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Cancellare l’Università

Cancellare l’Università

Al collega Francesco Coniglione si devono molte approfondite analisi della politica universitaria italiana. L’editoriale pubblicato su Historia Magistra. Rivista di storia critica (numero 20-2016) rappresenta un’eccellente sintesi di quanto sta accadendo all’Università italiana e dunque al presente più avanzato e al futuro del nostro popolo.
Ne riporto qui alcuni brani, invitando a leggere l’intero articolo su Roars: Primavera o autunno dell’Università italiana?

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Nel mondo universitario e della ricerca scientifica sono in corso – ormai da più di un decennio – mutamenti strutturali che mirano a cambiarne nello spazio di qualche anno la fisionomia, in direzione di un nuovo assetto strutturale i cui lineamenti sono ancora tutti da decifrare. L’università è alle prese con vincoli sempre più oppressivi che ne dirottano tempi ed energie da un lato verso un sempre maggiore ingabbiamento della ricerca e della didattica in adempimenti amministrativi e burocratici che assai difficilmente ne miglioreranno la qualità, dall’altro verso una conflittualità con l’Agenzia di Valutazione (ANVUR) e il Ministero, che ha avuto nella campagna Stop-VQR – innescata dalla protesta per il mancato recupero del blocco degli scatti stipendiali – una sua plastica raffigurazione.
[…]
Eppure non mancano gli elementi che possono essere interpretati come una inquietante spia del futuro prossimo venturo. Non ci riferiamo tanto alle dichiarazioni di qualche anno fa del premier italiano, in cui si sosteneva che per l’Italia sarebbero bastati per la ricerca 5-6 hub “di eccellenza”, quanto a più recenti fatti e opinioni espressi da autorevoli personaggi, che indicano un futuro che si inserisce in piena continuità sulla strada dell’iniziativa promossa circa 10 anni fa dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti con la creazione dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova. Questo istituto, infatti, è un ente di ricerca di diritto privato, ma finanziato pubblicamente con 100 milioni di euro l’anno.
[…]
Il quadro sembra chiaro: il problema non è quello del finanziamento della ricerca e della mancata volontà ad investire. Il fatto è che questi investimenti non devono transitare dall’università, la quale – dopo decenni di campagne di stampa volte a demonizzarla per il suo (accertato) nepotismo e le sue (verificate) inefficienze – sembra essere scomparsa dall’orizzonte degli interessi dell’opinione pubblica e della classe dirigente. Ormai ritenuta un corpo morto, nella quale immettere denaro equivale a buttarlo nel forno – come si sente continuamente ripetere – essa viene abbandonata a un destino di progressivo decadimento, di centro di istruzione di serie inferiore, in cui non si fa più ricerca, ma semmai si prepara alle professioni. E a nulla valgono le argomentazioni e le prove del fatto che l’università italiana regge benissimo la concorrenza della qualità con le università di altre nazioni e che forma ricercatori in grado di competere al meglio in campo internazionale (come è stato ad abundantiam documentato nel sito ROARS).
[…]
Insomma, non solo una polarizzazione della ricerca in pochi centri identificati non si sa in base a quali criteri e insigniti della medaglia dell’“eccellenza” – con l’emarginazione delle università – ma anche l’idea di trasformare queste ultime in enti di diritto privato, con l’inevitabile conseguenza di un maggiore centralismo nella loro gestione, di una maggiore discrezionalità nella gestione di fondi e personale e quindi della fine di quella “democrazia” universitaria che sinora ne ha caratterizzato la storia. E la conseguenza che sarebbe l’ovvio corollario di queste premesse potrebbe includere la soppressione della cosiddetta “tenure”, cioè il posto fisso per i docenti universitari, a favore di contratti a tempo determinato di volta in volta rinnovabili: la fine della sicurezza del posto in favore del “libero mercato” verrebbe così a far cadere il presupposto indispensabile del libero pensiero e della autonomia, con ricercatori sempre ricattabili e quindi del tutto proni ai vertici accademici e ai loro datori di lavoro. Viene così a maturazione il disegno già prefigurato nella legge Gelmini, che oggi viene con coerenza perseguito dall’attuale governo (e qui l’etichetta di sinistra, centro-sinistra o destra, è irrilevante). È il sogno di sempre del capitalismo italiano, nel quale si è dimostrato storicamente più versato: gestire privatamente i soldi pubblici e disporre liberamente della propria forza-lavoro, grazie a una sua sempre più accentuata precarizzazione.
L’università è stata sinora un centro di residua resistenza democratica alle sempre più accentuate volontà autoritarie che, nel nome dell’efficienza, si implementano sul piano istituzionale e nel mondo del lavoro; essa non è stata ancora pienamente colonizzata dalla politica, in quanto il tanto vituperato “potere baronale” ha cercato di difendere la propria autonomia e si è mosso con logiche trasversali rispetto a quelle dell’appartenenza partitica. Con le prospettive che per essa si vanno disegnando, l’università – così come è avvenuto per le strutture sanitarie – diventerà quel luogo di vassalli e valvassori, assoggettati al potere politico, paventato dalla senatrice Cattaneo. E gli atenei non saranno più il luogo in cui si farà ricerca “curiosity driven”, per amore della cultura, portando avanti il lavoro fondamentale senza il quale non sarebbe possibile alcuna ricaduta applicativa e imprenditoriale. E non parliamo dell’evidente destino cui sono destinate tutte le discipline di carattere umanistico, ritenute “inutili” e incapaci di “stare sul mercato”.
In queste condizioni, l’università non va incontro a quella “primavera” lanciata flebilmente dalla CRUI in risposta alla protesta contro la VQR, ma a un lento autunno. Verrà, dopo, l’inverno di una cultura asservita ai due padroni che oggi si spartiscono la ricchezza: il “mercato” che succhia il denaro dalle tasche dei cittadini, la politica che saccheggia indisturbata la ricchezza sociale e che non vede l’ora di mettere le mani sull’università senza i “lacciuoli” del diritto amministrativo.

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L’analisi di Coniglione è pienamente confermata dalla recente dichiarazione del  ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda, il quale ha annunciato che il governo finanzierà solo 4 o 5 università d’eccellenza e che non rispetterà più il criterio geografico: «Noi non ci possiamo permettere di dire che finanziamo tutti con bandi aperti, qualunque università, qualunque cosa faccia eccetera… dobbiamo scegliere 4 o 5 università di eccellenza sul tema della manifattura innovativa, dargli i soldi, costruire un meccanismo per il quale queste 4-5 università e solo queste 4-5 università costruiscono competence center dove le aziende possono lavorare insieme, e chi vuole entrare in questo gruppo, beh, scali i ranking e ci entra dentro, ma non è che riceve denaro semplicemente per la distribuzione geografica degli atenei».
L’intenzione è quindi cancellare l’università, in particolare in quelle zone -come il meridione d’Italia- che più hanno bisogno di una istituzione scientifica e didattica che dia possibilità di formazione e di crescita. È il trionfo dell’ignoranza e dell’ingiustizia.

19 commenti

  • agbiuso

    Giugno 14, 2022

    Molti anglicismi contemporanei sono, si sa, l’analogo del latinorum di Don Abbondio. Hanno lo scopo di indorare la pillola, di non far capire, sostanzialmente di ingannare.
    Ed ecco che sul sito del COF dell’Ateneo di Catania e di quello del mio Dipartimento leggo di un evento che si chiama «Randstad Recruiting Day Area Umanistica», volto a reclutare (appunto) «nuovi e brillanti Account Manager».
    Nella pagina di presentazione si legge «Per aderire e prendere parte al Recruiting Day è richiesta la compilazione del seguente link» e non «la compilazione del modulo che si trova al seguente link». Ma vabbè, c’è di peggio in Rete (solo che questo è il sito del Disum).

    Ma se si apre il modulo da compilare da parte degli studenti si trova una stupefacente domanda, o meglio: sorprendenti sono le risposte:
    «Quale corso di laurea stai seguendo?
    *
    Lingue

    Scienze Politiche e Sociali

    Scienze Umanistiche

    Scienze della Formazione

    Altro»

    Questi ‘reclutatori’ non sanno distinguere un Corso di laurea da un Dipartimento.
    Ed è a tali soggetti che Unict offre i propri spazi e i propri studenti.
    Siamo proprio caduti, come si dice in Sicilia, ‘in bascia fortuna’.

  • agbiuso

    Giugno 13, 2022

    Segnalo un interessante articolo di Danilo Zuolo dal titolo:
    “Bullshit jobs” in università: un’autodenuncia
    (Valigia Blu, 10.6.2022)

    Quanto vi si legge corrisponde a quanto accade nella vita quotidiana dei Dipartimenti, con la pletora di carte su carte che bisogna compilare. Carte dagli acronimi bizzarri e rivelatori (SUA, ad esempio).
    E poi:
    «Tutto questo va chiaramente a discapito di didattica, ricerca e rapporti con gli studenti in senso sostanziale, poiché si deve registrare nei documenti ciò che dovrebbe succedere nella vita reale. Non c’è bisogno di sottolineare che se si devono registrare tutte le cose che si devono fare c’è meno tempo per farle davvero».
    «Ma tenere traccia di tutto questo richiederebbe personale dedicato (cioè amministrativi specializzati a farlo). Il che ovviamente sarebbe un costo significativo. Invece, molto ricade su (alcuni) docenti che svolgono anche ruoli gestionali»
    «Nata (forse) come un’esigenza di gestione efficiente, questa struttura porta a maggiori costi e a dispendio di tempo e risorse di personale (i docenti e ricercatori) che dovrebbero fare altro».

    Data la struttura ultragerarchica degli Atenei, è significativo un piccolo dato numerico: dei 14 Corsi di laurea del mio Dipartimento soltanto 4 hanno come presidenti dei professori ordinari. Mentre in passato si trattava di un incarico più o meno prestigioso, la funzione è diventata ora soprattutto onerosa e costringe i presidenti a un carico burocratico davvero pesante.

    Insomma, se i professori avessero voglia di studiare, scrivere, fare ricerca, bisogna scoraggiarli in tutti i modi. Al di là dei classici riferimenti a Kafka e a Weber, c’è del metodo in queste follie (come sempre).

  • agbiuso

    Novembre 26, 2021

    Colpo dopo colpo, ministro (pessimo) dopo ministro (pessimo), riforma dopo riforma, si sta cercando di svuotare l’Università di ogni sapere, di ogni conoscenza, in un parossismo metodologico che sta producendo ignoranza su ignoranza.
    Qui
    un documento del Consiglio Universitario Nazionale (CUN)
    che esprime le sue riserve su quanto si sta decidendo senza alcun dibattito dentro e fuori Università e Scuole.

    Aggiungo una breve riflessione tratta da una lista di docenti universitari.
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    1) Il quando del percorso abilitante influenza moltissimo anche il come; un tirocinio abilitante post-laurea non può essere uguale ad uno (come immaginato dal ministro) interno alla laurea. Davvero si rischiano di azzerare i contenuti in favore di un pedagogismo che rischia di rimanere vuoto, senza le competenze necessarie (i 300 cfu base del quinquennio diventano di fatto 240, con 36+24 di tirocinio per l’abilitante).

    2) E’ un modello darwinista, l’ennesimo; i SSD forti (e non per ragioni scientifiche, sia chiaro) vivono, agli altri le briciole; in cattedra con poche idee e male organizzate?

    3) Tristissimo che questa partita rischi di decidersi con la tagliola delle Legge di Bilancio, dove verrà messa all’approvazione con tanto di fiducia e senza dibattito alcuno

    4) Ma davvero i SSD – tantissimi, in fondo quasi tutti meno l’area pedagogica – che ne fanno le spese si faranno fare questo cappotto?

    5) Tutto questo non è “lontano” dall’Università, tutt’altro. Questa riforma, ove passasse, in qualsiasi forma, avrebbe refluenze enormi sul nostro lavoro, presente e futuro; e su quello del paese.
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  • agbiuso

    Novembre 2, 2021

    La rivista Internazionale ha (ri)pubblicato un articolo di Terry Eagleton dal titolo un po’ radicale La fine dell’università. Era stato pubblicato nel 2015 ma mi sembra non aver perso niente in ‘attualità’.
    Con tipico humour britannico il professore descrive il presente delle Università. Alcuni brani possono suonare singolarmente familiari anche agli Atenei del Mediterraneo.

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    «Invece dell’autogoverno degli accademici c’è il dominio della gerarchia, molta burocrazia bizantina, professori associati che sono quasi bestie da soma e vicerettori che si comportano come se gestissero la General Motors. I professori titolari ora sono alti dirigenti e l’aria è densa di discorsi sull’auditing e la contabilità. La considerazione per i libri – questi oggetti primitivi e uggiosamente pretecnologici – è sempre più bassa.

    Amministratori filistei tappezzano il campus di loghi insensati ed emanano i loro editti in una prosa barbarica e semianalfabeta.

    I dipartimenti umanistici ormai sono costretti a finanziarsi soprattutto con le rette degli studenti, e questo significa che le istituzioni più piccole, obbligate a contare quasi esclusivamente su questa fonte di reddito, di fatto sono state privatizzate. L’università privata, a cui il Regno Unito si è giustamente opposto per molto tempo, sta procedendo in silenzio ma a grandi passi.

    Per giunta, da qualche tempo nelle università britanniche insegnare è una questione meno vitale della ricerca. È la ricerca a portare soldi, non i corsi sull’espressionismo o la riforma protestante. Lo stato periodicamente svolge un’approfondita ispezione di ogni università del paese, misurando meticolosamente quanta ricerca produce. È su questa base che vengono concessi i fondi. Sono quindi diminuiti gli incentivi per l’insegnamento, e gli accademici hanno tutte le ragioni per dedicarsi alla produzione fine a se stessa sfornando articoli del tutto inutili, fondando superflue riviste online, richiedendo borse di studio esterne anche se non sono necessarie, e passando piacevolmente il tempo ad allungare i loro curriculum.
    In ogni caso l’enorme aumento della burocrazia nell’istruzione superiore britannica, dovuto alla fiorente diffusione dell’ideologia manageriale e alle implacabili richieste della valutazione statale, fa sì che gli accademici abbiano ben poco tempo per preparare le loro lezioni anche quando sembra che ne valga la pena.

    Così come i professori universitari vengono trasformati in manager, gli studenti diventano consumatori. Le università si azzuffano in un parapiglia indegno per assicurarsi le entrate garantite da quelle rette. E una volta che i clienti sono al sicuro all’interno dei cancelli, ci sono pressioni sui professori perché non li boccino, cosa che metterebbe a repentaglio le rette. L’idea generale è che se lo studente non passa gli esami la colpa è del professore, un po’ come un ospedale in cui ogni morte viene imputata al personale medico. Un risultato di questa corsa accanita al portafoglio degli studenti è l’aumento dei corsi fatti per andare incontro a qualunque cosa sia di moda tra i ventenni. Nella mia disciplina, la letteratura inglese, questo significa i vampiri invece dei vittoriani, la sessualità invece di Shelley, le fanzine invece di Foucault, il mondo contemporaneo invece di quello medioevale. È così che forze politiche ed economiche riescono a decidere i programmi di studio.

    L’istruzione dovrebbe essere sensibile ai bisogni della società. Ma questo non vuol dire considerarla una stazione di servizio per il neocapitalismo. Di fatto, i bisogni della società si affronterebbero molto meglio se si sfidasse questo modello alienato di apprendimento. Le università medioevali servivano magnificamente la società, però lo facevano producendo pastori, avvocati, teologi e funzionari amministrativi che contribuivano a sostenere la chiesa e lo stato, e che non disprezzavano qualunque forma di attività intellettuale che non riusciva a far soldi in fretta.

    Secondo lo stato britannico, tutta la ricerca accademica finanziata con fondi pubblici deve considerarsi parte della cosiddetta economia della conoscenza, con un impatto quantificabile sulla società. Tale impatto è un po’ più facile da misurare per gli ingegneri aeronautici che per gli studiosi di storia antica, per i farmacisti più che per i fenomenologi. I soggetti che non riescono a far arrivare ricche borse di ricerca dall’industria privata o che non arruolano molti studenti sprofondano in uno stato di crisi permanente. Il merito accademico è equiparato al denaro che raccogli, mentre uno studente istruito viene ridefinito come una persona occupabile.

    In generale, l’idea è che le università devono giustificare la loro esistenza diventando ancelle dell’imprenditoria.

    Cercherebbe anche di ristabilire la fama dell’università come uno dei pochi settori della società moderna (insieme alle arti) in cui le ideologie dominanti possono essere sottoposte a un esame rigoroso. E se il valore delle scienze umanistiche non stesse nel modo in cui si conformano alle idee dominanti, ma proprio nel modo in cui non si conformano?

    Così fino a quando non emergerà un sistema migliore, personalmente ho deciso di unire il mio destino a quello dei biechi fornitori di profitti. Con una certa vergogna, ho ormai preso l’abitudine di chiedere agli studenti, all’inizio di una sessione, se possono permettersi le mie osservazioni più sottili sulle opere letterarie o se vogliono accontentarsi di qualche commento utile, ma meno scintillante.

    Farsi pagare in base alle osservazioni è una faccenda antipatica, e forse non è il modo più efficace per instaurare relazioni amichevoli con i propri studenti, ma appare una logica conseguenza dell’attuale clima accademico. A chi lamenta che ciò può creare odiose distinzioni fra gli studenti, vorrei far notare che chi non è in grado di allungare dei contanti per le mie analisi più penetranti è libero di praticare il baratto. Torte appena sfornate, barilotti di birra fermentata in casa, maglioni artigianali e robuste scarpe fatte a mano: tutte queste cose sono perfettamente accettabili. Dopo tutto, nella vita non ci sono solo i soldi.

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    Il testo integrale si trova qui:
    https://www.internazionale.it/notizie/terry-eagleton/2021/10/29/fine-universita

  • agbiuso

    Luglio 31, 2020

    Segnalo un importante articolo di Attilio Scuderi, dedicato al commercio che le Università telematiche fanno dei crediti universitari necessari per accedere ai posti di docenti delle scuole.
    Il convergere del controllo dei didatticisti/pedagogisti ministeriali sui piani di studio universitari e degli interessi economici delle finte università telematiche produce la vergogna che Scuderi lucidamente descrive.
    Tutto questo significa che la conoscenza, l’impegno, il pensare, la ricerca scientifica e la correttezza civile non contano nulla. Una società che arriva a questo è agonizzante.
    Un affare italiano. Ventiquattro crediti per il Paradiso
    le parole e le cose, 30.7.2020

  • agbiuso

    Luglio 30, 2020

    Roars pubblica una breve e concretissima analisi delle “classifiche” universitarie, dal titolo
    Lo “sbaglio” delle classifiche degli Atenei: l’occupabilità non dipende dagli atenei ma dal contesto nel quale essi operano.
    Chi se lo sarebbe mai aspettato? :-))

    L’articolo di Giuliano Lancetti rileva che “la classifica Censis si basa sull’offerta di servizi: borse di studio, strutture, servizi digitali, internazionalizzazione. Mette sullo stesso piano le strutture disponibili, e, in sostanza, ‘come è fatto il sito web’. Cose la cui ‘importanza’, a mio avviso, ha … diversi ordini di grandezza di differenza! Nulla inoltre (non sarebbe questa una cosa da dover conoscere?) riferisce sulla qualità dei professori. Sulla preparazione degli studenti. Dà grande importanza, invece, all’occupabilità: cioè alla percentuale di laureati che ad un anno dalla laurea ha trovato occupazione. L’occupabilità è nota a chi si interessa di fondi universitari: nelle assegnazioni agli atenei si usa da anni, e per come viene utilizzata si è trasformata in una sorta di regionalismo differenziato in ambito universitario”.

  • agbiuso

    Giugno 20, 2020

    L’articolo di Roars (15.6.2020) –Colao ha copia-incollato la riflessione sull’università. Errori compresi– viene presentato con il testo che copio qui sotto.
    Aggiungo soltanto qualche breve riflessione:
    -questo è il livello del management al quale l’Italia affida anche scuola e università, vale a dire la condizione stessa del proprio presente e futuro;
    -questo è il livello scientifico, politico, amministrativo del Governo Conte, che ha preso in questi mesi decisioni gravissime e autoritarie;
    -questo è il livello dell’Anvur, guidata anch’essa da plagiatori e cialtroni, e tuttavia basta enunciare il suono ‘Anvur’ per vedere tremare le Università, compresa Unict;
    -questo è il livello dell’obbedienza collettiva e istituzionale in un regime tutto sommato democratico; dovremmo rifletterci ed essere più prudenti quando condanniamo senza appello le collettività e le istituzioni che nel Novecento hanno obbedito a tutte le decisioni dei loro governi e quelle che continuano a farlo nel XXI secolo.

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    Lo “Spunto di riflessione – Una differenziazione smart per il sistema universitario” contenuto nel Rapporto redatto dal Comitato di esperti in materia economica e sociale, presieduto dal top manager Vittorio Colao, è stato copiato e incollato da un libro del 2017 uscito per i tipi de Il Mulino e intitolato Salvare l’università italiana. Gli autori di quel volume sono Giliberto Capano, Matteo Turri e Marino Regini, quest’ultimo parte della task-force capitanata da Colao. Evidentemente per rilanciare l’università dopo l’emergenza COVID, non c’era niente di meglio da fare che rispolverare una ricetta di qualche anno fa. I tre dati in croce riportati nel rapporto Colao, oltre che essere copiati e incollati dal libro di Capano, Regini e Turri, sono pure sbagliati. Abbiamo scoperto la genesi dell’errore: i tre autori del libro avevano a loro volta ripreso i dati sbagliati da un post degli economisti di LaVoce.info, senza curarsi di verificare cosa c’era veramente scritto nel rapporto VQR. Non solo una supercazzola, ma pure di terza mano, insomma. Se il rilancio dell’Italia è affidato a questi esperti, che possiamo dire?

    Andrà tutto bene!

  • agbiuso

    Giugno 12, 2020

    Mi sembra un’ottima sintesi del modo di agire e pensare del II Governo Conte (Mascetti), sull’Università ma non solo: molta fuffa di contorno e la ferocia liberista di sostanza.
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    Per qualche ragione misteriosa chi in Italia si sente titolato a prescrivere ricette sulle riforme dell’Università è solito imbastire discorsi corredati di numeri e citazioni che impressionano il lettore distratto o sprovveduto, ma che, una volta dissezionati, rivaleggiano con la famosa supercazzola prematurata. L’ultimo episodio di una lunga serie è lo “Spunto di riflessione” riportato nel Rapporto redatto dal Comitato di esperti in materia economica e sociale, presieduto dal top manager Vittorio Colao. Si intitola “Una differenziazione smart per il sistema universitario” che, tradotto in parole povere, significa “Università di serie a e serie B”. Perché bisogna differenziarsi? Ce lo chiede la VQR: nell’Area economica c’è solo un misero 6% di ricercatori eccellenti che, per di più, sono dispersi in tutta Italia. ”Un’analoga frammentazione della migliore ricerca è stata rilevata nelle Vqr successive ed è propria di quasi tutte le aree scientifiche” ci garantisce la task force. Abbiamo controllato e abbiamo scoperto che era solo una “Tarapìa tapiòco”. Nelle altre aree ci sono percentuali di eccellenti fino a 5 volte maggiori e in molti atenei più del 50% dei ricercatori sono “eccellenti”, qualsiasi cosa possa voler dire. Come non bastasse, il vero dato dell’area economica era 9% e non 6%. Per quanto riguarda l’Università, il rapporto della task force di Colao assomiglia un po’ troppo a quei rapporti che ti rifilano a caro prezzo alcune quotate società di consulenza: storielle per gli ingenui, confezionate per puntellare scelte decise a priori (la differenziazione tra università di serie A e serie B, tanto per cambiare). In tutto ciò, che ruolo hanno i numeri? Beh, fungono da guarnizione. Come la panna montata spray.

    Qui il testo integrale di Giuseppe De Nicolao: Colao e la supercazzola della VQR

  • agbiuso

    Giugno 12, 2020

    Un dialogo con il collega Giuseppe Grasso, del Dipartimento di Scienze chimiche di Unict:
    Studenti al bar ma non nelle aule

  • agbiuso

    Giugno 10, 2020

    «Si ricorda che con il DL, nella versione attuale, si stanziano 55 miliardi, di cui 22 “ispirati” da Confindustria e 3 per salvare ancora una volta Alitalia. Inoltre lo Stato garantirà il prestito di 6,3 miliardi richiesto dalla FCA.
    Invece per l’intero comparto dell’Università e della Ricerca sono stati stanziati soltanto 1,4 miliardi; una miseria, dopo decenni di definanziamenti e di devastanti controriforme per abolire l’idea stessa di una Università statale autonoma e libera, democratica e aperta a tutti».
    UNIVERSITA’: RIFONDARLA PER RILANCIARLA – PIANO COLAO
    ANDU • 9 giugno 2020

    La forza dei numeri parla da sola.
    Il II governo Conte, come i precedenti e probabilmente i successivi, ha dichiarato guerra all’Università e alla scuola; uniche strutture che pur con i loro limiti sono ancora in grado di elaborare un minimo di pensiero critico sul mondo. Il resto è televisione, social network, stampa al servizio delle aziende che ne possiedono la proprietà.
    Una guerra che vede molti collaborazionisti all’interno delle istituzioni educative. E solo per questo sarà persa da noi. Basti pensare alla miopia, quando non all’entusiasmo, con i quali si sta subendo la smaterializzazione dell’insegnamento. Su questo tema, naturalmente fondamentale, segnalo tra i tanti possibili due interventi:

    Docenti senza corpo, di Anna Angelucci

    Dalla Germania una difesa della didattica in presenza.
    Zur Verteidigung der Präsenzlehre. Una lettera aperta delle Università tedesche
    (il testo integrale e una mia parziale traduzione).

  • agbiuso

    Marzo 5, 2017

    Il collega Attilio Scuderi ha inviato alla ml dei docenti di Unict una ironica riflessione sull’operato della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane).
    La riporto qui, insieme alla mia risposta.

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    Care e cari,
    come di certo sapete la CRUI si è trasformata in fondazione di atenei (da Club di rettori, quale è stata per anni).
    Organizza attività formative proprio attraverso la sua fondazione, che ha ricevuto un forte finanziamento iniziale.
    Come recita orgogliosamente il suo sito (in basso il link relativo): “Nati nel 2001 come braccio operativo della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, abbiamo raccolto nello stesso anno la nostra prima grande sfida: CampusOne, il più ambizioso progetto di sperimentazione della riforma universitaria, sostenuto da un finanziamento governativo di oltre 100 milioni di euro, che ha coinvolto 70 Atenei, 500 corsi di laurea, 9.000 docenti e 50.000 studenti nell’intento di innovare l’Università italiana. Da allora le sfide si sono susseguite numerose aprendosi a nuovi ambiti e nuovi attori, per la realizzazione di progetti fondati sul patrimonio di conoscenze e competenze del sistema universitario, ma rivolti anche ai decisori esterni. Abbiamo così sviluppato un’identità dinamica e flessibile che ci rende oggi un robusto ponte tra l’Università e il Paese.”

    http://www.fondazionecrui.it/Pagine/Profilo/default.aspx

    Penso di potere parlare a nome di tante e tanti dicendo che siamo davvero orgogliosi di questo “robusto ponte tra l’Università e il paese”. I suoi risultati sono sotto gli occhi, stupiti, di tutti noi. Il grande successo di CampusOne – a tutte e tutti di certo noto, e su cui non mi dilungo – hanno prodotto un sistema universitario coeso, innovativo, rispettato nel paese e dalla politica…
    Vi confesso che la notte – nella mia seconda età ormai ben avanzata – riesco a prendere sonno solo grazie al pensiero di questa fondazione che ci protegge… Con la sua identità dinamica, ma soprattutto flessibile, anzi genuflessibile dinanzi ai “decisori esterni” (si noti l’alata eleganza della perifrasi), ovvero dinanzi a ministri, Anvur, e compagnia varia… E come non ammirare anche il forte senso del limite – non sfiorato da una potente ironia involontaria – che il sito e i suoi testi emanano a pieni polmoni…?

    Tra le “nuove sfide” – che si susseguono in un vero orgasmo di impegno politico-culturale – c’è anche quella della formazione nei confronti dei nuovi sistemi AVA di accreditamento. Un’operazione di vero sacrificio, compiuta in modo che definirei sostanzialmente gratuito e volontario. Guardate questo “seminario”, al quale spero che nessuno di voi voglia mancare o sia mancato:

    http://www.fondazionecrui.it/seminari/Pagine/Nuovi-requisiti-e-procedure-per-l'accreditamento-iniziale-e-peridico-delle-sedi-e-dei-corsi-di-studio.aspx

    Appena 650€ (più iva, birichini, l’Iva si paga…) a partecipante ( e siamo alla seconda replica!!!) per farsi indottrinare sulle “nuove procedure” di ghigliottinamento (ops, scusate, accreditamento) delle università – in particolare meridionali.
    Permettetemi un breve calcolo per difetto. Diciamo che una cinquantina di colleghe e colleghi aderiscano o abbiano aderito. Circa 35.00 euro per dodici/quattordici ore di docenza di fatto. Ma lo capite colleghi! La soluzione è questa! Facciamo tutte e tutti domanda per diventare “docenti Crui”! Istituiamo le “cattedre Crui” per il sostegno dell’università, per dottorandi, precari e docenti vessati dai blocchi stipendiali. Ma come, mi direte, la Crui dovrebbe compiere queste attività gratuitamente, perché noi (tutti gli atenei) “paghiamo” la Crui e le sue attività con cospicui finanziamenti annuali (decine di migliaia di euro). Siete indietro, se dite così siete indietro, siete antiche e antichi, amiche e amici. Ed è un maligno detrattore chi ritiene che più il sistema si incasina (complice l’ANVUR) e più la CRUI ci guadagna. Come è maligno pensare che gli atenei italiani abbiano speso migliaia di euro in questi anni in viaggi (di docenti e/o delegati) alla fondazione Crui per questi seminari (o altre attività) spesso inefficaci.
    Dobbiamo combattere tali malignità, colleghe e colleghi!

    Infine, un dettaglio. Leggiamo da questo articolo che il procedimento per arrivare all’approvazione del Dpcm sulle cattedre Natta (che aveva avuto osservazioni critiche dal Consiglio di stato) starebbe per ripartire con la benedizione del ministro…

    https://ilfoglietto.it/il-foglietto/5202-cattedre-natta-il-miur-ci-riprova.html?utm_source=newsletter_202&utm_medium=email&utm_campaign=il-foglietto-della-ricerca-n-8-del-2-marzo-2017-anno-xiv

    Non chiedete alla Crui, please, di occuparsi anche di questo. Ci sono i seminari da organizzare (con quei pochi euro a disposizione)!

    E che cavolo!

    abbracci

    a.

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    Caro Attilio,
    alla tua perfetta cronaca dell’assurdo aggiungo soltanto due elementi.

    I nomi.
    Il ‘Comitato Scientifico’ che gestisce la «formazione nei confronti dei nuovi sistemi AVA» è composto dai seguenti membri:
    Dott.ssa Emanuela Stefani
    Prof. Massimo Tronci
    Prof. Vincenzo Zara
    Non so nulla di costoro ma è bene che si sappia che esistono.

    Le ragioni.
    La CRUI è un’associazione privata composta da poche persone. Essa dà man forte al potere politico di turno ma a dare man forte alla CRUI sono i docenti. Sono coloro che alla fine ‘conferiscono i loro prodotti’ (e si meritano tale linguaggio), sono coloro che mugugnano ma obbediscono, sono coloro che fingono di credere -o ci credono davvero, e sono i casi disperati- nella efficacia e nella salute mentale dell’AVA, della VQR e della miriade di altri acronimi che nascondono la demolizione dell’Università e la sottomissione del sapere. A dare man forte ai ‘decisori esterni’ siamo noi, i docenti italiani.
    La Boétie lo spiega con chiarezza. La «servitù volontaria» si fonda anzitutto sull’abitudine, la quale se «in ogni campo esercita un enorme potere su di noi, non ha in nessun altro campo una forza così grande come nell’insegnarci la servitù» (Discorso sulla servitù volontaria, Chiarelettere, 2001, p. 22); l’abitudine è a sua volta in gran parte fondata sull’educazione, che per La Boétie è in realtà «la prima ragione per cui gli uomini servono volontariamente» (p. 32), educazione alla sudditanza che viene praticata sin dalla nascita (biologica e accademica). A tali elementi psicologici, familiari e ambientali si aggiungono quelli sociali, che consistono nelle strategie stesse del potere, prima delle quali è la distrazione, i ludi, i circenses, l’«aprire bordelli, taverne e sale da gioco» (p. 35). I circenses accademici non sono meno attraenti di quelli popolari. E ciascuno crede di poterne trarre vantaggio, ad esempio mostrando il proprio ‘1’ eretto, rispetto a un floscio ‘0,4’. E così via.

    Per quanto riguarda le cattedre renzi-natta e la ministra Fedeli, si può soltanto sperare che il triste governo Gentiloni cada quanto prima possibile. Costoro, infatti, sono degli automi e una volta caricati andranno avanti per inerzia, con le cattedre e con tutto il resto. E con la CRUI a fornire le batterie.

    Un caro saluto,
    Alberto

  • agbiuso

    Dicembre 23, 2016

    Roars ha smascherato facilmente l’ennesimo imbroglio dell’Anvur, un’agenzia che si conferma del tutto priva di intelligenza metodologica e soprattutto di etica della ricerca.
    Copio qui il sommario di due articoli, invitando a leggere per intero i testi.

    ==============
    VQR
    Il mistero della VQR fantasma. Ovvero: se i risultati ci sono cacciateli fuori
    Di Redazione ROARS 21 dicembre 2016

    Il presidente dell’ANVUR Andrea Graziosi ha fornito ad alcuni giornalisti, senza contraddittorio e domande scomode, la chiave di lettura dei risultati della VQR 2011-2014. Secondo ANVUR l’Italia starebbe convergendo verso una standard di qualità della ricerca più elevato, e le università del Sud starebbero avvicinandosi a quelle del resto del paese. Tutto questo grazie all’adozione della VQR. Graziosi ha cioè fornito una giustificazione delle costosissime attività dell’ANVUR e dei lauti stipendi del direttivo. Senza fornire al contempo nessun dato, se non una decine di slide. Si dice che i risultati della VQR saranno pubblicati addirittura intorno al 20 febbraio. La Ministra si accinge perciò ad usare una VQR-fantasma per la distribuzione del FFO premiale. Qualcuno al MIUR e alla CRUI i dati però deve averli visti e deve aver simulato le distribuzioni. Infatti nella bozza di DM di ripartizione sono introdotte modifiche agli indicatori ANVUR. E soprattutto, su richiesta CRUI, una compensazione per gli atenei maggiormente penalizzati dall’adesione alla protesta #stopvqr che dunque, adesso è certificato dal MIUR, ha colpito nel segno. L’Italia si candida così a divenire il primo paese al mondo a distribuire le risorse alle università sulla base di una valutazione che ancora non c’è. Per evitare al MIUR questo ridicolo primato, i dati VQR, se ci sono, dovrebbero essere immediatamente resi pubblici. (Testimoni oculari dicono di aver visto Peppe e Gedeone discutere animatamente delle slide del presidente dell’ANVUR. Stay tuned).

    Una lezioncina di aritmetica per il Consiglio direttivo dell’Anvur
    Di Giuseppe De Nicolao 23 dicembre 2016

    Con l’ultimo comunicato stampa dell’ANVUR, anche la valutazione della ricerca entra a pieno diritto nell’era della post-verità. I risultati della VQR non escono dal cassetto, ma in compenso il Presidente Graziosi ci informa che «L’università italiana si è messa in moto convergendo verso uno standard comune e più elevato della qualità della ricerca. In media, gli atenei che avevano un livello della qualità della ricerca relativamente basso si sono rimboccati le maniche e, se non hanno scalato posizioni, almeno hanno ridotto lo svantaggio». La prova della convergenza? Se si considera l’indicatore che confronta qualità e dimensione, la distanza tra i primi e gli ultimi atenei si sarebbe accorciata. A Peppe, però, basta qualche semplice calcolo aritmetico per mostrare a Gedeone che la convergenza sbandierata dall’ANVUR è solo un’illusione ottica. Infatti, come effetto collaterale della nuova scala dei punteggi usata nella VQR 2011-2014, l’indicatore che confronta qualità e dimensione viene riscalato verso il basso rispetto alla vecchia VQR. Di quanto? Di un fattore 0,7 che è più o meno proprio quello che ha fatto gridare al miracolo la nostra agenzia di valutazione.

  • agbiuso

    Dicembre 9, 2016

    Gli effetti della disastrosa politica universitaria del governo PD-Nuovo Centrodestra dureranno a lungo,
    Per curarsi dal veleno che è stato immesso nel sistema universitario sarebbe necessaria una rottura politica totale con le maggioranze che hanno sostenuto i governi Berlusconi e Renzi. Speriamo che accada.

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    L’infernale Quinlan: nella Stabilità 2017 una bomba ad orologeria per l’Università
    Di Umberto Izzo, Roars, 8 dicembre 2016

    In uno dei piani sequenza più famosi della storia del cinema, una coppia di innamorati inconsapevoli attraversa il confine fra Messico e Stati Uniti a bordo di una splendida decappottabile anni 50, nella quale una mano furtiva all’inizio della sequenza ha inserito una bomba ad orologeria. Questi celebri 3 minuti di cinema si chiudono col botto di una deflagrazione a campo e un carrello su ciò che resta dell’auto dilaniata dalla bomba. L’immagine cattura bene quello che sta avvenendo mentre si scrive (primo pomeriggio del 7 dicembre), dopo la richiesta di fiducia pronunciata oggi 7 dicembre 2016 dalla Ministra Boschi. Pure noi osserviamo angosciati l’epilogo di un piano sequenza che comincia con una mano sapiente. Quella che ha inserito gli artt. 41, 43, 44, 45 nella legge stabilità. Dove sta il tocco luciferino? Eccolo: se nel corso del 2017 la procedura dei “Ludi dipartimentali” (partorite da una ristretta cerchia di economisti vicini al capo di un governo bocciato dagli italiani) giungerà a compimento, 180 dipartimenti potranno vantare un diritto al premio sanguinosamente conquistato. Impedendo al futuro governo (quale composizione politica esso abbia) di revocare il lascito legislativo di un governo che, sul punto di scomparire, chiede la fiducia anche su questa bomba ad orologeria. Sta ai senatori salvare l’Università italiana dall’Infernale Quinlan governativo!

    Ps: Neanche il tempo di mettere il punto esclamativo, che giunge notizia che il senato (lo si scriva in minuscolo) ha votato la fiducia. Occorrerà ricordarsi di quei 173 Sì (la lista dei nomi è in calce all’articolo).

    […]

    Appendice 1: Cronaca della seduta al Senato

    (QUI IL RESOCONTO STENOGRAFICO):
    Nella discussione sono intervenuti i sen. Laura Bottici, Barbara Lezzi (M5S), Ceroni, Azzollini, Mandelli (FI-PdL), Augello (CoR), Divina, Tosato (LN) e Paola De Pin (GAL).
    Nel merito, le opposizioni hanno osservato che una legge di bilancio infarcita di bonus e priva di copertura finanziaria, lascia un’eredità pesante: azzera l’avanzo primario senza alleviare il disagio sociale e senza rilanciare gli investimenti; disperde le risorse della flessibilità in elargizioni e mance elettorali, che non sono state sufficienti peraltro a ingannare i cittadini nel referendum costituzionale; aumenta di 150 miliardi il debito pubblico e richiederà interventi correttivi in primavera. Rispetto al metodo, le opposizioni hanno rilevato il paradosso di un Governo dimissionario che chiede la fiducia e l’anomalia di un passaggio parlamentare che, impedendo di migliorare la legge di bilancio in seconda lettura, disattende l’indicazione di voto dei cittadini, contrari alla riduzione degli spazi democratici. Le opposizioni, inoltre, hanno colto l’occasione per tracciare un bilancio dei mille giorni del Governo Renzi e per sottolineare la distanza tra la propaganda e la situazione reale del Paese: si chiude oggi la parabola di un Presidente del Consiglio tracotante, provinciale, irresponsabile che, dopo aver scalzato il premier Letta con una congiura di palazzo, ha legato le proprie sorti ad una riforma costituzionale squilibrata e pasticciata, ha creato un caos sulla legge elettorale, ha deciso di tenere il referendum durante le sessione di bilancio e ha annunciato le dimissioni prima di chiudere la manovra finanziaria. Il PD ha la responsabilità di avere assecondato il delirio di onnipotenza di un premier che lascia un Paese in cui la disoccupazione, la povertà, la deidustrializzazione e le disuguaglianze sono aumentate, la situazione bancaria è peggiorata e quella migratoria è fuori controllo.

  • agbiuso

    Dicembre 5, 2016

    Sui liberisti illiberali che ammorbano il Ministero dell’Università e della Ricerca.
    Da leggere integralmente, per amaramente sorridere.

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    ARCIPELAGO ANVUR
    Hasta la victoria siempre Comandante!
    Di Nicola Casagli, Roars, 5 dicembre 2016

    «Seguiremos adelante, como jiunto a ti seguimos, y con Fidel te decimos: Hasta siempre Comandante!» Ci pare giusto dedicare un pensiero al Lider Maximo Fidel Castro, recentemente scomparso. Lo dedichiamo da qui, dall’Università italiana, ultimo baluardo del Comunismo reale, così ridotta dalle troppe riforme promosse da un’élite di economisti liberisti, tanto competenti e capaci da aver prodotto risultati antieconomici e illiberali, oltre che irragionevoli. Nemmeno a Cuba i professori e ricercatori sono valutati con un burocratico sistema a punti da un’Agenzia Ministeriale, come la nostra ANVUR (Agenzia Nazionale per la Vittoria, l’Unità e la Rivoluzione). Nemmeno a Cuba i professori vengono selezionati con commissioni nominate dal Governo, come con le nostre cattedre NATTA (Nucleo Armato di Tutela del Trotskismo Autentico). Nemmeno a Cuba si indicono giochi a premi per la produttività (quelli dei tempi dell’URSS di Stachanov) dei lavoratori o dei loro dipartimenti. Che dire? Questo è il Neoliberismo all’Italiana, concepito dagli Economisti della Bocconi: porta inesorabilmente a inefficienza, miseria, spreco e al Comunismo reale.

  • agbiuso

    Ottobre 25, 2016

    COMUNICATO STAMPA

    I Docenti Universitari “contestano” Cantone
    24 ottobre 2016
    Per chiarimenti e contatti:
    Carlo Ferraro – Politecnico di Torino (334 8883070 oppure 347 8474842 carlo.ferraro@polito.it)
    Paolo D’Achille – Università Roma Tre (333 8999803 paolo.dachille@uniroma3.it)

    Oltre 5800 Docenti Universitari di 88 Università e Istituti di Ricerca hanno scritto una lettera aperta al Dott. Raffaele Cantone in relazione alle sue affermazioni su “Fuga dei cervelli, corruzione e nepotismo nell’Università Italiana”. La lettera, con i nomi dei firmatari è pubblicata all’indirizzo:

    https://sites.google.com/site/controbloccoscatti/home/lettera-a-raffaele-cantone

    Le ragioni della lettera

    I Docenti osservano che quanto segnalato dal Dott. Cantone esiste e va certamente sradicato energicamente. Ma  le affermazioni  di Cantone, provenendo da fonte così autorevole, inducono a pensare che il problema della fuga dei cervelli e quello della difficile situazione dell’Università Italiana risiedano per lo più nel nepotismo e nella corruzione, il che per l’opinione pubblica è fuorviante, sussistendo nell’Università tanti altri gravi problemi che sono alla base di quelli anzidetti, e a cui occorre porre rimedio, e getta anche discredito sulla stragrande maggioranza dei Docenti. Diventa quindi anche un problema di dignità.
     
    La lettera segnala a Cantone che i giovani fuggono all’estero e le Università sono in difficoltà perché sussistono (senza per ora soluzione) almeno altri  9 problemi gravi, oltre a nepotismo e corruzione: precariato, mancanza di posti a concorso (mancano dal 2010 ad oggi oltre 10000 posti all’appello), retribuzioni nettamente più basse che all’estero, blocchi periodici degli stipendi, fondi per la ricerca irrisori, l’assurdità di una ricerca non finanziata ma poi valutata per distribuire le risorse, tanta didattica non valutata, insufficienti borse di studio per gli studenti, un’ANVUR non sempre all’altezza dei propri compiti e spesso vessatoria. Sulla fuga dei cervelli primeggia su tutto la mancanza di posti, per cui anche se non esistessero gli altri otto problemi e non esistessero affatto nepotismo e corruzione, buona parte dei giovani non avrebbe altra scelta che rivolgersi all’estero e l’Università italiana continuerebbe ad essere in crisi.

    L’Università Italiana è già in grave sofferenza, il governo non ascolta le richieste dei Docenti Universitari, sì che la situazione generale è sempre più critica, determinando l’attuale contesto che respinge la gioventù motivata ad entrarvi. Il discredito demotiva i Docenti che lavorano con costanza e dedizione, e che riescono a mantenere alto l’onore della nostra Università, consentendole di essere all’ottavo posto al mondo in termini di ricerca (dati OCSE) e di formare laureati assai apprezzati in tutto il mondo, nonostante che sia fra le meno finanziate. I Docenti Universitari non meritano il discredito generalizzato che oggigiorno ricorre ovunque.

    Le richieste a Cantone

    I Docenti firmatari chiedono a Cantone di riprendere pubblicamente l’argomento (sono insufficienti, e per alcuni versi peggiorative, le precisazioni dell’articolo firmato dallo stesso di Cantone su “la Repubblica” il 7 ottobre 2016) al fine di perfezionare la visione scaturita dalle Sue parole, in modo da evitare che le Sue stesse parole pure involontariamente gettino nuovo discredito sull’Università Italiana.
    Chiedono a Cantone aiuto per contrastare la disistima che tanti spargono nei loro confronti.
    Chiedono ancora a Cantone di segnalare al più presto i casi di nepotismo e corruzione a cui si riferiva, dei quali, evidentemente, è a conoscenza, e si augurano che la Magistratura faccia in fretta il suo corso e punisca in modo esemplare i casi di corruzione o nepotismo, spazzando il campo dalla facile demagogia che, basandosi su tali casi, fa di tutta l’erba un fascio.

  • agbiuso

    Ottobre 16, 2016

    Nonostante i tagli economici alla ricerca e alle assunzioni, l’Università italiana migliora costantemente. Merito nostro, non dei governi.

    (Fonte Scopus tramite Anvur).

  • agbiuso

    Ottobre 12, 2016


    Da Roars: Ecco il decreto “Cattedre Natta”. FQ: «Il governo vuole nominarsi i prof come Mussolini»

    Sul Corriere viene pubblicato il testo del DPCM “Cattedre Natta”: la nomina dei presidenti delle commissioni spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro del MIUR.
    In pratica torna in vigore al Regio Decreto n. 1071 del 20 giugno 1935, abrogato pochi giorni dopo il 25 Aprile 1945.
    Eloquente il titolo della prima pagina del Fatto Quotidiano: “Il governo vuole nominarsi i prof come Mussolini”.
    Nel post i link al Decreto e all’articolo del Fatto Quotidiano.

    Testo del DPCM “Cattedre Natta”

    Fatto Quotidiano: Il governo vuole nominarsi i prof come Mussolini

  • agbiuso

    Ottobre 10, 2016

    Università, le mani della politica sulla ricerca
    di Francesco Sylos Labini

    Qui di seguito una breve guida per orientarsi nelle recenti vicende che riguardano l’università e la ricerca di questo Paese. Si tratta di fatti apparentemente slegati: cercherò di trovare il filo che li unisce.

    Secondo Raffaele Cantone, responsabile dell’Anac, vi è “un grande collegamento, enorme, tra fuga di cervelli e corruzione” tanto che l’università è, più di ogni altro settore dell’amministrazione pubblica, quello in cui c’è il più alto il numero di nepotismo. E questo nonostante la legge Gelmini che era stata varata proprio per “tagliare le unghie ai baroni”.
    In realtà l’agenzia nazionale della valutazione (Anvur) non ha fatto altro che consegnare la guida delle politiche dell’istruzione a una sorta di “comitato di salute pubblica” che in questi anni ha imposto una “rivoluzione dall’alto” della scuola e dell’università dettando l’agenda in fatto di valutazione a governi che hanno rinunciato ad averne una propria. Questo comitato, imponendo una modalità di valutazione sconosciuta sul pianeta Terra, ha di fatto imposto un controllo politico sulla ricerca e l’università. La riforma Gelmini invece di tagliare le unghie ai baroni ha perciò concentrato il potere accademico nelle mani di una piccola élite di nomina politica che ha fatto un pasticcio di dimensioni colossali con la valutazione.

    Bisognerebbe allora riflettere sul fallimento dell’Anvur, ma il governo reputa più semplice trovare la scorciatoia. Il governo sta infatti per varare una “contromisura”: le Cattedre Natta per finanziare la chiamata diretta di 500 docenti scelti senza concorso. Il problema del reclutamento è nella formazione delle commissioni che sceglieranno i magnifici 500. Pare che nel decreto sia previsto che sia il Presidente del Consiglio a nominare i presidenti delle commissioni che a cascata nomineranno i commissari. Il comitato di salute pubblica di nomina politica avrà così un potere ancora più grande di controllo sulle carriere degli accademici e sulla ricerca da loro effettuata. Una situazione di sapore nord-coreana che non si è verificata neppure sotto il fascismo.

    Così mentre una buona parte della classe accademica ha drizzato le orecchie ai richiami delle Cattedre Natta, lo smantellamento del sistema procede a gonfie vele e senza intoppo alcuno. E’ di questi giorni un rapporto dell’Associazione Dottorandi Italiani (Adi) che denuncia il crollo dei posti di dottorato in Italia: se nel 2006 erano 15.733, dieci anni dopo nel 2016 sono diventati 8.737 (-44,5%).
    Eravamo già il fanalino di coda in Europa e abbiamo consolidato il nostro piazzamento nel ranking. Inoltre l’Adi conferma la stima di un elevato tasso di espulsione per il post doc: nei prossimi anni solo il 6,5% di chi attualmente è assegnista di ricerca riuscirà a accedere a un ruolo strutturato. Di fronte a questi numeri cosa fa il governo?

    Il governo pensa a Expo e al progetto Human Technopole che ha generato una valanga di critiche per come è stato gestito (un “bando” con un solo concorrente, l’Istituto Italiano di Tecnologia) anche da parte senatrice Elena Cattaneo. Ma il perché di tutta questa fretta ce lo spiega un articolo di Marco Ponti su Lavoce.info e con la ricerca ha davvero poco a che fare:
    “Ma torniamo al dopo-Expo e alla vicenda dei terreni. Il piano economico iniziale prevedeva che fossero in parte dedicati a un grande parco, in parte edificati a uso privato. Infatti era prevista la rivendita di tali terreni resi edificabili realizzando una rilevante plusvalenza: si parla di un prezzo di alienazione di 300 milioni sui 160 di costo. Costo di acquisto che era risultato rilevantissimo, a favore dei proprietari privati, in relazione al precedente uso agricolo dei terreni stessi (la vicenda fu molto chiacchierata, a suo tempo). Ma se tali soldi fossero stati recuperati con profitto, almeno i contribuenti non sarebbero stati danneggiati, anzi. Tuttavia l’asta andò deserta né, si badi, sembra vi siano state contrattazioni successive al ribasso, al fine di recuperare almeno parte di quei soldi. […] È intervenuto salvificamente il governo, promettendo di realizzarvi, con ingenti investimenti sia iniziali che per l’esercizio, un centro di ricerca dedicato alle scienze per la salute, nominatoHuman Technopole. […] L’operazione in corso di riutilizzazione dell’area Expo suona molto come una accelerazione non del tutto meditata per evitare di rendere clamorosa la mancata, e promessa, vendita dei terreni per recuperare fondi pubblici. Peccato che questa operazione sia fatta spendendone altri”.

    E chi paga le spese? I giovani ricercatori di cui sopra ovviamente che, a parte sparute eccezioni, sono concentrati ad aumentare i proprio indici bibliometrici senza avere una percezione di chi e perché gli sta rubando il futuro e senza avere interesse ad andare oltre la propaganda governativa dei baroni e dei loro figli. In compenso, per non farsi mancare nulla e per aggiungere il danno alla beffa, il governo ha aperto la loro svendita: come spiega Invest in Italy, un opuscolo del Ministero dello Sviluppo Economico scritto per attrarre gli investimenti stranieri, “un ingegnere in Italia guadagna in media 38.500 euro, quando in altri Paesi europei lo stesso profilo ne guadagna mediamente 48.800” dato che “i costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Francia e Germania. Inoltre, la crescita del costo del lavoro è la più bassa rispetto a quelle registrate nell’Eurozona”. Insomma gli stessi argomenti usati da Invest in Albania tanto per mettere in chiaro a chi si punta a fare concorrenza.
    Ma ovviamente lo sviluppo del paese si riprenderà con la vittoria del “Sì” al Referendum Costituzionale così imparano i parrucconi e i gufi universitari: e come no.

    (Fonte: sIl Fatto Quotidiano)

  • agbiuso

    Settembre 11, 2016

    10 domande al governo della Rete29aprile

    Il Ministro per lo Sviluppo Economico ha annunciato a Cernobbio un piano di sviluppo del sistema universitario italiano basato sul finanziamento di 4/5 poli di eccellenza finalizzati a fornire alle aziende migliori strumenti per la competizione tecnologica. Notizie di stampa hanno fornito ulteriori dettagli, indicando come questo sia un piano coordinato al più alto livello governativo, citando la Ministra per l’Università e la Ricerca, ed il Ministro per l’Economia.
    Alla luce di queste informazioni, peraltro coerenti con quanto dichiarato in passato dal Primo Ministro(*), poniamo 10 domande allo scopo di chiarire la politica del governo in materia di ricerca.

    1. Il governo ritiene che lo scopo delle università sia esclusivamente quello di fornire competenze di alta tecnologia alle imprese?

    2. Il governo ritiene che il sistema universitario italiano debba smettere di svolgere ricerca di base, le cui applicazioni industriali saranno disponibili entro decenni ed al costo inevitabile di numerosi fallimenti?

    3. Il governo ritiene che l’insegnamento e la ricerca di materie umanistiche, matematiche, fisiche, sociali, medicali, geologiche, biologiche, psicologiche, giuridiche, ecc., prive di dirette applicazioni tecnologiche di “eccellenza”, vadano eliminate dai programmi di studio?

    4. Il governo ritiene che la crisi delle imprese italiane, laddove presente, sia dovuta alla scarsa collaborazione delle università che non offrono i propri servizi in modo adeguato?

    5. Il governo ritiene che il numero di laureati italiani, al fondo di ogni classifica mondiale, sia eccessivo, e che quindi sia sufficiente avere un ventesimo degli attuali laureati?

    6. Il governo ritiene sia possibile erogare didattica avanzata in assenza di strutture di ricerca, contraddicendo secoli di tradizione universitaria internazionale (e fondata in Italia)?

    7. Il governo ritiene che indicatori basati sulla capacità dei laureati di trovare una occupazione riflettano la qualità dell’ateneo che ha formato lo studente o piuttosto le condizioni economiche del territorio circostante?

    8. Il governo ritiene che mettere l’università al servizio dell’impresa per svolgere ricerca applicata sia un efficace rimedio alla drastica riduzione del finanziamento pubblico alla ricerca operato in questi anni e per il quale siamo già fanalino di coda dei paesi industrializzati?

    9. Il governo ritiene che gli atenei di “eccellenza” useranno i fondi aggiuntivi promessi in modo sicuramente più proficuo per la collettività rispetto ad altre forme di distribuzione, ad esempio sulla progettualità di sviluppo degli atenei?

    10. Il governo ritiene che, contrariamente a secoli di consenso tra gli economisti, la crescita economica di lungo periodo dipenda dalle capacità delle università di adattarsi alle esigenze delle imprese, e non invece dalla capacità delle imprese di cogliere le opportunità offerte dalla ricerca avanzata?

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