Skip to content


Fantasmi

A proposito di Davis
(Inside Llewyn Davis)
di Joel ed Ethan Coen
USA, Francia, 2013
Con: Oscar Isaac (Llewyn Davis), Carey Mulligan (Jean Berkey), John Goodman (Roland Turner), F. Murray Abraham (Bud Grossman)
Trailer del film

davisIn un fumoso sotterraneo di New York Llewyn Davis canta un brano dedicato a un impiccato. Subito dopo il proprietario del locale gli dice che fuori lo aspetta «un amico». Uscito, Llewyn viene picchiato da colui. Si risveglia a casa di conoscenti che lo ospitano. La casa è vuota. Prende le sue cose e se ne va. Ma il gatto dei proprietari esce con lui e Llewyn se lo deve portare appresso. La scena si ripete alla fine del film, quasi identica. Quasi perché stavolta il gatto viene fermato; dopo Llewyn a cantare è un allora sconosciuto Bob Dylan; l’uomo gli spiega perché lo ha picchiato. Tra queste due scene si dispiega la vita perdente di un ragazzo di talento ma velleitario e sopratutto senza energia, oltre che senza soldi.
Il Greenwich Village degli anni Sessanta, il mercato discografico, la noiosa musica folk che pervade l’intero film, sembrano in realtà dei pretesti, delle occasioni per parlare di morti. Morto è il cantante che faceva coppia con Llewyn e che si è buttato da un ponte; morto alla coscienza è il padre di Llewyn; morituro è il bambino che Jean non vuole da Llewyn; appassionato di funerali è l’impresario (disonesto) al quale questo cantante si affida; tossico sino allo stordimento è il singolare personaggio -un omone elegante, zoppo e arrogante- con il quale Llewyn percorre in auto l’itinerario da New York a Chicago.
Assolutamente provinciale è l’intero contesto -bohémiens o agiato, cantatore o colto, militare o fricchettone- nel quale accade la vicenda. E soprattutto cadaverici sono i colori e l’aria di questo singolare film che me ne ha ricordato uno completamente diverso eppure stranamente vicino: The Others di Alejandro Amenábar. Funerei entrambi.

 

Agorà

di Alejandro Amenábar
Spagna, 2009
Con: Rachel Weisz (Ipazia), Max Minghella (Davus), Oscar Isaac (Oreste), Ashraf Barhom (Ammonius), Michael Lonsdale (Teone), Rupert Evans (Sinesio), Sami Samir (Cirillo)
Trailer del film

Le statue degli dèi abbattute, le biblioteche saccheggiate, la comunità ebraica costretta a lasciare la città, la scuola -dove Ipazia, filosofa ed astronoma, insegnava a giovani pagani, cristiani, ebrei, neri, bianchi- chiusa e distrutta. Il vescovo Cirillo (poi santo e dottore della Chiesa) impone all’antica città cosmopolita una sola fede -quella dei vincitori- e costringe Alessandria, il luogo in cui la ricchezza delle differenze aveva sino ad allora trionfato, a precipitare nella miseria dell’identità. Dal pulpito, Cirillo scaglia accuse contro le donne che insegnano. Spinge così i gruppi cristiani più fanatici -i Parabolani- a massacrare Ipazia in un modo orribile. È il 415, è il crepuscolo del paganesimo.

Un film nel quale scienza e filosofia diventano il corpo di Ipazia, gli sguardi dei suoi allievi, il movimento delle sfere sulla sabbia a simulare i sistemi celesti, lo spazio della biblioteca amata e distrutta. I colori chiari degli abiti pagani si contrappongono a quelli scuri dei cristiani, a esprimere anche cromaticamente la diversa tolleranza di un mondo che tutti accoglieva rispetto a una fede esclusiva e ai suoi atroci effetti. Amenábar inventa la figura chiave dello schiavo Davus, devoto a Ipazia ma attratto dalla nuova fede, alla quale aderisce rinnegando la filosofia ma che poi abbandona disgustato dalla violenza dei suoi correligionari. Mentre, infatti, Ipazia si appassiona alle forme circolari dei moti celesti sino a intuire (ma su questo non ci sono documenti certi) l’ellissi come probabile soluzione delle incongruenze dell’ipotesi eliocentrica di Aristarco, i cristiani si sbranano a vicenda e azzannano tutti gli altri.
Il film inizia e si conclude con le immagini del pianeta nel cosmo infinito, quel luogo mentale e fisico al quale la filosofa neoplatonica dedicò la vita sino al martirio.

Ipazia di Alessandria

di Giusy Randazzo

[Dal blog di Giusy Randazzo -e con l’autorizzazione dell’Autrice- trascrivo qui una intensa, colta, appassionata lettura del film di Amenábar]

Ore 22.00, 28 aprile 2010

Questa sera ho visto un film. Non vado mai al cinema, ma questa sera sono andata. Un film che aspettavo da tempo, su Ipazia di Alessandria, Agorà, del cileno Alejandro Amenábar. Sono appena tornata. L’anno scorso ho concluso la mia ultima lezione in prima liceo parlando proprio di lei.

leggi di più
Vai alla barra degli strumenti