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Creature della notte

Solo gli amanti sopravvivono
(Only Lovers Left Alive)
di Jim Jarmusch
Gran Bretagna-Germania-Francia-Cipro-USA, 2013
Con: Tom Hiddleston (Adam), Tilda Swinton (Eva), Mia Wasikowska (Ava), John Hurt (Marlowe), Anton Yelchin (Ian), Jeffrey Wright (il Dottor Watson)
Trailer del film

Adam vive a Detroit, Eve a Tangeri. Si amano appassionatamente. Lei conosce e legge molte lingue ed è antica amica di Marlowe. Lui compone musica per le chitarre di ogni tempo e luogo. Vivono e viaggiano di notte, prediligono la solitudine, coltivano la bellezza e la scienza. L’arrivo della sorella di lei, più giovane e decisamente viziata, disturba i loro luoghi, infrange i loro equilibri, ma non tocca la quiete profonda che li intesse. Adam e Eve hanno bisogno di procurarsi sangue. È però sempre più difficile trovarne di non contaminato. E forse sono rassegnati a spegnersi nella notte dalla quale sono venuti. Soprattutto Adam è stanco della follia, della stupida ripetitività, della gratuita ferocia degli umani. Ma Eve, saggiamente, gli ricorda che «se dovessimo elencare i crimini che gli zombie hanno perpetrato nei secoli, staremmo qui sino all’alba», l’alba in cui inizia il loro sonno.
Elegante e malinconica metafora dell’arte e dell’artista, della solitudine e dei solitari, della lettura e dei lettori. Metafora intrisa di musiche e di danze. La creatura della notte conosce la morte e sa che cosa è il tempo. Per questo il suo ritmo è così calmo e la sua angoscia così sapiente.

Dracula a Milano

Dracula e il mito dei vampiri
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di: Gianni Canova, Giulia Mafai, Margot Rauch, Italo Rota
Sino al 24 marzo 2013

Uno degli oggetti più curiosi di questa mostra è una piccola ampolla intitolata Diavolo sotto vetro. Sotto il vetro della loro comprensione gli umani vorrebbero porre il morire. Sotto il vetro della loro speranza vorrebbero mantenere la vita oltre la fine. È anche così che nascono le leggende dei non vivi e non morti, degli zombi, dei fantasmi, dei vampiri. Le origini storiche e psicologiche di tali narrazioni ne mostrano per intero la natura totalmente superstiziosa.
Il conte Vlad esistette davvero nella Transilvania del XV secolo. Fu feroce nello sterminio e -come altre famiglie del luogo- aveva nel simbolo araldico un drago, in rumeno Dracul. Ma morì anche lui e non fece più ritorno. Intorno ai cimiteri e alla loro putrefazione (quanto preferibile è la cremazione delle culture non cristiane) fiorì nelle culture contadine un catalogo di terrori. Ma la presunta crescita delle unghie e dei capelli è data dalla disidratazione della pelle e sono i rumori biologici dei cadaveri a essere interpretati come voci.
La nascita della leggenda moderna di Dracula è tutta dovuta alla letteratura e al cinema. Prima del Settecento, ad esempio, i vampiri non avevano alcun legame con i pipistrelli. Fu il naturalista Buffon a chiamare “vampiro” una nuova specie di questi mammiferi da lui scoperta. Lo scrittore irlandese Bram Stoker pubblicò nel 1897 il romanzo Dracula e da allora un esercito di vampiri abitò l’immaginario. Due delle opere cinematografiche più interessanti furono il Nosferatu gentile e timido di Herzog (1979) -chiara ripresa del capolavoro di Murnau (1922)- e il Dracula di Bram Stoker di Coppola (1992).

Al di là della storia, dell’arte e delle leggende popolari, perché? Qual è il significato di questa persistenza della vita dentro la morte in un’età così razionale come la nostra? Le risposte possono essere molte.
Karl Marx paragona il Capitale a un lavoro morto che vive del sangue del lavoro vivo e quanto più ne beve tanto più è vivo. Affermazione davvero attuale se si pensa al Capitale finanziario e alla sua natura implacabile, gelida e assassina.
La donna vamp è la sintesi della capacità femminile e in generale umana di succhiare agli altri sangue, amore, amicizia, denaro, per poi buttarli via quando più non ci servono.
La luce della ragione -opportuna metafora illuministica- dovrebbe coniugare la scienza alla pietà per i morti e per noi stessi che lo saremo. Questa luce dovrebbe accettare che la materia segua il suo corso di trasformazioni e di irreversibile entropia, dovrebbe regalarci la serenità epicurea che deriva dal sapere che dopo la fine rimane davvero e soltanto il niente. E liberarci quindi dalle paure che stanno al fondo dei racconti che la mostra milanese documenta con antichi libri e quadri, con brani dalle opere cinematografiche, con  ricostruzioni d’ambienti, con costumi e fumetti. Una mostra didascalica alla quale manca però, è il caso di dire, l’anima.

Lasciami entrare

di Tomas Alfredson
(Lat den ratte komma in)
Con: Kare Hedebrant (Oskar), Lina Leandersson (Eli), Per Ragnar (Hakan)
Svezia, 2008
Trailer del film

lasciami_entrare

Neve, neve ovunque, nei quartieri periferici di Stoccolma. Oskar è un dodicenne che vive con la madre separata ed è angariato dai bulli della classe. Nell’appartamento accanto al suo viene ad abitare Eli, sola col padre. Empatia, tenerezza, comunicazione fatta di codici e di sguardi. Intorno a loro si moltiplica la violenza: omicidi senza apparente ragione, ferocia crescente di alcuni compagni verso Oskar, gatti improvvisamente aggressivi. Il buio delle notti si alterna al sole basso ma splendente che illumina il sangue degli umani e le loro immense solitudini.

Le due scene conclusive sono tra le più perfette, inquietanti e dolci che abbia visto al cinema. In una piscina il ragazzo subisce l’ennesima umiliazione ma nel riflesso dell’acqua si vedono teste e arti spezzarsi; in un treno i due protagonisti viaggiano e Oskar tamburella in alfabeto Morse la frase «Baci, baci, bacini». Eli è una vampira, «ho dodici anni ma li ho da un sacco di tempo».

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