69).

Alle emozioni è dedicato un ampio dossier di questo numero di Mente & Cervello. Come già Darwin prima e le ricerche di etologia umana di Eibl-Eibesfeldt poi avevano mostrato, l’espressione delle emozioni è un dato comune alle varie culture e luoghi; una unitarietà -non assoluta naturalmente- dovuta anche al fatto che le emozioni costituiscono «una miscela di predisposizione genetica e funzionamento cerebrale, esso stesso frutto dei geni, dell’esperienza e dell’educazione» (S. Berthoz, 51). Senza emozioni non si dà vita umana e proprio per questo le emozioni vanno tenute sotto controllo, in modo da trarre da esse il gusto e il senso degli istanti. E anche per non farsi male: «le persone con buone capacità di regolazione e di comprensione delle proprie emozioni sono meno vulnerabili allo stress, alle malattie cardiovascolari, e ad altre patologie quali asma, diabete, malattie gastrointestinali, e addirittura certi tumori. In effetti, le emozioni negative comportano la liberazione di ormoni, come il cortisolo o l’adrenalina, la cui presenza prolungata ha effetti negativi sul funzionamento dell’organismo» (M.Mikolajczak, 43).

Uno dei maggiori studiosi delle emozioni, delle loro basi cerebrali, delle loro conseguenze è Antonio Damasio, che ha dimostrato come «la capacità di prendere decisioni, considerata a lungo appannaggio del pensiero razionale, è sotto l’influenza diretta delle emozioni» (L.Mondillon – M.Mermillod, 57); anche così si supera il dualismo cartesiano, accettando «che le emozioni influenzino i processi cognitivi, e viceversa, che il corpo e la mente siano un unicum inestricabile, il primo passo per un proficuo incontro tra psicologia e neuroscienze in vista di una sempre migliore conoscenza delle relazioni tra percezione ed elaborazione del pensiero» (M.Catteneo, 3).

Analizzando le emozioni ma anche numerosi altri temi, gli articoli di questo numero mettono in evidenza l’importanza del significato nella vita della mente. Ad esempio, un approccio rinnovato alla schizofrenia, quello di Jim van Os, sottolinea la centralità del concetto di «salienza, cioè l’importanza attribuita agli eventi e agli stimoli ambientali che catturano la nostra attenzione. I pazienti “schizofrenici” soffrirebbero di un’alterata regolazione della salienza e sarebbero portati ad attribuire importanza e significati insoliti a eventi o pensieri di per sé irrilevanti: ciò sarebbe alla base della distorsione della realtà tipica delle esperienze psicotiche» (F.Cro, 21). Luogo dei significati è il linguaggio, al quale «siamo geneticamente predisposti», secondo la tesi di Noam Chomsky sempre più confermata da numerosi studi empirici (A.Oliverio, 17); luogo dei significati è la memoria, la quale vive del continuo dinamismo tra conservazione e oblio, «per riuscire a immagazzinare nuovi ricordi è fondamentale eliminare almeno in parte quelli vecchi» (F.Sgorbissa, 22) come sapeva anche Nietzsche.

Uno degli articoli più interessanti è dedicato all’«evoluzione high tech» e vi si descrivono in maniera esplicita gli orizzonti dell’ibridazione, della struttura protesica che è l’umano e della sua fusione con la tecnologia che «si fa sempre più strada nel -e sul- nostro corpo», tanto da essere destinati -mediante l’implementazione di «microchip neuronali (…) a un avvenire da cyborg»: davvero «la tecnologia media tutti i rapporti che abbiamo col mondo» ed «è assurdo ritenere che non medi tutti i nostri processi di pensiero» (P.Garzia, 72-73). L’utilizzo degli artefatti «estende la rappresentazione dello spazio “peripersonale”» ed è «finito il tempo in cui potevamo ingenuamente pensare che da una parte vi fosse il duro mondo della tecnica e dall’altra i mondi della mente. Ormai la tecnologia è in noi. Siamo noi» (Id., 78-79).

Coinvolgente è anche la descrizione di un’esperienza educativa nella quale dei detenuti entrano nelle scuole e gli studenti visitano le carceri, scoprendo quanto facile sia finire dentro e come anche degli assassini siano persone con un carico di sentimenti ed emozioni persino commoventi. Tra l’altro, e contro diffusi pregiudizi, la struttura principe della violenza e del crimine è la famiglia, della quale si fanno apologeti quanti parlano di valori: «la famiglia è il luogo d’elezione di una mattanza silenziosa, perché tra gli affetti più cari si consumano più morti (circa il 30 per cento) di quanti ne siano provocati da mano mafiosa (circa il 24 per cento) o dalla tanto temuta microcriminalità (12 per cento)» (R.Salvadori, 93). Quella famiglia della quale un esperto in emozioni umane, Platone, auspicava il superamento.

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