Skip to content


Epicuro / La materia

Epicuro
Lettere sulla felicità, sul cielo e sulla fisica
Prefazione di Francesco Adorno
Introduzione, traduzione e note di Nicoletta Russello
Rizzoli, 2021
Pagine 197

Lettera a Erodoto (sulla fisica): §§ 35-83
Lettera a Pitocle (sull’astronomia/cielo): §§ 84-116
Lettera a Meneceo (sull’etica/felicità): §§ 122-135

La materia è tutto, la materia è al centro di tutto, la materia è la fonte di ogni altra espressione del mondo. E dunque l’ambito che studia la materia – la Fisica – è il sapere fondamentale, dal quale gli altri ricevono chiarimento e senso. Anche per questo delle tre lettere nelle quali Epicuro (341-270) riassunse il proprio pensare, il testo chiave è la Lettera a Erodoto, nella quale il filosofo fornisce anche alcune indicazioni di metodo che sono preziose per affrontare qualsiasi tema.

La prima indicazione va la di là della contrapposizione tra induzione e deduzione, in quanto «si dedurrà una puntuale conoscenza dei dettagli, se lo schema generale della teoria è stato ben compreso e fatto proprio dalla memoria» (§ 36, p. 69), se dunque ogni osservazione fisica è resa sensata e feconda da una prospettiva metafisica generale che non si limiti a osservare ma che osservi comprendendo, cercando di articolare il più ampio quadro epistemologico e materico nel quale qualunque osservazione empirica prende avvio, accade, perviene a dei risultati di natura generale.
L’osservazione metafisico-fisica del mondo ci dà le informazioni essenziali su di esso, prima delle quali è la sua infinità nello spazio e nel tempo: «Non c’è dubbio che il tutto è infinito [το πάν άπειρον εστί]» (§ 41; p. 73).
L’intero si compone di mondi infiniti che mai hanno avuto nascita e mai avranno fine poiché «nulla ha origine da ciò che non è […] E se ciò che perisce si annientasse in ciò che non è, tutto sarebbe ormai distrutto, perché ciò in cui si è dissolto sarebbe non esistente» (§§ 38-39, p. 71).
La materia, il tutto – τὸ πᾶν – si compone di corpi/enti e di spazi locali nei quali tali corpi si muovono: σῶματα καὶ κενόν (§ 39; p. 73).
Il risultato è che termini come ‘vuoto’ e ‘nulla’ sono delle semplici parole di confine, le quali indicano la pura astrazione negativa del concetto rispetto alla pienezza eternovunque che il mondo è.
Esigenza logica e ontologica è dunque che nella divisibilità dei corpi non si possa arrivare alla loro dissoluzione nel niente e per questo è necessario postulare un confine ultimo della differenza che sono gli ἄτομα, le componenti prime e indivisibili della materia. Gli aggregati di atomi si compongono e si dissolvono ma le loro parti costitutive prime e indivisibili rimangono eterne. Le tre caratteristiche intrinseche alla struttura atomica sono σχήματος, la forma; βάρους, il peso assoluto, non relativo ad altri corpi, vale a dire la massa; μεγέθους, la grandezza.
Il corpomente umano è composto anch’esso di tali elementi. La ψυχή è l’energia della materia diffusa in tutto l’organismo e capace di vivere sino a che l’organismo rimane unitario e composto. Quando si dissolve, con esso si separa ogni altra struttura di identità del corpomente, tornando σῶμα e ψυχή al tutto indistinto dal quale si formeranno altri aggregati, «non è infatti possibile pensare che l’anima sia senziente  fuori da questo complesso di anima e corpo» (§ 66, p. 97). 

L’impersonalità della materia – sostenuta contro il Timeo e gli Stoici – costituisce uno degli elementi centrali di continuità tra la fisica e ciò che chiamiamo etica. La materia e gli dèi, che sono la stessa cosa, sono infatti del tutto impersonali, privi di passioni, impossibilitati ad agire per favorire o per danneggiare i loro composti: «In una natura incorruttibile e beata non può esistere nulla che possa provocare conflitto o turbamento; μη είναι εν άφθάρτω και μακαριά φύσει των διάκριση/ ύποβαλλόντων ή τάραχον μηθέ» (§ 78, p. 107). Proprio questa indifferenza è parte fondamentale dell’essere ‘immortale e beato’ αφθαρτον και μακάριον, che è la vera natura del divino (§ 123; p. 143).
La consapevolezza che tale è la struttura del mondo ci libera dalla paure più grandi, da quei terrori che avvelenano l’esistenza, come il terrore della volontà divina e della morte. Anche lo studio dei cieli, l’astronomia, serve a conseguire tale e tanta serenità. Infatti «nella conoscenza dei fenomeni celesti, connessa ad altre dottrine o fine a se stessa, non vi [è] altro scopo che il conseguimento di imperturbabilità [άταραξίαν] e solide convinzioni, proprio come nelle altre ricerche» (§ 85; p.113).
La serenità è uno dei frutti di tutto questo. Una serenità che conduce a gustare quanto la vita offre di bello, a godere dei piaceri ma – condizione fondamentale – senza essere subordinati ai desideri. La felicità umana coincide piuttosto anche con la libertà dai desideri, oltre che con la libertà dai timori. Epicuro afferma anzi che «l’indipendenza dai desideri sia il bene più grande; Και την αύτάρκειαν δε αγαθόν μέγα νομίζομεν» (§ 130; p. 149). Evidentemente errate, per non dire insensate, sono dunque le interpretazioni dell’etica epicurea come un atteggiamento di abbandono a ogni e qualsiasi forma del piacere, quando invece è la φρόνησις – la saggezza, la prudenza, la misura – a caratterizzarla, è il «non aver dolore nel corpo né turbamento nell’anima; αλλά το μήτε άλγεΐν κατά σώμα μήτε ταράττεσθαι κατά ψυχή» (§ 131; p. 151).

La felicità della persona/filosofo è pari alla beatitudine degli dèi, è pari alla forza della materia stessa. Sarà dunque possibile vivere «come un dio fra gli uomini: perché in nulla è simile a un mortale un uomo che viva fra beni immortali; ζήσεις δε ως θεός εν άνθρώποις. ούθέν γαρ ἕοικε θνητψ ζώω ζων άνθρωπος εν άθανάτοις άγαθοΐς (§ 135; p. 155).
Così si chiude la lettera di argomento etico a Meneceo, fondata – come abbiamo visto – su quelle dedicate alla fisica e all’astronomia. Poiché la materia è tutto, la materia è al centro di tutto, la materia è la fonte di ogni altra espressione del mondo.

[Esattamente 424 anni fa, il 17 febbraio del 1600, veniva arso vivo dall’Inquisizione cattolica un altro filosofo che aveva posto al centro dell’ontologia e dell’etica la materia cosmica, Giordano Bruno. In tempi nei quali le inquisizioni politicamente corrette stanno drammaticamente restringendo le libertà di pensiero e di espressione, ricordo i due Dialoghi (entrambi del 1584) nei quali la riflessione bruniana coniuga in modo come sempre complesso e splendido la questione della materia e la necessità della libera parola: De l’infinito, universo e mondi  ;  De la causa, principio e uno ]

Povere cose

Poor Things
(Povere creature!)
di Yorgos Lanthimos
USA, 2023
Con: Emma Stone (Bella Baxter), William Dafoe (Godwin Baxter), Mark Ruffalo (Duncan Wedderburn), Ramy Youssef (Max McCandless), Christopher Abbott (Alfie Blessington)
Trailer del film

Non ‘povere creature’ ma ‘povere cose’, che è ben diverso. I corpi qui descritti, manipolati, viventi e morti, sono infatti delle cose organiche che un chirurgo estremo può dividere e comporre quasi a suo piacimento; che i clienti di un bordello possono scegliere e pagare; che i movimenti impacciati della donna/bambina Bella Baxter mostrano nella loro struttura di condensazioni di energia muoventesi nello spaziotempo. Movimenti non solo impacciati, però. Movimenti che a poco a poco passano da quelli di un infante, per quanto dentro un corpo di donna, a quelli di una persona adulta, che ha desiderio di scoprire il vasto orizzonte dei luoghi e degli umani e soprattutto la potenza dei desideri e degli orgasmi. E ci riesce, liberandosi da ogni prigionia, benevolente o gelosa che essa sia, e triturando le passioni, i linguaggi, i corpi delle persone che incontra. Sino, alla fine, a diventare studentessa di medicina, conoscendo dei corpi già tutto.
Le scene sono fantasmagoriche, alla Jules Verne; i costumi manieristi, ricchi e carnevaleschi; i colori intensissimi, come se tutto il film fosse un’ultracromatica cassata siciliana; le riprese sono spesso grandangolari e deformi, come deformi sono molti dei corpimente che inquadrano; le posture, gli sguardi, la sfrenatezza e la spontaneità  di Bella Baxter / Emma Stone confermano il talento dell’attrice.
Anche questo film – come i precedenti del regista – espone e analizza un solo fondamentale tema: le forme e i limiti dell’addomesticabilità dell’animale umano.
E tuttavia in Poor Things sembra che a essere addomesticati siano stati il talento e la radicalità di Yorgos Lanthimos. Rispetto alla solitudine come reato di The Lobster (2015), alle Erinni e all’Ifigenia di The Killing of a Sacred Deer (2017), all’implacabile giustizia storica e metafisica di The Favourite (2018) e soprattutto rispetto alla potenza eversiva e cupa di Dogtooth / Kynodontas (2009) la solitudine, le Erinni, la giustizia e l’eversione sono diventate categorie hollywoodiane e caratteri prevedibili. Il film ha un guizzo nelle parole di uno dei personaggi secondari, il quale afferma che «l’umanità è fottuta. La speranza peggiora le cose, il realismo è l’unico rimedio». E invece le povere cose che siamo si placano qui in un lieto fine che è anche una rinuncia alla solitudine, alle Erinni, alla giustizia, alla rivolta.

Il corpo nello spazio

Carlo Traini. Il corpo nello spazio
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXIX – numero 80 – marzo 2023
pagine 62-67

‘Fèrmati dunque, sei così bello!’ sembra dire Carlo Traini al corpo umano. Corpo non sempre bello, anzi a volte sgraziato, obeso, anziano. Più spesso, certo, è un corpo giovane, muscoloso, desiderabile, forte. In ogni caso il fotografo lo osserva a lungo e con cura e poi lo ferma nell’istante in cui il corpo parla senza bisogno di proferire parola. A esprimersi è infatti il dinamismo dei corpi, il loro muoversi rapido nello spazio, il loro capovolgersi in verticale scattanti o in attesa di un pallone che arriva dal cielo, nelle capriole dentro le onde del mare, scrutando l’orizzonte nella luce, persino in un abbraccio sulla sdraio che sembra disegnare un ibrido, un androgino dalla testa di maschio e dal flessuoso e attraente corpo di femmina.
Un gesto d’intelligenza del fotografo è aver tradotto tutto questo in un limpido bianco e nero che ha depurato i corpi dall’eccesso di luce dell’estate, mantenendo in questo modo l’εἶδος, la loro essenza.

«Il corpo è una grande ragione»

Venerdì 16 settembre nel Parco Archeologico di Giardini-Naxos dalle 16.30 si terrà un pomeriggio di riflessione sul tema della corporeità nell’ambito delle iniziative di «Naxoslegge». L’evento ha come titolo Scritto sul corpo.
La prima conversazione si svolgerà con Danilo Breschi sul tema del Corpo elettrico.
La seconda consisterà in una passeggiata archeo-filosofica condotta da me. Il titolo è «Corpo io sono in tutto e per tutto», un’affermazione che si legge nella I parte di Also sprach Zarathustra: «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem». Nella traduzione di Mazzino Montinari: «Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro». Nietzsche continua scrivendo che «il corpo è una grande ragione. […] Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto –che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo» («Opere», Adelphi, vol. VI/1, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”, p. 34).

L’essere umano è assai più che un Körperhaben, l’avere un corpo, e diventa un Leibsein, l’essere una corporeità situata in un ambiente anche culturale e sociale. Il corpo è  una struttura isotropa, dalla quale inizia e si espande l’intero mondo della persona.
-Il corpo è corporeità vivente nel tempo e abitante un mondo.
-Il corpo è il nodo ontologico nel quale si raccolgono il mondo, il tempo e l’intenzionalità dei significati.
-Il corpo è un insieme di strutture materiali e nello stesso tempo è una regione semantica.
Il corpo è quindi l’elemento percettivo, fenomenologico, precategoriale e primario da cui tutto nasce, del quale è intessuta ogni esperienza e nella cui dissoluzione finiscono per l’individuo il tempo, il bios e, con essi, ogni possibile significato.
Anche per questo l’umano è una macchina naturale che si articola in tre espressioni principali.
Siamo corpi comprendenti e quindi semantici
Siamo corpi intramati di desideri
Siamo corpi pulsanti nel tempo e di tempo intessuti.

Storia del corpo

Recensione a:
Maria Teresa Catena
Breve storia del corpo
Mimesis, 2020
Pagine 201
in Scienza & Filosofia
numero 27 / giugno 2022
Pagine 404-407

Complessa è la vicenda del corpo nella storia. Di essa Maria Teresa Catena formula una sintesi illuminante a partire dai concetti e dalle pratiche del corpo presente e del corpo assente. Due paradigmi che nel corso del tempo si susseguono, si intrecciano, si separano, si trasformano. Anche Platone, il troppo frainteso Platone, pur privilegiando in alcuni dialoghi e momenti la ψυχή non ha mail ritenuto il σῶμα un elemento di perdizione e anzi nel Timeo lo pone al centro dell’armonia individuale e cosmica. Il ‘dualismo’ platonico è in gran parte presunto ed è invece assai più reale il dualismo cartesiano e post-cartesiano che mostra ancor oggi tutta la sua forza ermeneutica e prassica nel corpo assente delle correnti e posizioni estropiane e transumanistiche che pervadono anche alcuni sviluppi dell’Intelligenza Artificiale e del variegato arcipelago delle tecnologie virtuali. Le quali sembrano volersi sbarazzare di insegnamenti diversi tra loro ma fondamentali quali il naturalismo darwiniano, la fedeltà nietzscheana ai corpi e alla terra, la fenomenologia della chair di Merleau-Ponty, tutte espressioni del corpo immanente che siamo, che l’animalità è. Perché la corporeità umana è la storia, il corpo è la vita.

I corpi delle donne

I corpi delle donne – Angelika Kollin
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVIII – numero 78 – aprile 2022
pagine 10-17

Abbracciati, in piedi, mentre allattano, nella foresta, insieme agli altri animali, teneri, vuoti, intrecciati, trasparenti, giovani e splendenti, anziani e dignitosi, desiderabili, limpidi.
I corpi delle madri, i corpi delle figlie, i corpi dei pargoli, i seni, le cosce, le teste, il viso. Il sorriso e la meditazione, gli sguardi perduti e gli sguardi inflessibili. I volti che abbracciano e i baci che dormono.
I corpi delle donne che Angelika Kollin fotografa, descrive e ricompone sono espressione della potenza demiurgica del mondo, della madre Terra, del cosmo che possiede strutture costanti e insieme flussiche; della materia -minerale, vegetale, animale- che è un continuo generarsi di forme autonome da qualunque mente, volontà, creazione, scopo.

Nello stesso numero sono stati pubblicati i contributi di tre miei allievi:
-Simona Lorenzano, Il filo e il fiume – Paolo Simonazzi
-Enrico Moncado, Scatole magiche – Walter Plotnick
-Enrico Palma, Appuntamenti tra generazioni – Diana Cheren Nygren

Heidegger / Mazzarella

Metafisica del Dasein in Eugenio Mazzarella e Martin Heidegger
con Enrico Moncado
in Vita pensata
n. 26, gennaio 2022
pagine 18-25

Indice
-Umanismo, antiumanismo, ultraumanismo
-La questione dell’Essere
-Spazio / οἶκος
-Metafisica e oblio
-La questione della tecnica
-Corporeità, dolore, Grazia

Il discorso heideggeriano -perché discorso e non sistema è una filosofia sempre aperta, asintotica, in cammino- ha un «carattere di cenno, di comunicazione di un appello», di una «povertà [che è] anche la sua ricchezza». A questo discorso Eugenio Mazzarella dedicò nel 1981 un libro che non solo «piccolo o grande che sia, ha avuto un suo destino negli studi heideggeriani» ma che a quarant’anni di distanza mostra una freschezza, una perennità, una fecondità che appaiono evidenti e che hanno molte ragioni. Con Enrico Moncado abbiamo cercato di indicare i modi e il significato del percorso di Mazzarella dentro e oltre il pensiero heideggeriano.
Quello di Heidegger è un cammino che si sostanzia di trasformazioni che nulla negano e invece sempre più confermano il suo inizio. In esso l’umano, usando il linguaggio della Gestalt, è sia ciò che emerge dallo sfondo dell’essere sia ciò che, come figura, dà risonanza all’essere. Oicologico, è il pensiero di Heidegger: non perché esso prospetti un’ecologia romantica che rinsaldi umano e natura, bensì nel senso che è interessato a una comprensione unitaria e insieme molteplice dell’ethos, cioè del soggiorno dell’umano nel mondo come mondo.
La prospettiva mazzarelliana è una οἶκολόγία che è il vero cuore della Seinsfrage e che fa dire al filosofo: «Ma è probabile che se non si dà questa follia, o, per seguire Nietzsche, non si ascolta il suo ‘folle’ prima che la lanterna s’infranga a terra, lo spegnersi di quel minuto menzognero nella storia stellare che è l’uomo sarà l’epigrafe, muta, della hybris di un ente che fu l’uomo»; «non è detto» infatti «che il funambolo non cada giù tra l’orrore ottuso del ‘mercato’», esattamente come sta avvenendo a quattro decenni di distanza da quando queste parole vennero per la prima volta pronunciate.

Vai alla barra degli strumenti