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Transizioni

Transizioni
Aldous, 27 gennaio 2024
Pagine 1-2

A partire dal caso della città dove abito, Milano, ho cercato in questo articolo di analizzare il significato, le contraddizioni e la forte spinta transumanista di alcune recenti tendenze alla “transizione”: transizione digitale, transizione ecologica, transizione di genere.
Tali transizioni sono fondate su un moralismo estremo che intende sostituire (per usare le categorie platoniche) il Vero con il Buono, dove che cosa sia Buono è naturalmente stabilito da chi ha il potere e le risorse economiche per convincere le masse degli spettatori.
Tutto questo è espressione di una posizione storico-politica ancora più ampia: l’occidentalismo. Esso consiste nella certezza che i valori dell’Occidente anglosassone (e non dell’Europa) siano valori universali, indiscutibili e santi. Un occidentalismo molto aggressivo, manicheo e sostanzialmente suicida visto che l’Occidente rappresenta una minoranza sul pianeta, sia dal punto di vista economico sia da quello demografico e in relazione alle risorse naturali.
Il rischio per un’Europa asservita all’ideologia occidentalista è di cadere nella spirale di una transizione verso la propria fine.

[L’articolo è uscito anche su Sinistrainrete]

Stefano Palumbo su Animalia

Stefano Palumbo
Recensione a Animalia
 in Scienza & Filosofia
numero 26 / dicembre 2021
Pagine 234-238

«Recuperando una visione dell’essere umano nella sua dimensione biologica, considerando cioè l’animale umano per quello che è, e cioè un animale tra gli animali, è possibile aprirsi alla costruzione di nuovi orizzonti interpretativi dell’umano sull’umano stesso, di coniare cioè un’antropologia che sia anche un’etologia.
È esattamente attorno a questo snodo, tra scienze biologiche e filosofia, che si muove il saggio di Alberto Giovanni Biuso – Animalia. Un saggio agevole e di facile consultazione, ricco di spunti e di suggestioni multidisciplinari interne al “problema” dell’animalità in tutte le sue declinazioni particolari. […]
L’umano è invece immerso in una complessa matrice naturalculturale, è cioè dipendente da entrambe le dimensioni, che sono un tutt’uno e che forniscono la base della sua esperienza sempre in divenire, e sempre in relazione con l’altro da sé. L’umano è cioè sempre e innanzitutto un animale, per quanto possa sforzarsi di negarlo, attraverso la sicumera delle sue elaborate costruzioni linguistico-concettuali; la sua specifica filogenesi, il suo “allevamento” come essere materiale messo in forma dall’evoluzione e sempre imbrigliato nel qui e ora della temporalità e delle relazioni, specie-specifiche ed eterospecifiche, conterrebbe già al suo interno l’urgenza della fondazione di una nuova eto-antropologia». 

Stefano Piazzese su Animalia

Stefano Piazzese
Recensione a Animalia
in Discipline Filosofiche (6 ottobre 2021)

«Una visione antica dell’essere umano, certo, ma formulata in modo nuovo, come nuova è ogni teoresi che nel suo inseparabile legame con la storia del pensiero non rinuncia a risemantizzare ogni ambito dello spazio e del tempo. E qual è la visione che qui si ha dell’essere umano? Un ente in natura riconciliato con la sua dimensione ontologica fondamentale (che è suo fundamentum), la sua animalità. Un’animalità che finalmente riconosce il suo simile, il quale non è circoscritto solo al cerchio ristretto degli altri Homo sapiens; qui il simile è l’animale in quanto tale. […]
Qui si traccia una linea di demarcazione netta, il limes sacro, tra la violenza rituale della religione greca e la violenza indiscriminata, ingiustificata di Homo Sapiens nei confronti degli altri animali per qualsiasi motivazione (alimentazione, sperimentazione, addomesticamento, puro sadismo); violenza che consiste in una vera e propria mortificazione ontologica. È possibile condividere, nei limiti in cui lo può fare un carnivoro, certo, la tesi di fondo, che può essere espressa nel seguente modo: recuperare la dimensione del sacro vuol dire abitare nella consapevolezza di un mondo trasfigurato, dove è bandita ogni forma di violenza che continuamente viene gridata dai nostri simili trucidati per il puro piacere».

Post-ecologia

Transcendence
di Wally Pfister
USA, 2014
Con: Johnny Depp (Will Caster), Rebecca Hall (Evelyn Caster), Paul Bettany (Max Waters), Morgan Freeman (Joseph)
Trailer del film

Trascendenza è il modo in cui il Dottor Will Caster chiama la Singolarità. Nel linguaggio della Artificial Intelligence quest’ultima è l’ipotizzato momento nel quale i software, l’hardware, l’insieme delle ‘macchine per pensare’ prenderanno coscienza di esistere, diventeranno Dasein.
A questa singolarità lavorano davvero, nella realtà non al cinema, vari centri di ricerca sparsi per il mondo. La finzione del film comincia quando Caster, un informatico strepitoso e visionario, subisce un attentato da parte di gruppi neoluddisti. Sembra che la pallottola lo abbia colpito di striscio ma è stato sufficiente a immettere nel suo corpo un veleno radioattivo che a poco a poco lo uccide. Dandogli però il tempo, con l’aiuto della moglie/collega e di un amico medico e informatico, di sperimentare su se stesso le procedure del PINN (Physically Independent Neural Network), il progetto da lui ideato di ibridazione tra un organismo biologico e la Rete. Caster muore e le sue ceneri vengono disperse ma la sua mente sembra rinascere nei circuiti digitali. Sino a moltiplicarsi, espandersi, diventare così potente da guarire i ciechi, gli storpi, restituire vita. Vite che però diventano delle entità sottomesse al Grande Essere Digitale, il GED del quale parlai nel 2009:

«la forma nella quale probabilmente i corpi e le intelligenze si fonderanno in una connessione continua di memoria operativa, database conservativi e comunicazioni in tempo reale. Se il GED sarà, esso verrà costituito non da robot diventati padroni del mondo o da androidi ma da quella fusione di biologico e protesico che l’umanità è da sempre. Non bisogna, infatti, confondere entità assai diverse come –appunto- i robot, gli androidi e il cyborg. […] Il cyborg, invece, costituisce il presente e la stessa storia dell’umanità, poiché è la fusione tra un organismo biologico e una macchina o una funzione che modifica la struttura di base dei corpi. […] La natura protesica, metamorfica, estendibile del corpo, che è da sempre pronto a trasformarsi, adattarsi, evolvere, potenziarsi; il legame profondo e articolato dell’umano con le macchine intelligenti da esso prodotte»
(La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci, p. 253).

A questo punto del film il governo si allea con i gruppi luddisti per fermare l’entità che si sta espandendo nello spazio e nel tempo, nella materia e nella memoria. Un’entità che si incarna nel  Dott. Caster di nuovo fisicamente vivo, capace di abbracciare la moglie e stabilire con lei che cosa fare, come sopravvivere o morire, in che cosa trasformarsi.
Come si vede, l’idea di Transcendence è profonda, direi preziosa e visionaria. La realizzazione è invece  banale, come se Hollywood non riuscisse quasi mai ad andare al di là del genere western. È comprensibile, vista la natura infantile e manichea della società statunitense, ma rimane un limite che taglia le ali anche ai progetti più interessanti. In questo caso l’interesse sta nell’atteggiamento panteistico e animistico dell’agente Smith di Matrix diventato qui PINN/Caster. L’agente Smith -lo ricordo– è una macchina in forma umana la quale afferma che all’inizio del loro potere i computer/software avessero immaginato un mondo felice, tranne però poi constatare che gli umani non riuscivano a viverci dentro, tanto da costringerli a modificare il programma. In quel film fondativo l’agente Smith si rivolge agli umani con queste parole:

«Voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta»
(Andy & Larry Wachowski, The Matrix, 1999).

Concordo con l’agente Smith.
L’immagine di apertura è stata scattata su Marte, dove non ci sono sofferenze, non ci sono virus, non c’è la morte, non c’è nessuna crudeltà; ci sono soltanto materia e luce, ci sono soltanto campi di energia, c’è soltanto la potenza delle rocce e delle stelle dalle quali derivano.

Enrico Palma su Animalia

Enrico Palma
Animalia
in il Pequod, n. 2
novembre 2020
pagine 58-62

Con il suo consueto respiro critico Enrico Palma conduce un itinerario dentro Animalia, facendone emergere «tre fondamentali prospettive teoriche: destituire l’antropocentrismo di ogni validità epistemologica e ontologica come concezione di fondo per cui l’umano deterrebbe una supremazia di ogni genere e a tutti i livelli sul resto dell’ente e dei viventi; affermare la ricchezza e la pluralità del mondo animale nella differenza delle specie; istituire un nuovo paradigma, quello etoantropologico, in cui il confronto tra il comportamento umano e quello animale possa condurre a una riformulazione della cultura dominante in favore di una visione ecologica, egualitaria e rispettosa dell’intero sistema-mondo nel quale la pluralità delle specie prolifera».
La radice unitaria di tali prospettive sta nel fatto che «l’animalità è una delle strutture attraverso le quali la materia esplica tutta la sua potenza e creatività. Questo libro rappresenta infatti l’applicazione di una prospettiva teoretica profondamente materialistica, che rinviene nella differenza in divenire della materia e del tempo la scaturigine del reale. L’animalità è materia differenziata nel divenire di diverse strutture».

Enrico M. Moncado su Krisis

Enrico M. Moncado
L’epidemia racconta il collasso di un mondo già devastato
(il manifesto, 3.12.2020, p. 11)

Enrico Moncado ha dedicato a Krisis. Corpi, Confino e Conflitto una densa analisi che delinea una critica argomentata dei dispositivi di obbedienza generati dall’epidemia da Sars2.
L’autore sostiene che «è questo “approccio quantitativo al mondo” insieme al dissolversi dei corpi, degli spazi, delle relazioni, della didattica che i tanti Don Abbondio (studenti, docenti, intellettuali, politici) hanno voluto celebrare “proteggendo” la nuda vita. La vita che non conosce altro all’infuori di se stessa, la vita che è costante terrore della morte: “Il dispositivo fondamentale dell’autorità tirannica è infatti ed esattamente la paura della morte che diventa pensiero ossessivo del decesso”.
Un eccesso di fredda razionalità ha tradotto la vita collettiva in irrazionali conflitti davvero lontani da un pensiero critico e plurale. Quest’ultimo è infatti sempre comprensione qualitativa e anche quantitativa delle forze che intessono di senso ogni accadere; poiché la critica, se è veramente tale, è un esercizio di necessaria giustizia esterno a ogni atteggiamento di obbedienza».

[L’immagine è di George Marazakis ed è stata pubblicata sul numero 73 di Gente di Fotografia]

Contagion

Contagion
di Steven Soderbergh
USA, 2011
Con: Laurence Fishburne (Ellis Cheever), Matt Damon (Thomas Emhoff), Kate Winslet (Erin Mears), Gwyneth Paltrow (Beth Emhoff), Jude Law (Alan Krumwiede), Marion Cotillard (Leonora Orantes)
Trailer del film

Un pipistrello vola. Lascia cadere parte del proprio cibo che viene raccolto da un maialino. Il quale diventa presto pietanza in un ristorante di Hong Kong. Una cliente apprezza così tanto il piatto da chiedere di farsi una foto con il cuoco che ha cucinato il maiale. I due sono quindi vicini e sorridenti. Tornata nel Minnesota, Beth Emhoff sta male e in due giorni muore. Da lì il contagio si propaga velocemente tramite le mani che toccano, gli oggetti toccati, la tosse.
Nulla si sa del nuovo virus: «La migliore difesa per ora è il distanziamento sociale: stare in casa, lavarsi le mani, non incontrare nessuno», non toccarsi mai il viso. Il Parlamento si organizza per lavorare on line. Tra gli specialisti e sulla stampa si moltiplicano i riferimenti all’epidemia spagnola del 1918-1920. I medici dicono ai potenziali contagiati e anche ai sani «non parli con nessuno, non tocchi nessuno». I genitori raccomandano ai bambini: «Tieniti a distanza da altre persone». In quanto immune, il marito di Beth dice: «Se sono immune, non potreste usare il mio sangue per la cura?». I governatori di alcuni Stati chiudono le frontiere. Camion dell’esercito per le strade. Si cerca in tutti i modi di trovare un vaccino. Chi si è vaccinato ottiene un braccialetto che gli consente di muoversi liberamente; chi non è vaccinato è sottoposto a controlli e perdita dei diritti.

Familiare, vero? Ma è la trama di un film del 2011. Le principali differenze rispetto alle realtà che stiamo vivendo nel 2020 sono costituite dai saccheggi e dalle violenze, che avvengono subito e in modo grave; dal numero assai più alto di morti, che nel film è dopo alcuni mesi di 26 milioni (attualmente i morti da Sars2 si attestano intorno al milione e mezzo nel mondo); dalla virulenza decisamente più aggressiva e potente del virus di Contagion. Una curiosa differenza è che nel film le maschere/museruole appaiono ma non sono obbligatorie.
Una differenza a sfavore della realtà è però che nel film il vaccino viene trovato dopo pochi mesi ed è efficace. I provvedimenti sanitario-politici di esperti e amministratori smarriti e terrorizzati sono invece gli stessi. Identico è naturalmente il panico e simile è la fine della socialità.

Anche le singolari ma in fondo ovvie coincidenze tra un’opera di fantasia e quanto dopo dieci anni sta effettivamente accadendo mostrano che sono prevedibili e sono state previste epidemie causate in primo luogo dalla perdita della biodiversità, dalla distruzione degli ambienti nei quali vive la fauna selvatica, dal diffondersi ovunque e in modo industriale dei macelli e dell’alimentazione carnea. Il virus è dunque anche il risultato della relazione distorta tra Homo sapiens e gli altri animali.
La Covid19 passerà ma la possibilità che si ripeta a livelli più gravi è realistica, per la semplice ragione che decisori politici e società civile non sono in nessun modo disponibili e capaci di modificare davvero (e non con il patetico e pericoloso alibi dello «sviluppo sostenibile») i modelli economici e lo sfruttamento insensato del pianeta Terra. Il quale si difende e si difenderà in tutti i modi da noi.
Per quanto riguarda il film di Soderbergh, la prima parte è avvincente e ha un ottimo ritmo, poi però scivola nel genere catastrofista hollywoodiano.
(L’immagine di apertura è tratta dal film del 2011 o dalla realtà del 2020?)

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