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Ethnopassion

La collezione etnica di Peggy Guggenheim
Altre culture a Milano

Milano – Fondazione Mazzotta
Sino al 22 febbraio 2009

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La Terra-madre, entità ambivalente che dà e toglie vita (Medea costituisce un’eco arcaica nel pieno della classicità ellenica); la fecondità come dono e come richiesta continua rivolta al divino; gli spiriti ermafroditi che di tanto in tanto arrivano nei villaggi; l’universalità e necessità delle iniziazioni, senza le quali il tempo individuale e quello collettivo risulterebbero separati e quindi morti. La consunstanzialità di Tempo e Corporeità. È anche di tutto questo che dà testimonianza la magnifica mostra alla quale ci si accosta col silenzio e con la venerazione che al Sacro son dovute. Per il popolo Kpele della Guinea (Africa occidentale) l’uccello Tucano ha quel particolare, enorme, becco perché fu la prima entità ad apparire nel mondo, prima ancora che venisse generata la Terra. Avendo il vuoto intorno a sé, seppellì nel becco la propria madre. Ecco: il Sacro è questo, il contrario di ogni miserabile antropocentrismo biblico.

Agli oggetti appartenuti a Peggy Guggenheim si affiancano quelli di quattro collezionisti milanesi, ospitati di solito nelle sale del Castello Sforzesco. Ezio Bassani ha raccolto testimonianze dell’Africa occidentale, tra le quali -appunto- una maschera di tucano; Enrico Pezzoli ha contribuito a salvare centinaia di bracciali-moneta della stessa area; Federico Balzarotti ha collezionato antichi tessuti andini, ai quali sembrano essersi ispirati molti artisti europei del Novecento (ma tutta la mostra testimonia della nota e profonda consonanza fra l’arte contemporanea e quella primitiva); Aldo Lo Curto è un medico che lavora in Brasile e al quale le popolazioni locali regalano oggetti fatti di piume rare e colorate, Lo Curto è diventato progressivamente uno sciamano, coniugando la medicina europea con le pratiche olistiche di quei popoli, pratiche che guariscono.

Il contatto con lo splendore e il rigore formale di questi oggetti conferma il pervasivo iconismo delle culture pagane, per le quali «dietro l’immagine del dio non ha posto niente; tanto meno il Niente; il dio è, con esattezza di margini, l’apparenza stessa» (G. Raciti, Un’ordinata ambiguità. Per una genealogia dell’anarca, La Finestra, 2006, pp. 107 e 8). Infatti, «l’idolo pagano è proprio un idolo: rappresenta ed è» (M. Augé, Genio del paganesimo, Bollati Boringhieri, 2002, p. 68). Ed è Augé a sintetizzare struttura e funzione degli idoli e cioè degli oggetti ben concreti che la comunità pagana e animistica crea: essi offrono senso, immagine e potenza «alla straordinaria intimità che pare riunire nel corso delle stesse cerimonie, attorno agli stessi luoghi sacri e negli stessi villaggi, i vivi e i morti, gli uomini e gli dèi, nonché tutti gli esseri misti e incompiuti che si ritiene occupino una zona intermedia tra la vita e la morte, oppure tra l’umanità e la divinità» (Ivi, pp. 52-53).

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