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Geologia

The Core
di Jon Amiel
Usa – Gran Bretagna, 2003
Con: Aaron Eckhart (Josh Keyes), Delroy Lindo (Edward Brazleton), Hilary Swank (Rebecca Childs), Stanley Tucci (Conrad Zimsky), Tchéky Karyo (Leveque), Richard Jenkins (il generale Purcell), D.J. Qualls (Rat)
Trailer del film

Sotto la sottile crosta terrestre vi è un mondo di materiaenergia il cui nucleo ruota incessantemente, producendo i campi elettromagnetici che consentono alla vita in superficie di esistere e difendersi dalle radiazioni che provengono dal cosmo e dal Sole. Il cessare di tale movimento produce fenomeni estremi e prepara la morte del pianeta. A meno che non si riesca in qualche modo a rimettere in movimento il nucleo.
Ben inserito nel filone catastrofista e anche per questo prevedibile in ogni scena, The Core non immagina la distruzione proveniente da un qualche fuori ma quella che scaturisce proprio dal cuore della Terra. Non senza qualche sorpresa che non va svelata ma il cui acronimo è Destiny.
The Core attinge ampiamente alla narrativa di Jules Verne (Voyage au centre de la Terre) e cita altri film anche recenti. Tutto è ovviamente incentrato sugli Stati Uniti d’America, i soliti padroni/protettori dell’umanità, ma oltre la distruzione di San Francisco si assiste a quella di Roma, in particolare il Colosseo che sinora ha in qualche modo resistito a tutto ma che viene raso al suolo da fulmini terrificanti.
All’interno di una sceneggiatura pensata quasi per bambini idioti (il pubblico USA?) si trova comunque una frase sorprendentemente vera e non banale: «conosciamo meglio ciò che sta al di fuori della Terra che la struttura del nostro pianeta». Se fosse davvero possibile viaggiare verso il cuore della Terra, non soltanto di un viaggio nello spazio si tratterebbe ma anche di un vero e proprio viaggio nel tempo, della scoperta del tempo profondo, dell’immensità temporale che precede la comparsa della vita e dell’umano. Un’enormità cronologica che gli studi di geologia aiutano a comprendere e ad ammirare, ridimensionando quanto avviene da qualche migliaio d’anni sulla sottile crosta «che ci fa tanto feroci» (Paradiso XXII, v. 151).

Terra e Tempo

Stephen Jay Gould
LA FRECCIA DEL TEMPO, IL CICLO DEL TEMPO
Mito e metafora nella scoperta del tempo geologico
(1987)
Traduzione di Libero Sosio
Feltrinelli, 1989
Pagine 232

Questo libro è la prova che si può scrivere un testo che sia insieme una storia della geologia e un saggio di epistemologia appassionante come un romanzo. La vicenda che racconta con coinvolgente stile narrativo è quella delle origini della scienza geologica. Una storia che diventa paradigmatica dell’intreccio tra filosofia ed empiria in cui la scienza consiste e dei rischi di ogni dogmatismo scientista.
Contrariamente a quanto la pigrizia dei  libri di testo tramanda, infatti, le opere e le ipotesi di Thomas Burnet (1635-1715), James Hutton (1726-1797), Charles Lyell (1797-1875) non rappresentano momenti separati e opposti di una storia che va dalle tenebre delle favole teologiche alla luce del metodo empirico. Burnet, che elaborò una teoria sacra della Terra nella quale cercava di giustificare con dati empirici il racconto biblico, fu in realtà più attento del suo ottimo amico Isaac Newton «al regno della legge naturale e più di lui desideroso di abbracciare spiegazioni storiche» (pag. 52). I due “eroi illuminati” Hutton e Lyell non sono, a loro volta, riducibili alla leggenda che li vuole fondatori della geologia scientifica intesa come attività svolta sul campo, dalla quale scaturirebbe poi per induzione la scoperta delle leggi generali che governano la Terra. Hutton, infatti, fu un aperto e convinto sostenitore del finalismo aristotelico e negò costantemente il divenire storico del pianeta; Lyell, oltre a rimanere all’interno di un paradigma antropocentrico, propose il suo metodo di datazione degli strati della crosta terrestre come applicazione di un’ipotesi generale sulla Terra -l’uniformitarismo o attualismo- di carattere in parte teoretico e negante anch’essa la radicale variabilità e direzionalità dei fenomeni geologici nel tempo. Gould trova «una squisita ironia nel fatto che la storia convenzionale presenti la vittoria di Lyell come il trionfo delle ricerche sul campo, mentre in realtà i veri campioni di una lettura letterale della documentazione geologica furono i catastrofisti» (145). La visione moderna della geologia non è dunque certamente quella teologico/biblica di Burnet ma neppure quella astorica di Hutton o attualista di Lyell «ma piuttosto è un miscuglio inestricabile ed equilibrato di uniformismo e di catastrofismo» (189). Più in generale, «Hutton e Lyell condivisero, soprattutto, la visione di controllo del ciclo del tempo, l’uniformità di stato» (163).
Sta qui il significato filosofico del libro. Attraverso la geologia e la sua storia, infatti, Gould sostiene che il contributo delle scienze della Terra alla comprensione del mondo è duplice e consiste in primo luogo nella scoperta del tempo profondo, dell’immensità temporale che precede la comparsa della vita e dell’umano. Un’enormità cronologica che è tuttora «così difficile da capire, così estrane(a) alla nostra esistenza quotidiana, da rimanere un ostacolo importante alla nostra comprensione» (14).
L’intera ricerca di Gould è incentrata intorno al secondo contributo della geologia: la comprensione del rapporto fra ciclo del tempo e freccia del tempo. Un rapporto che lo scienziato dimostra non essere escludente ma coniugante. Le immagini che aprono ogni capitolo (tranne il primo) fanno riferimento alla compresenza di variazione e di stabilità, fanno riferimento a quel ciclo temporale della materia che è insieme mutamento degli eventi e permanenza delle strutture nelle quali essi avvengono: «Frecce e cicli sono “metafore eterne”» (203) con le quali si esprime la comprensione umana -scientifica ma anche mitologica, filosofica, religiosa- della compresenza di unicità/differenza e regolarità/identità:

La freccia del tempo è l’intelligibilità di eventi distinti e irreversibili, mentre il ciclo del tempo è l’intelligibilità di un ordine atemporale e di una struttura simile alla legge. Noi abbiamo bisogno di entrambe le cose. (28)
Qualche cosa di profondo nella nostra tradizione richiede, per l’intelligibilità stessa, sia la freccia dell’unicità storica sia il ciclo dell’immanenza atemporale, e la natura dice sì a entrambi. (211-213)

Nello specifico delle scienze biologiche e geologiche, «gli organismi seguono la freccia del tempo della storia contingente; i minerali seguono il ciclo del tempo dell’immanente logica geometrica» (208). Si tratta di una metodologia critica che rifiuta il dogmatismo scientista ed è invece del tutto consapevole della storicità di ogni conoscenza umana. Gould appare dunque vicino all’epistemologia di Kuhn, alla sua identificazione delle scienze con il loro sviluppo, alla sua richiesta di un’adeguata conoscenza della storia delle proprie discipline da parte degli scienziati empirici, conoscenza che scongiuri l’inevitabile danno che alle scienze deriva «da un atteggiamento di chiusura, dal suo presentarsi come custode di un rito sacro chiamato il metodo scientifico» (19).
Il rispetto per le altre forme del sapere umano -altre rispetto alle scienze- si mostra qui non come un dato estrinseco o relativistico ma come interno alla scienza stessa e fondante il significato della conoscenza, che per Gould si basa ovunque sui medesimi modelli che vengono poi declinatgouldi in modi, forme e linguaggi differenti. È significativo che il libro si chiuda su un’analisi della simmetria -e dunque del ciclo del tempo- nelle cattedrali medioevali, simmetria che coniuga anche in questo caso l’unicità degli eventi delle storie sacre con la regolarità ciclica che ne guida l’apparire e gli sviluppi. Un’apertura che rende possibile il risultato complessivo al quale questa ricerca perviene: «Mostrare che le metafore della freccia del tempo e del ciclo del tempo formarono un centro focale della discussione e si dimostrarono non meno fondamentali per la formulazione del tempo profondo di qualsiasi osservazione sul mondo naturale» (25-26).
La passione dell’autore si trasmette al lettore. Una passione che nasce dall’autentico piacere che ogni rigorosa indagine su dei grandi libri regala a chi la intraprenda. Una passione che ha come risultato la gaia scienza.

C’è una cosa così elementare e fondamentale che spesso trascuriamo di dirla: lo studio dei testi principali di grandi pensatori non ha bisogno di alcuna giustificazione al di là del puro piacere fornito da un tale esercizio intellettuale. La principale motivazione per la mia strategia è stata semplicemente la gioia. (30)

Terra / Forma

Yann Arthus-Bertrand. Saint-BrieucLa Terra vista dal cielo
di Yann Arthus-Bertrand
Museo di Storia Naturale – Milano
Sino al 19 ottobre 2014

Yann Arthus-Bertrand. PjorsaLa summa di questo artista è Home, un film che aiuta a capire il presente del nostro pianeta. E tuttavia osservare le sue immagini statiche, ciascuna con attente didascalie, dà la possibilità di apprezzare ancor di più la sapienza formale dello sguardo di Yann Arthus-Bertrand.Yann Arthus-Bertrand. Las Vegas

Ovunque la mente umana vede forme, colori, relazioni. La struttura a spirale di un alveare umano nella periferia di Las Vegas. La foresta di antenne satellitari sui tetti di Aleppo, una delle più antiche città del mondo. La densità cromatica di un centro di demolizioni di automobili in Yann Arthus-Bertrand. AleppoFrancia. Le macchie rosse degli ibis in Venezuela. Il livido bianco/nero di Pripyat, città fantasma vicino a Chernobyl. La pura e astratta forma disegnata dal fiume Pjorsa in Islanda. Yann Arthus-Bertrand. Pripyat

Ovunque splende ed emerge l’opera d’arte che abitiamo. Per quanto tempo ancora? Yann Arthus-Bertrand. Pedernales

Terra

Il dolore, per quanto sta accadendo a un popolo di antica eleganza e rigore come il Giappone, è profondo. Tra le immagini più impressionanti quelle del mare inarrestabile che invade di sé la terra con l’implacabilità di una potenza indiscutibile, potenza che soltanto un antropocentrismo ingenuo e patetico può far ancora definire -da non pochi giornalisti, ad esempio- come “irrazionale”. La Terra è il paradigma stesso della razionalità, col suo ordine cosmico dei movimenti di rotazione e di rivoluzione, di moto delle placche geologiche, di trasformazione costante e di entropia. Terremoti, tempeste, piogge, calore, sono assolutamente “razionali”. Irrazionali sono gli esseri umani, le civiltà, le amministrazioni, che costruiscono dighe su terreni franosi, impianti nucleari in zone sismiche, case su case alle falde di vulcani come l’Etna o il Vesuvio. Di tanto in tanto, la nostra grande Madre ci ricorda che siamo una specie come le altre, materia tra la materia, finitudine fatta di pianto e di hybris. Di diverso rispetto alle altre specie viventi abbiamo soprattutto la capacità di affrettare la nostra fine provocando Gaia a scrollarci da sé come quei fastidiosi e arroganti parassiti che siamo. Heidegger, filosofo della Misura, ci ha ricordato che «su questa terra noi rimaniamo insediati nel relativo» (Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi 2002, p. 218).

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