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Il sacrificio della Grecia

Grecia / Europa
Aldous, 10 febbraio 2024
Pagine 1-2

L’articolo analizza le dinamiche di dissoluzione della cultura e della politica europee come emergono dall’Unione Europea, dall’Euro e dalla Nato. L’esempio più chiaro e drammatico delle conseguenze delle decisioni prese nell’ambito di tali strutture politiche, economiche e militari è il sacrificio della nazione e del popolo greco. Un sacrificio sull’altare dei mercati e della finanza che è la più emblematica e tragica conferma della rinuncia dell’Europa alla propria identità e alle libertà dalle quali è nata.

«Nessuna empatia»

The Killer
di David Fincher
USA, 2023
Con: Michael Fassbender (killer), Charles Parnell (Hodges), Tilda Swinton (donna), Kerry O’Malley (Dolores)
Trailer del film

L’obiettivo è non esserci. Non apparire alla miriade di telecamere, microcamere, metal detector, registrazioni, controlli, che scandiscono nel XXI secolo la vita degli umani, pressoché ovunque. Lo scopo è quindi rendersi per quanto si può invisibile. Vestirsi «come un turista tedesco», che nessuno vuole avvicinare. Condurre la giornata nel modo più anonimo. Per uccidere. E poi sparire. Metodico, distante, e soprattutto interamente consapevole di che cosa sia il mondo. Tutta la prima parte del film è un’antropologia in forma di attesa. Di attesa della vittima. Che però, per un banale ostacolo di una frazione di secondo, sfugge. A quel punto le conseguenze sono fatali. E il film diventa una lunga vendetta che sembra negare uno dei presupposti fondamentali del lavoro di questo killer: «Nessuna empatia. L’empatia è debolezza. Niente di personale. I don’t give a fuck». Presupposto a sua volta fondato sull’antropologia hobbesiana enunciata all’inizio: «O uccidi o sei ucciso». Un’antropologia decisamente antirussoviana: «A chi crede nella naturale bontà degli uomini vorrei porre una sola domanda: ‘ma di preciso su che cosa ti basi nel fare questa affermazione?’».
Le città che scandiscono i cinque episodi sono alcuni dei luoghi dove agisce il killer che il capitalismo finanziario è: Parigi, Santo Domingo, New Orleans, New York, Chicago. E infatti l’ultimo incontro avviene nella dimora, studio e santuario di un maestro della finanza, per arrivare al quale il killer ha percorso un cammino lungo, metodico, distante, consapevole. Mortale.
Come in Seven (Fincher, 1995) il disincanto è completo ma rispetto al calore e alla passione che in quel film fanno da contraltare alla logica dell’assassino, The Killer conferma in un modo geometrico e algido le parole di Thomas Hobbes sulla vita umana «solitaria, misera, ostile, brutale e breve» (Leviatano [1651], Laterza 1989, cap. XIII, p. 102), anche e specialmente a causa dell’«inclinazione generale di tutta l’umanità, un desiderio perpetuo e ininterrotto di acquistare un potere dopo l’altro che cessa soltanto con la morte» (Ivi, cap. XI, p. 78), nonostante l’umano cerchi di nascondere tale condizione «attraverso la finzione, la menzogna, la simulazione e le false dottrine» (Ivi, introduzione, p. 7) come quelle che pongono questo mammifero al vertice della gerarchia dei viventi e degli enti o arrivino persino a definirlo «figlio di Dio» 😳 😆.

39,4

Il dato politico clamoroso di queste elezioni regionali del febbraio 2023 è l’infima partecipazione dei cittadini al voto. In Lombardia si è recato a votare il 41,6 degli aventi diritto. Nel Lazio il 37,2. La media tra le due regioni è il 39,4. Mai accaduto nella storia repubblicana.
Le cause sono molte ma una delle ragioni è evidente: che senso ha andare a votare se le decisioni politiche che contano, quelle che influenzano ogni altro provvedimento e la vita dei cittadini italiani, non vengono più prese a Roma o a Milano ma a Bruxelles e a Washington?
Perché è esattamente questo che accade da molti anni e in modo sempre più implacabile.
Recarsi a votare non ha più senso poiché, qualunque sia l’esito delle elezioni, le politiche dei governi – regionali o nazionale che siano -continuano a essere le stesse stabilite dai poteri sovranazionali ai quali l’Italia delega sempre più il proprio presente e il futuro. E questo su tutto: leggi e decisioni economiche; privatizzazione totale dei servizi essenziali (sanità, formazione, trasporti); questione dei migranti; guerre delle NATO e degli USA in Europa e contro l’Europa.
Chiunque vinca le elezioni la sostanza della politica italiana non muta, ed è sempre quella che si condensa e invera nell’azione e nel potere della formazione politica che meglio rappresenta e difende gli interessi del globalismo finanziario e culturale: il Partito Democratico. Una formazione politica corrotta, filoatlantica, obbediente in tutto agli Stati Uniti d’America, guerrafondaia, serva della finanza internazionale.
La destra al governo ha le stesse caratteristiche ma con molto meno influenza sul corpo collettivo, sulla stampa, sulla televisione, sulle banche. Sui veri centri del potere.

I nemici dell’Europa

In politica, come nella vita tutta, la prima domanda alla quale rispondere per capire è «Cui prodest? A chi porta vantaggio?». Il sabotaggio del gas russo – e tutta la guerra in Ucraina – porta vantaggi agli Stati Uniti d’America e danni enormi all’Europa e alla Russia. È da qui che bisogna partire.
E proseguire poi con le conferme: chiusura di aziende europee grandi e piccole a causa dei costi energetici; conseguente dilagare della disoccupazione; trasferimento (delocalizzazione) delle maggiori aziende europee negli USA; impoverimento della società europea con problemi relativi persino al riscaldamento invernale; inflazione e crisi economica in Europa e contestuale enorme crescita dei profitti delle aziende USA e del governo di quel Paese.
E soprattutto il rischio di una guerra – convenzionale o nucleare – allargata a tutto il Continente, che segnerebbe davvero la nostra fine.
La conclusione è chiara: i decisori politici europei sono dei veri e propri traditori al servizio di una potenza straniera e nemica, che sta muovendo guerra all’Europa.
Per quanto riguarda in modo specifico l’Italia, la continuità tra il governo Draghi e il governo della draghina non è un problema per Meloni. La quale infatti si rivolge a Zelensky con queste parole, tra le altre: «Sii forte e mantieni salda la tua fede!».
Il sostegno a un regime con simpatie neonaziste può essere coerente per Fratelli d’Italia, ma è clamoroso che lo sia anche per il Partito Democratico e per la sedicente «sinistra», la quale coinvolgendo l’Italia in una guerra insensata e assai rischiosa contro la Russia che nulla ci ha fatto; regalando milioni di euro degli italiani all’Ucraina; contribuendo alla guerra della NATO/USA contro l’Europa dimostra ancora una volta di essere uno zombie insipiente.

Astrattezza e dissoluzione

Il presente come dissoluzione. Questo si osserva ogni giorno e sempre di più. Forme di dissipatio del legame sociale sono il liberismo e il capitalismo. In contrasto con le società tradizionali, infatti, «dove le relazioni economiche sono incastonate in un tessuto di relazioni comunitarie (politiche, religiose, simboliche), il capitalismo si caratterizza per una quasi completa autonomia dell’economia: le interazioni sociali motivate dall’interesse individuale dominano qualunque altra forma di interazione non utilitaria o di interesse comunitario. Questa tesi, che è diventata classica a seguito della pubblicazione del lavori di Karl Polanyi e di Louis Dumont, deve costituire il punto di partenza di ogni seria analisi del capitalismo» (Guillaume Travers, Trasgressioni. Rivista quadrimestrale di  cultura politica, n, 67, settembre-dicembre 2021,  p. 3).
Una prova della costitutiva irresponsabilità collettiva che inerisce al capitalismo è l’invenzione, fondamentale ai suoi scopi, delle «società anonime», delle aziende a responsabilità limitata, strumento che nella sua apparente tecnicità costituisce in realtà «una causa cruciale della devastazione moderna del mondo» (ibidem). La ragione è abbastanza evidente: «se una strategia arrischiata porta i suoi frutti, tutti i profitti sono per gli azionisti; se, viceversa, fallisce, le perdite degli azionisti sono limitate all’ammontare del loro apporto iniziale. In questo caso, le perdite residue sono sostenute da terzi, dai creditori dell’impresa o dalla società nel suo insieme» (19).
Le «società a responsabilità limitata» hanno prodotto monopoli, truffe, iniquità sempre più estese, sino ad arrivare, come previsto dall’analisi marxiana, a poche aziende che decidono i destini degli stessi Stati, il cosiddetto GAFAM: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft. Si tratta non a caso di aziende il cui cuore è costituito dal digitale. È lo spirito del tempo, certo; è lo sviluppo di tecnologie assai comode, certo. Ma è anche segno e sostanza di un altro carattere del liberismo/capitalismo: l’astrattezza.
Le società anonime sono per definizione indifferenti alla concretezza, alla realtà delle persone e dei corpimente con un nome e cognome, alle motivazioni degli investitori, alle loro storie, indifferenti alle vite e al reale. Il capitale, infatti, «vale ormai soltanto come entità astratta. Ogni centesimo ormai equivale ad un altro. Per questo l’emergere della società anonima può essere visto come l’atto di nascita, in materia di diritto economico, del capitalismo. Il capitalista è colui che si lega agli altri esclusivamente attraverso il capitale, con apporti di fondi anonimi, senza impegnarsi in alcuna relazione interpersonale» (16).

Dissipatio e astrazione sono due caratteristiche che il liberismo condivide con uno dei suoi frutti ideologici più pericolosi, il wokismo. Cosi l’analisi sociologica definisce il fenomeno di vittimizzazione sistematica, Victimhood Culture, da parte di individui e gruppi che si sentono oppressi da altri individui e gruppi senza che i gruppi e gli individui definiti oppressori se ne debbano necessariamente rendere conto, anzi tanto più vengono ritenuti ‘colpevoli’ quanto meno ne sono consapevoli. «Secondo Campbell e Manning, la cultura della vittimizzazione si differenzia tanto dalla cultura dell’onore quanto dalla cultura della dignità. Queste ultime due dominavano rispettivamente le società tradizionali e la modernità» (Pierre Valentin, p. 45). L’origine teoretica del wokismo è invece il postmoderno, esattamente una sua particolare interpretazione per la quale il fatto che ogni forma del sapere sia anche un’espressione di potere conduce all’irrazionale conseguenza che vada demolito ogni edificio di conoscenza, vada negata ogni neutralità/oggettività e il moralismo debba sostituire ogni altra forma di atteggiamento verso il mondo.
Si tratta di un fenomeno sorto naturalmente nella patria del liberismo e del capitalismo contemporanei, gli Stati Uniti d’America. Sue espressioni ormai note sono il Politically correct e la Cancel Culture, che si esprimono in forme sempre più virulente, violente, intolleranti, in particolare nell’ambito delle idee e della ricerca: «Il discorso woke che relativizza (o giustifica) il ricorso alla violenza nei confronti di tali oppositori svolge un ruolo particolarmente pernicioso nell’autocensura universitaria» (67).
Le ricerche sul fenomeno hanno evidenziato che negli USA studenti e militanti woke provengono per lo più da classi agiate: «la correlazione fra alti redditi dei genitori e comportamenti woke è innegabile» (50); provengono da famiglie iperprotettive, per le quali ogni più piccolo conflitto e osservazione critica verso i propri figli costituisce un intollerabile rischio di «trauma psicologico»; provengono dunque da ambienti nei quali c’è sempre un terzo, un adulto a risolvere il conflitto. E infatti la cultura woke produce un ramificato proliferare di comitati etici, commissioni di controllo, uffici per la protezione delle vittime, il cui scopo è la censura delle opinioni che possano apparire offensive a chiunque si proclami minoranza: «la cultura della vittimizzazione incoraggia la capacità di offendersi e di regolare i conflitti tramite gli interventi di terzi: lo status di vittima diviene oggetto di sacralizzazione» (46).
Ulteriori espressioni del wokismo sono la non scientificità delle sue asserzioni, in quanto esse sono tendenzialmente fideistiche e infalsificabili; la possibilità di costruire su di esso intere carriere accademiche e mediatiche, producendo una vera e propria corsa alla concorrenza vittimaria (competitive victimehood): «una volta che si sono tuffati in questo paradigma, poiché la loro sopravvivenza accademica dipende dalla capacità di scovare ingiustizie razziali invisibili ai comuni mortali, questi teorici sono costretti a ‘scoprirne’ molte altre. È l’ultima tappa del postmodernismo» (41); la forte componente di fanatismo, per la quale ‘o si è con me o contro di me’: «coloro che coltivano la cultura della vittimizzazione cercano generalmente di imporre un contesto binario al quale è impossibile sfuggire, il che ha l’effetto di impedire ai semplici passanti una posizione di neutralità o di indifferenza» (48).

L’atteggiamento moralistico che vede agire in ogni relazione il dispositivo vittima/oppressore costituisce dunque l’ennesima manifestazione delle tendenze più violente e oscure che sono sempre presenti nelle società umane e che diventano particolarmente aggressive quando in nome del Bene moltiplicano in realtà la violenza, l’uniformità, il controllo, la censura. In tali casi, ed è ciò che sta accadendo in molte università anglosassoni, la ricerca scientifica, sia nell’ambito delle scienze quantitative sia in quello delle scienze ermeneutiche, viene assoggettata in modo sistematico a imperativi di tipo morale, sino a pervenire a esiti come questi: «da diversi anni gli appelli a ‘decolonizzare’ le matematiche (o addirittura la luce) si moltiplicano, e nell’estate 2020 si è verificata una disputa attorno al tema ‘2+2=5’» (68).
Il piano inclinato del politicamente corretto/moralismo conduce dunque e inevitabilmente all’irrazionalismo.

Sul Governo Draghi

L’attesa di un banchiere quale salvatore conferma il tramonto della politica, la potenza della propaganda dell’Unione Europea e soprattutto l’infantilizzazione del corpo sociale. È il tramonto dell’Italia come Stato, con un esecutivo dedito al massacro sociale in obbedienza ai diktat della finanza e di Bruxelles. Draghi serve solo a questo. La scarsa memoria dell’informazione italiana dimentica che il principale tra i grandi elettori di Mattarella fu Renzi. Ora (ma anche prima) si comprende che fu un ottimo investimento. E infatti Renzi è il più entusiasta sostenitore del governo Draghi.
Tra gli ingenui -e sono i meno peggio- che oggi si affidano al banchiere Draghi come a un salvatore, probabilmente non sono pochi coloro che in seguito ai provvedimenti di un eventuale suo governo saranno licenziati. Piangeranno amare lacrime, ma sarà tardi. I facoltosi, a ogni livello, hanno invece ragione di esultare.
Qualunque cosa dirà presentandosi alle Camere, il programma vero Draghi lo ha stilato qualche anno fa. Qui il pdf e questa una sua sintesi:
-liberalizzazione e privatizzazione dei servizi
-fine dei contratti  collettivi di lavoro
-libertà di licenziamento
-tagli di spesa (anche nella sanità) e riduzione degli stipendi.
Vedere esultare cittadini potenziali vittime di tutto questo è istruttivo. In ogni caso, è diventato ‘normale’ che a decidere i governi siano i mercati e la borsa, non più i cittadini italiani. E la Costituzione? E la democrazia?
Al Movimento 5 Stelle è bastata una formuletta mediatica e vuota -Ministero della Transizione Ecologica- per cancellare un’identità politica. Il M5S è diventato un gruppo di mendicanti. Grillo e i dirigenti hanno le loro ragioni ma i militanti? È un’altra vittoria dello spettacolo, oltre che dei padroni, come ben si vede -spettacolo e padroni- anche dai nomi dei ministri, dalla composizione del governo.
Il quesito proposto agli iscritti al M5S è stato talmente tendenzioso da costituire una evidente testimonianza del timore che i capi hanno nutrito che ciò che resta del Movimento potesse dire no a un’alleanza con Berlusconi, con il resto della catastrofe italiana, con il banchiere Draghi e con Mattarella che definisce le elezioni un pericolo, confermando in questo modo l’impulso autoritario delle istituzioni.

Che tutti i partiti presenti in Parlamento -tranne uno- sostengano il governo è molto pericoloso per la dinamica democratica. Partiti che probabilmente ritengono di ottenere vantaggi appoggiando per ora tale governo, in attesa del momento opportuno nel quale prenderne le distanze. Ma Draghi non si schioderà facilmente, visto che ha il sostegno dell’Unione Europea, della finanza, dei mitici mercati.
Uno dei segni di questo governo, diciamo uno dei più seri, è l’interclassismo, la pura essenza democristiana. Un governo di correnti democristiane. Per un Paese profondamente cattolico forse non può essere diverso. Ma chi da sinistra ha esultato per l’incarico dato a Draghi non ha capito che tale incarico è la pietra tombale sul cadavere della sinistra. Se non lo hanno compreso subito, non serviranno ora neppure i nomi berlusconiani doc dell’esecutivo.
In ogni caso, il significato antropologico del Governo Draghi è chiaro: dopo un anno di obbedienza perinde ac cadaver possiamo imporre agli italiani qualunque cosa, obbediranno ancora, obbediranno sempre, leccheranno la mano che li colpisce. Hanno vinto Berlusconi e Renzi. Veramente patetici invece il Movimento 5 Stelle e chi si ritiene, sbagliando assai, «di sinistra».

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Tra i tanti commenti e analisi sull’incarico a Draghi ne segnalo quattro.

L’anno del dragone?
rivista indipendenza, 4.2.2021
Analisi acuta e completa, in un’ottica sia interna sia internazionale; articolo pubblicato prima che fosse resa nota la composizione del governo, della quale non vale la pena parlare, tanto è miserabile.

“Draghi al governo? Non un keynesiano ma un distruttore creativo”. Massimo Franchi intervista Emiliano Brancaccio,
sinistra in rete, 9.2.2021
Testo vivace e che ben chiarisce l’identità di politica economica del governo Draghi, demolendo le illusioni che le anime belle della sinistra stanno nutrendo sul massacro sociale che ci attende.

Contro Draghi. Il fronte del rifiuto
di Moreno Pasquinelli
Sollevazione, 6.2.2021
«C’è un solo modo, infatti, di porre fine al Calvario, uscire dalla Unione europea, riguadagnare totale sovranitа nazionale, sganciarsi dalla mondializzazione liberista. Hanno chiamato Draghi per la ragione opposta: tenere il Paese in catene e impedire che faccia naufragare il Titanic dell’Unione europea»

Draghi e governo della finanza: Non prevarranno!
di Geminello Preterossi, La Fionda, 8.2.2021
Seleziono da questo terzo articolo alcun brani ma ne consiglio vivamente la lettura integrale, per capire davvero che cosa stia accadendo e accadrà.
«Pretesa elitista di stringere l’autonomia della politica democraticamente legittimata in una morsa che, a dispetto  degli interessi dei ceti popolari, doveva impedire politiche redistributive e sociali, la difesa del lavoro, il rilancio della domanda interna, nonché un previdente mantenimento   degli strumenti dell’economia mista. I fatti, dunque, confermano che Draghi è un rappresentante eminente del capitalismo finanziario. […]
L’ironia della storia contempla che il giovane Draghi abbia elaborato una tesi di laurea precisamente sulle monete senza Stato come l’euro, nella quale sosteneva (impeccabilmente) che una moneta comune in presenza di squilibri macroeconomici e senza una fiscalità accentrata, governata politicamente, non potesse essere un obbiettivo augurabile perché viziato da contraddizioni strutturali. […]
Ma che a gestire un’eventuale nuova fase siano chiamati i responsabili del disastro precedente fa venire molto dubbi. […]
Quando si tratterà di pagare i costi di tale riassetto, e suonerà la campanella che sancirà la fine della ricreazione, con la scusa del debito e una rinnovata strategia della tensione sullo spread, ne vedremo delle belle, in termini di nuova austerità, “riforme”, macelleria sociale, svalutazione del lavoro, impoverimento, disoccupazione. Tutto pur di evitare le ricette giuste, quelle di Keynes e Caffè, che invece mettevano al primo punto la “repressione finanziaria” per consentire di impostare politiche pubbliche di intervento nell’economia, non sotto ricatto dei mercati e perciò volte all’interesse dei lavoratori e dei ceti non abbienti. Alla luce di tutto quello che è accaduto in questi decenni, fino al coronamento di oggi, si comprende la ferma volontà di Caffè di sparire. Per non vedere. Soprattutto certi allievi. […]
Più è drammatizzata la crisi, più pesa il nome del prescelto come deus ex machina, maggiore sarà la probabilità del successo. […]
L’appello all’emergenza e all’unità è quindi un modo per affidare a commissari di poteri esterni, non legittimati democraticamente (la Troika), cioè a élites privatistiche, oligarchiche e antidemocratiche, quelle scelte. […]
La dialettica basso contro alto, popolo contro oligarchie, è una conseguenza logica del processo di espropriazione della sovranità democratica.  Può essere che sia destinata a fallire, che i suoi esiti siano ambigui o inefficaci. Ma è certo che finché permane questo campo di tensione dialettica, si cercherà di arginarlo in ogni modo attraverso l’uso politico-comunicativo dell’emergenza, per disciplinare i riottosi.  Un’impostazione obbiettivamente eversiva dei valori democratici. […]
Non c’è da sorprendersi se così la fiducia nelle istituzioni crolla. Sarebbe più serio abolire le elezioni, sancendo la fine dell’epoca cominciata con le Rivoluzioni settecentesche. Si sforzino, le cosiddette élites, di trovare un nome, e un discorso di legittimazione coerente, per giustificare in maniera esplicita, senza scuse emergenziali, la liquidazione della democrazia costituzionale. Soprattutto, propongano un nuovo modello, invece di deformare sempre di più quello ereditato dai Costituenti. Ma non lo possono fare: perché la loro mancanza di dignità e coraggio politico (quello che fa lottare apertamente, non manovrare dietro le quinte) è proporzionale al cinismo. La narrazione liberal, perbenista, pseudo-progressista, che è la copertura ideologica del globalismo finanziario, impedisce di dire la verità e soprattutto di trarne le conseguenze. […]
Ho la sensazione che con Draghi assisteremo a un nuovo uso politico-comunicativo della “pandemia”. Prima è servita a seminare terrore e chiudere tutto (al di là delle reali esigenze e della razionalità), adesso sarà l’occasione per aprire se non tutto molto e santificare Draghi come il nuovo “re taumaturgo”, che ha guarito la scrofola. Personalmente ne sarò felice, come credo tanti che non ne potevano più, ma resta il dato politico di un cambio strumentale di narrazione, che giustifica molti cattivi pensieri su quanto è accaduto nell’ultimo anno. […]
Gli anatemi reciproci tra Sinistra e Lega, 5 stelle e Forza Italia, mostrano qui, definitivamente, la loro grottesca superficialità e inconsistenza. […]
Quello che si può fare per ora è solo un lavoro culturale e critico di lunga lena, […] sperando che quelle istanze decisive, che esprimono il senso profondo della legittimità moderna, della sua promessa democratica, non siano fiaccate per sempre. Significherebbe che il riassetto del capitalismo in chiave digitale (e antisociale), occasionato dal coronavirus, si è mangiato interamente la politica come sfera dell’autodeterminazione e dell’eteronomia progettuale rispetto all’immanenza dell’economico. Una sorta di complessiva transizione epocale, di segno antropologico, civile e culturale, all’insegna dell’antipolitica ammantata di epistocrazia. In questo senso, il governo Draghi potrebbe essere visto come una pedina di un disegno più ampio: il governo della saturazione dello spazio pubblico, della negazione del conflitto in quanto tale».

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[Questo articolo è stato pubblicato ieri su girodivite.it]

Malattia, moneta, guerra

Capire le società significa anche e in gran parte capire le loro metafore. La guerra è anche una metafora. La quale può però essere applicata a fenomeni di conflitto reale o, invece, fantasmatico.
Reali sono i conflitti tra le nazioni, le classi, le identità etniche. Negare queste guerre nell’illusione di un’umanità nella quale «tutti siano uno» è tra i dispositivi culturali e religiosi più rischiosi che si siano mai dati. Accettare le differenze come differenze che rendono possibile lo scambio e il confronto sulla base di identità che ci sono, è invece la strada difficile ma feconda della pace. Chi proviene dall’esercizio di un lungo dominio sugli altri non accetta facilmente di riconoscere il diritto altrui di essere ciò che si è senza diventare ciò che il dominatore vuole.

La moneta, ad esempio, può essere sinonimo di pace o di guerra. Del complesso statuto ontologico, simbolico e prassico della moneta e della sua storia, ciò che di certo si può dire nel presente è che la moneta costituisce un grave rischio che soltanto un’informazione anestetizzata e anestetizzante può ancora una volta tentare di nascondere. Dal 1971 la principale moneta internazionale di scambio, il dollaro USA, non ha più alcun rapporto – neppure minimo – con un bene solido e fisico, che sia l’oro o altro. La decisione fu presa dall’allora presidente Richard Nixon e da quella data gli scambi monetari fluttuano nel vuoto della pura finanziarizzazione, della struttura soltanto «scritturale» e ora del tutto digitale della moneta e dunque della ricchezza. La creazione di cripto-monete, delle quali il Bitcoin è soltanto la più nota, costituisce sia un sintomo dell’inquietudine che aleggia sulla moneta sia un tentativo di affrancarsi da una uniformità – quella appunto del dollaro – che non potrà durare all’infinito.
Naturalmente creare moneta senza ancorarla a una base reale di ricchezza è uno dei modi più efficaci per distruggerne il valore. Questa dinamica si chiama debito, non a caso una delle parole peggio utilizzate dall’informazione contemporanea: «Si vedono solamente i segni monetari nuovi, l’illusione dell’abbondanza, e si trascura tutto quello che si vede meno (gli effetti ridistribuivi dell’inflazione, e così via). Se la stampatrice di banconote è così popolare, è perché offre un’eco ad un sogno sepolto nel cuore dello spirito umano. È la ricompensa che non richiede né sforzi né sacrifici, che si ottiene con un clic. […] Sul piano simbolico, la moneta staccata da qualunque bene reale non è soggetta ad alcun limite. Non ha ovviamente nessun limite fisico, perché non si incarna in niente di concreto. Inoltre la moneta disincarnata diventa perfettamente anonima, priva di territorio. […] L’indifferenziazione monetaria contribuisce all’appiattimento generale del mondo. […] Il capitale finanziario avrà allora raggiunto un vertice nella derealizzazione e nell’uniformizzazione del mondo» (Guillaume Travers, in Diorama Letterario, n. 356, p. 18). Se la moneta è così pervasiva è perché anch’essa esiste sotto il segno e dentro la natura del tempo. Le scelte di politica monetaria veicolano infatti «una relazione con il tempo, con la soddisfazione immediata dei nostri desideri, con la nostra libertà fino a quando sfuggiamo alla trappola del sovraindebitamento» (Id., p. 19).

La natura simbolica e psicologica della moneta – psicologica perché fondata sulla fiducia – costituisce un rischio intrinseco che però diventa ancora più concreto se opera all’interno di una struttura anch’essa aleatoria qual è il ‘mercato’ «poiché nel compromesso concluso due secoli fa fra diritto, politica e storia, compare un invitato inatteso in questa forma: il mercato, che fa di pace e guerra, fame e sete, vita o morte, un prodotto come gli altri, una prestazione come un’altra, che si pagheranno al loro prezzo» (Hervé Jurvin, p. 38).
Il mercato è una delle principali scaturigini della questione migratoria. Esso infatti cerca di realizzare i massimi profitti con il minimo investimento, anche sul costo del lavoro. L’arrivo in Europa da altri continenti di intere popolazioni ha distrutto il potere contrattuale dei lavoratori, ha abbassato i salari, ha contribuito a creare precarizzazione, miseria, negazione dei diritti.
Ho scritto ‘intere popolazioni’. Di questo infatti si tratta. Lo confermano due studiosi che si pongono su versanti ideologici per molti versi opposti ma la cui diagnosi del fenomeno migratorio è significativamente convergente in molti aspetti: l’italiano Umberto Eco e il francese Renaud Camus. Entrambi infatti propongono di distinguere tra immigrazione e migrazione. «La prima riguarda individui, pochi o molti, e può essere programmata, controllata, incoraggiata o scoraggiata, a seconda delle esigenze dei paesi di arrivo. Le migrazioni riguardano invece interi popoli e sono una faccenda del tutto diversa» poiché non riguarda degli individui ma intere collettività. Eco sostiene che l’accoglienza non deve arrivare sino al punto di trasformarsi in accettazione relativistica di qualunque modo di vivere, costume, consuetudine, credenza, «non significa dover accettare ogni visione del mondo e fare del relativismo etico la nuova religione europea» (U. Eco, Migrazioni e intolleranza, La nave di Teseo  2019, p. 54). Di più: come Camus, anche Eco prevede che dalle migrazioni nasceranno scontri assai gravi e sanguinosi, guerre in pratica. Scrive infatti che «questo confronto (o scontro) di culture potrà avere esiti sanguinosi, e sono convinto che in una certa misura li avrà, saranno ineliminabili e dureranno a lungo» (Ivi, pp. 26-27). Una delle differenze è che Camus ritiene che si debba difendere la cultura europea, Eco sembrava invece rassegnato al suo tramonto.

Una guerra del tutto fantasmatica, metaforica e strumentale è invece quella che si riferisce all’epidemia Covid19. L’espressione ‘siamo in guerra contro il virus’ è infatti tanto insensata quanto rivelatrice della natura politica e non sanitaria di questa sedicente ‘guerra’. «La guerra è uno scontro di volontà configgenti, ma attribuire una ‘volontà’, intesa in senso umano ad un virus, è di una assurdità inenarrabile» (Archimede Callaioli, DL 356, p. 40). Ma direi, anche, che è un ulteriore segno del modo superstizioso e non scientifico con il quale media, social network e decisori politici affrontano la questione sanitaria. È quindi vero: «la guerra, con il virus non c’entra nulla. Parlare di guerra è soltanto una spettacolarizzazione, una narrazione capace di catturare l’attenzione del destinatario del messaggio più e meglio di altre. È realtà virtuale evocata per tenere gli utenti davanti allo schermo, è wrestling» (Id., 40).
Applicata a una questione tragica come la vita e la morte da virus, la modalità spettacolare dimostra che i media sono, essi sì, in guerra con la verità e non soltanto contro i cittadini. Quella che si è diffusa, infatti, è «una epidemia della paura» (Alain de Benoist, ivi, p. 11), che ha consentito alle classi liberali e liberiste al potere di prendere tempo e affrontare senza troppi rischi la propria impreparazione prima di tutto filosofica al dominio della morte che sempre l’esistenza è. Da tema tabù, il morire si è infatti trasformato in ossessione spettacolare: «Il lugubre becchino che ogni giorno contabilizza i decessi in televisione, le inchieste quotidiane sui mortori, ci richiamano alla nostra condizione. Ieri si nascondeva la morte, oggi se ne fa ogni sera il conteggio quotidiano» (Id., p. 10). In questa drammatica temperie, l’Unione Europea è insieme lo zombi e l’assassino, è il morto che cerca di trascinare con sé i vivi: «Non è stata l’Europa a venire in aiuto all’Italia, ma la Cina, la Russia e Cuba. L’Unione Europea si è rivelata per quel che è: un non-essere, che sa solo far funzionare la stampatrice di banconote per fabbricare indebitamento» (Ibidem).

Torniamo così alla natura anche simbolica della malattia, della moneta, della guerra.

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