Skip to content


Titoli di laurea e dottorato di ricerca

Uno degli inevitabili effetti delle lauree attribuite da parte delle Commissioni universitarie senza alcun merito dei candidati (lauree insomma regalate) è che esse valgono sempre meno.
La situazione si aggrava se si osserva che anche a candidati dal percorso modesto e con una tesi di laurea altrettanto ‘nella norma’ viene sempre più attribuito il voto massimo e la lode. In alcuni Dipartimenti del mio Ateneo – vari corsi di medicina ad esempio – il «110 e lode» è diventato pressoché ‘di default’ e anche in altri settori si va nella stessa direzione.
Un fenomeno inflattivo di questa natura e portata ha l’effetto di cancellare il significato e il valore delle lauree con lode ottenute da chi davvero le merita e, in generale, di svuotare il valore legale del titolo di studio. Effetto che rappresenta una grave ingiustizia sociale e impedisce che l’impegno, lo studio, i risultati ottenuti funzionino anche da ascensore sociale. Tutti laureati con 110 e lode significa infatti nessun laureato con 110 e lode. E subentrano, inevitabili, i privilegi delle condizioni sociali e familiari di partenza.
Una prova evidente di questa perdita di valore legale e sostanziale delle certificazioni di laurea è il bando di concorso di un Premio assai interessante che l’amministrazione della città di Recoaro dedica da quest’anno a uno dei suoi ospiti più famosi: Friedrich Nietzsche.
In un’altra pagina di questo sito ho invitato a partecipare a tale concorso (l’abstract va inviato entro il 30.1.2024). Ma quali studiosi potranno partecipare al concorso? Quali sono i requisiti? Sono due: uno è l’età massima «non superiore ai 40 anni», l’altro è il «possesso del titolo di dottore di ricerca».
E infatti molti studenti hanno cominciato a capire che la laurea magistrale vale sempre meno e si presentano numerosi ai concorsi per entrare in un Dottorato di ricerca, il quale non garantisce comunque nulla né sostanzialmente né giuridicamente sul futuro, una volta conseguito il titolo. E tuttavia il diploma di dottorato viene percepito sempre più come la vera laurea, visto che quella nominale cessa di avere significato e prestigio. I posti disponibili nei dottorati sono però pochi; in ogni caso sono assai meno rispetto alle candidature. E questo produce frustrazione in chi concorre e non accede, pur avendo spesso un’ottima formazione.
Sarebbe stato del tutto naturale, in condizioni normali, aprire ai possessori di una laurea magistrale il concorso dedicato a Nietzsche. Ma tali lauree non garantiscono più l’acquisizione di solide competenze, dato che appunto vengono regalate con facilità dagli Atenei. E vengono regalate anche perché è stato il Parlamento italiano, sono i governi italiani a premere verso tale direzione. Esiste una norma infatti che penalizza Dipartimenti e Atenei che vedono iscritti molti studenti «fuori corso». Penalizza vuol dire che tali Dipartimenti e Atenei ricevono meno finanziamenti dallo Stato. La soluzione più facile per le Università è dare la laurea a tutti gli iscritti (e farlo in fretta), che essi la meritino o meno. Come ha affermato Eugenio Mazzarella, a questo punto sarebbe opportuno dare il certificato di laurea insieme al certificato di nascita (il corso ovviamente a scelta dei genitori), in modo che tutti i cittadini risultino laureati.
Il danno funzionale per la società italiana in termini di competenze dei suoi membri laureati e il danno esistenziale e collettivo in termini di giustizia sociale è enorme. Ma molti studenti e le loro famiglie continuano a festeggiare con spumante, corone d’alloro e botti il conseguimento di un titolo dal valore sempre più insignificante.
Anche questo è un modo per mantenere il corpo sociale in una condizione infantile. Tale dramma educativo conferma che si fa di tutto, davvero todo modo, per non far pensare le persone. Dalla scuola ridotta ad assistenza sociale alla televisione del tutto obbediente e menzognera, alle grandi distrazioni costituite dai social network e da casi di cronaca nera seguiti dai media per settimane e settimane, si opera allo scopo di evitare che le persone diventino libere, competenti, critiche, mature. Questo è sempre stato l’obiettivo dell’autorità ma nel presente esistono mezzi assai efficaci per raggiungerlo (ho parlato in modo più ampio e argomentato di tutto questo in un saggio del 2019 dal titolo La scuola del liberismo e la crisi delle scienze europee).
Questo il testo del bando per chi intende, e può, partecipare al concorso nietzscheano:
Primavera 1881, Nietzsche a Recoaro: la straordinaria bellezza

[L’articolo è stato pubblicato anche su girodivite.it]

Pedagogia francofortese

Elementi pedagogici della Scuola di Francoforte
in il Pequod , anno 3, numero 6, dicembre 2022, pagine 39-44

Indice
-Filosofia e critica
-Marcuse
-Dialettica e pedagogia

In questo testo ho cercato di mostrare, seppur brevemente, la complessità della Scuola di Francoforte anche sulla questione della pedagogia ‘antiautoritaria’. Non è da Marcuse e da Adorno che discendono i più diffusi, consunti ed errati luoghi comuni di una pedagogia sedicente progressista e delle corrispondenti pratiche didattiche tese allo svuotamento del fatto educativo, ma dalle opposte tesi del funzionalismo e del behaviorismo statunitense. Sono queste ultime ad aver contribuito in modo determinante al progressivo livellamento dell’insegnamento e dell’apprendimento nella società di massa. Un livellamento funzionale al mantenimento del dominio oligarchico.

Sulla tendenza delle scuole e delle università a regalare diplomi e lauree

Tesi e mondi
Aldous, 15 dicembre 2022

In questo articolo per Aldous ho ripreso quanto detto in Lauree e la discussione che ne è seguita con alcuni allievi e amici, la quale ha evidenziato che la metamorfosi dell’Università attuata dai ministri Luigi Berlinguer e Mariastella Gelmini ha avuto come esito uno studio diventato trafelato, che rimane di conseguenza del tutto superficiale, che ha come risultato il non apprendere nulla e il dimenticare presto ciò che si è appreso.
Ma non mancano per fortuna consistenti segnali del permanere di un abito scientifico che si unisce alla tenacia e a tanta passione verso la conoscenza. Le studentesse che hanno dialogato con me hanno ad esempio coniugato le tesi di Giovanni Gentile sull’educazione con la propria esperienza, cogliendo il nucleo profondo della pedagogia socratica, il cui esito non dipende dal docente (che non è onnipotente) né dipende dall’allievo (che è appunto in formazione) ma è il risultato della loro relazione, dalla quale si genera il fatto educativo come esperienza comunitaria. Sono concetti semplici e fecondi ma evidentemente del tutto ignoti alle istituzioni formative degli anni Venti del XXI secolo.
E pertanto sono convinto che al pessimismo dell’intelligenza dobbiamo unire l’ottimismo della volontà, poiché una società senza conoscenza e senza rispetto per chi apprende è una società perduta. La presenza di tanti studenti e docenti dai comportamenti e dalle parole ancora libere e consapevoli è di per sé garanzia di salvezza del sapere, delle comunità politiche, degli individui capaci di pensiero.

Lauree

In una seduta di laurea dello scorso novembre ho chiesto di mettere a verbale la seguente dichiarazione:

==========
«La tesi che la candidata *** presenta per il conseguimento della Laurea magistrale in Scienze filosofiche, dal titolo ***  si compone di 32 pagine; indica soltanto 6 testi in bibliografia; contiene errori di ogni genere (sintassi, lessico, grammatica) in quasi ognuna delle 32 pagine; non dà neppure una indicazione in nota o nel corpo del testo dei classici dei quali parla; presenta dei brani copiati dalla Rete (ad esempio a p. 12 dal sito di Giuseppe Argentieri [su Agostino: https://www.giuseppeargentieri.eu/tag/agostino/]; a p. 24 da un manuale online dell’Università di Siena [sul concetto di creazione: http://www3.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/testi/htm/t_char1.htm]).
Ritengo dunque che un lavoro con queste caratteristiche non possa essere giudicato adeguato al conseguimento del titolo di laurea magistrale, titolo che pertanto chiedo alla Commissione di non attribuire alla candidata.
Aggiungo che, per quanto basso sia diventato il livello dei laureati italiani, non intendo rendermi responsabile di una decisione evidentemente scorretta, quale sarebbe l’attribuire un titolo dal valore anche legale a fronte di una tesi di laurea del tutto insufficiente».
==========

Come siamo arrivati a un punto così basso della didattica universitaria?
Alcuni anni fa descrivevo i patetici tentativi di nascondere la realtà con ‘corsi zero e sotto(zero)’ rivolti alle matricole. Di didattica e pedagogia scrivo da quando insegnavo nei Licei, dunque da decenni. Alcuni di noi hanno indicato per tempo  – con libri, saggi, iniziative, azioni – il baratro verso il quale stiamo conducendo ciò che chiamiamo ‘conoscenza, sapere, scienza, civiltà’ (cfr. ad esempio: Educazione e antropologiaSulla «Grande Riforma» della scuola italianaPer la παιδεία).
Nel caso specifico del quale parlo ci sono evidentemente problemi nella governance (come amano dire) delle Università italiane per quanto riguarda i finanziamenti, che arrivano più copiosi se si hanno più iscritti che si laureano in corso e si hanno più iscritti che si laureano in corso se si rende tutto più facile, vale a dire se si nega uno dei significati sia antropologici sia sociali delle istituzioni educative: orientare in base alle capacità e alla tenacia.
E poi: presidenti di corsi e di commissioni di laurea che dovrebbero verificare per tempo la congruità delle tesi presentate; studenti abituati a ottenere voti alti preparando gli esami in pochi giorni; la generale pretesa di laurearsi soltanto per il fatto di essersi iscritti a un corso di studi, atteggiamento – questo – che è parte di uno dei drammi più pervasivi del presente: l’infantilizzazione del corpo collettivo. E così via e così via nel rosario delle responsabilità diffuse.
Ma non sono questi gli elementi più gravi. Il dramma è il risultato, vale a dire: titoli di laurea che perdono il loro valore; tanti studenti che si impegnano con rigore e passione e che ottengono lo stesso titolo legale di chi copia le tesi; la conferma che onestà e lavoro non servono e nella vita ci vuole altro. Tutte espressioni, quelle elencate e altre, del fallimento della funzione educativa delle istituzioni scolastiche e universitarie.
In questo dramma c’è anche una dimensione farsesca, quella di chi crede che regalando a tutti le lauree si operi a favore dei più disagiati, mentre invece si ottiene esattamente il contrario poiché si ribadiscono ciascuna e tutte le diseguaglianze di partenza. Chi arriva alla laurea senza meritarlo ma proviene da una famiglia ‘che possiede dei mezzi’ arriverà lontano; chi si laurea meritandolo ma fa parte di una famiglia che questi mezzi non li ha rimarrà fermo. E però tutti saranno ugualmente ‘laureati’. È il noto effetto inflattivo, che colpisce in modo implacabile i più deboli.
Tutto questo non è certo prerogativa della sola Università di Catania. Ma ovunque e da chiunque lo si consegua, che valore avrà il certificato di laurea magistrale rilasciato da un Ateneo dove lo si ottiene con una tesi di 32 pagine piena di errori e in parte copiata? Un valore assai scarso, quasi nullo.

[L’articolo è uscito anche sulla testata girodivite.it]

Educante?

Educante?
Aldous, 18 settembre 2022

L’espressione «Comunità educante», diffusa e ripetuta in vari documenti del Ministero italiano dell’Istruzione e nella elaborazione dei suoi pedagogisti, è una delle più significative, in parte criptiche ma sostanzialmente chiare, espressioni della potenza che il linguaggio possiede nel nascondere la realtà mentre la designa. In altri termini, si tratta di una formula fortemente ideologica, volta a nascondere  – con il suono mellifluo dell’inclusione e della condivisione – la trasformazione ormai quasi compiuta delle scuole in luoghi di indottrinamento radicale, la cui radicalità consiste in una serie di «comportamenti attesi», nell’introiettare regole morali inflessibili, valori fuori dai quali non si viene riconosciuti non soltanto come studenti o docenti ma anche come cittadini e persino come umani. L’articolo analizza questa tendenza dispotica di alcune pratiche didattiche contemporanee.

Il tempo ricordato

Belfast
di Kenneth Branagh
Gran Bretagna, 2021
Con: Jude Hill (Buddy), Caitriona Balfe (Ma), Jamie Dorman (Pa), Ciarán Hinds (il nonno), Judi Dench (la nonna), Colin Morgan (Billy Clanton)
Trailer del film

In un quartiere di Belfast dove sino ad allora avevano convissuto porta a porta cattolici e protestanti, nel 1969 si scatena la violenza degli anglicani che minacciano, devastano, intimano ai cattolici di andare via, perché quelle strade appartengono a loro.
Buddy è un ragazzino delle elementari pieno di vitalità, simpatia, amore per le storie, per il cinema, per la fantasia. Si scontra con questa realtà distruttiva e incomprensibile, dentro una famiglia protestante che però non condivide per nulla il disprezzo verso i cattolici e anche per questo viene minacciata. L’assenza del padre, quasi sempre fuori per lavoro; la saggezza del nonno paterno; la forza fragile ma vincente della magnifica madre, lo salvano dalla trasformazione dei suoi occhi curiosi in uno sguardo brutale. E salvano il suo ricordo di Belfast.
Al quale ora, da attore e regista adulto, dedica un film che è un’iniziazione alle contraddizioni dell’esistere collettivo; allo splendore di ogni infanzia pervasa di amore; alla forza educativa della strada -quella strada alla quale nel nostro tempo impaurito i bambini vengono negati, privandoli di un fecondo modo di formazione, quella strada nella quale ho avuto anch’io la fortuna di essere educato-; un’iniziazione alla bellezza che anche i luoghi più brutti (Belfast lo è) assumono quando sono i luoghi che ti hanno visto venire alla luce e respirare.
Un bianco e nero intriso di pienezza e nostalgia è il segno stilistico più chiaro della potenza del tempo ricordato.

Ethoanthropology

Towards an ethoanthropology  
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
Anno 13 – Numero 1/2022
Pagine 72-78

Indice
1 Paradigms
2 Ethoanthropology
3 Natureculture
4 Animal Experimentation
5 Biotechnology

Abstract
In this paper, I propose we replace the anthropocentric paradigm with an ethoanthropological one that can account for the fact that the human being is just a part of the world and of “nature”. Theoretical reflection and recent findings in the natural sciences confirm that ancient anthropocentric dualisms – the ancient body/soul, and res extensa/res cogitans divide – are obsolete. Here I argue that the human being is a bodymind continuum (an embodied mind), comprising action, experience, nurture, and culture. To develop a broader and at the same time more specific science of man is possible only on the condition that we give up the anthropocentric view and replace it with an ethoanthropology. This would also provide compelling reasons to forego harmful experimentation and exploitation of other animal species, including animal biotechnology.

Per una etoantropologia – In questo articolo si avanza la proposta di rimpiazzare il paradigma antropocentrico con un paradigma etoantropologico volto a comprendere l’essere umano all’interno del mondo e all’interno della “natura”. La riflessione teorica e le scienze naturali confermano che l’antico dualismo antropocentrico – tra corpo e mente, tra res extensa e res cogitans – è semplicemente obsoleto. L’essere umano è un continuum di corpomente (una mente incarnata), azione, esperienza, educazione e cultura. Sviluppare una scienza dell’uomo che sia più ampia e al contempo più precisa è possibile a patto di superare il provincialismo antropocentrico e di sostituirlo con una etoantropologia. Questa potrebbe fornirci delle ragioni forti per rinunciare alle pratiche più distruttive operate sugli animali, comprese quelle biotecnologiche.

========

Vorrei aggiungere qualcosa ai dai bibliografici di questo saggio. Vorrei dare qualche informazione ulteriore che possa essere utile soprattutto ai miei allievi e in generale a dei giovani studiosi. Un’informazione che li aiuti anche a non scoraggiarsi quando ricevono dei rifiuti alle loro proposte di pubblicazione da parte delle riviste scientifiche. Anche la ormai consueta peer review, ‘valutazione tra pari’, non sfugge infatti agli umani, troppo umani sentimenti e comportamenti.
Questo saggio, dedicato a un tema centrale della mia ricerca, mi era stato in realtà chiesto da una collega come contributo a un volume collettaneo. Dopo qualche tempo dall’invio ricevo non da lei ma da una sua collaboratrice il giudizio di un reviewer che bocciava decisamente il testo. Può capitare, naturalmente, ma in questo caso la procedura era stata scorretta.
In primo luogo perché si trattava di un solo revisore, quando la regola ne prevede due.
In secondo luogo, e soprattutto, si trattava di un revisore che probabilmente aveva capito chi fosse l’autore, verso il quale evidentemente non nutre molta simpatia; aveva quindi approfittato dell’occasione non per redigere un giudizio negativo ma per insultare il testo (e quindi il suo autore) con un linguaggio e delle modalità che la pratica di valutazione tra pari esclude.
Poco male se non per chi mette in atto simili comportamenti, non certo per me. Proposi infatti il testo a una delle più prestigiose riviste internazionali di filosofia, i cui due revisori diedero giudizi positivi: uno con un apprezzamento incondizionato, scrivendo tra l’altro: «The author expresses with mastery and competence the multiple and complex articulations of the topic of the paper. […] The essay is an excellent reflection on the issues highlighted above, written in clear and engaging language at the same time»; il secondo revisore con un giudizio nel quale mi dava dei consigli su come chiarire e migliorare due passaggi e argomentazioni del testo: «The manuscript can be considered as a position paper expressing a strong and heartfelt accusation against anthropocentrism. Even if it does not have the classic structure of a regular article, the proposed arguments are compelling and constitute at least a challenge for our life style and for a number of beliefs that we typically take for granted.
For this reason, I consider this work worth publishing.
Yet, I strongly suggest to clarify to passages concerning the notion of vivisection.
[…] In any case the relationship between animal and environment exploitation should be expressed more clearly».
Ho naturalmente modificato i brani e integrato le questioni segnalate da questo revisore, che quindi ringrazio per avermi aiutato a migliorare il testo. Come ringrazio il primo per il giudizio totalmente positivo da lui formulato.
Per quanto riguarda il poveretto che aveva concluso la sua valutazione con queste parole (comunque tra le più gentili rispetto al resto): «Il paper non presenta alcuna innovativa posizione nel dibattito sull’argomento; tenta di farlo, ma in maniera pressoché pamphlettistica, che poco ha del paper scientifico», gli auguro di crescere scientificamente e umanamente.

[In questo numero della RiFP è uscito anche un ampio studio del mio allievo e collaboratore Andrea Pace Giannotta, dal titolo Corpo funzionale e corpo senziente. La tesi forte del carattere incarnato della fenomenologia (pp. 41-56)].

 

Vai alla barra degli strumenti