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«Notte fredda» / «Fiamma meravigliosa»

«Notte fredda» / «Fiamma meravigliosa»

Il Profumo
di Patrick Süskind
(Das Parfum, Diogenes Verlag AG, 1985)
Trad. di Giovanna Agabio
Longanesi, 2006
Pagine 261

Profumo_1Dentro la storia ma come una densa allegoria antropologica e religiosa.
La vicenda di Jean-Baptiste Grenouille, venuto al mondo nel 1738 nello spazio più maleodorante di Parigi e morto in quello stesso luogo nel 1767, è quella di una creatura, di una entità, nella quale Luce e Tenebra si mescolano a produrre il più mostruoso e il più adorato degli umani, a scatenare un odio furibondo e uno sconfinato amore. «La sua anima non aveva bisogno di nulla» (pag. 26), anima nera nella quale «regnava una notte fredda» (247), in cui trionfo del sé e disprezzo del mondo si coniugano al tocco di una Grazia enigmatica. La Grazia che è la Bellezza.
Jean-Baptiste Grenouille vive solo per la Bellezza, per distillarla dai corpi, per racchiudere e salvare dal tempo i loro odori più fragranti, dolci, esaltanti, in qualche goccia di un profumo trascendente. Quest’uomo è solo olfatto. Non gli interessa vedere, toccare, sentire con le orecchie, gustare con il tatto. Dotato della capacità prodigiosa di distinguere milioni di effluvi e di sentirli a distanze lontanissime, il suo solo interesse sta nell’annusare, nel percepire le esalazioni di ogni cosa, nel cogliere l’essenza olfattiva di tutto. Non solo l’odore delle creature morte fra le quali era nato –nel putrido mercato del Cimetière des Innocents-, non solo quello dei malvagi bambini dell’orfanotrofio o delle pelli dei conciatori sul fiume o l’odore delle essenze del profumiere Baldini presso il quale aveva lavorato come garzone, non il profumo soltanto o il fetore delle cose vive che brulicano nel mondo ma anche quello degli oggetti, «l’odore della seta stirata, ad esempio, […] l’odore di un pezzo di broccato ricamato d’argento, […] l’odore di un pettine di tartaruga» (39).
Tutti gli odori del mondo, in ogni loro declinazione, intensità, direzione, fragranza e puzzo. Ma lui, Grenouille, lui non ha odore. È questo il segreto atroce che lo rende invisibile agli altri e orribile a se stesso. È questa la causa dell’odio che prova verso gli umani. Nel momento del suo trionfo supremo, quando riesce a far sì che la collera, la vendetta, il fiele di coloro ai quali ha ucciso le figlie per trarne il profumo, diventino stupore e venerazione, si trasformino nel puro amore generato da una goccia soltanto del profumo che aveva distillato dalle sue vittime, «in quel momento tutto il disgusto per l’umanità si ridestò in lui e avvelenò il suo trionfo» (244). Quel profumo è capace di tutto e potrebbe dare al suo creatore un potere sugli umani universale e completo, ma neppure quell’aroma trascendente può far sentire a Grenouille il suo proprio odore.
Vicinissimo all’essenza olfattiva delle creature e tuttavia lontanissimo dal comprendere e giustificare la loro esistenza, «era la lontananza dagli uomini a dargli la sensazione della massima libertà», fino a indurlo a trascorrere sette anni (un numero chiaramente simbolico) in una caverna sulla cima di un vulcano spento, il Plomb du Cantal: «Il suo naso lo portò in regioni del paese sempre più isolate, lo allontanò sempre più dagli esseri umani e sempre più lo spinse verso il polo magnetico della solitudine estrema» (124).
Una solitudine che è soprattutto distanza dai corpi, perché al naso di Grenouille la massa degli organismi umani produce solo un fetore più o meno acre e insopportabile e poche sono –invece- le creature pervase di profumo e quindi di innocenza. Ed è quella innocenza che Grenouille vuole possedere o, meglio, riconquistare. Per ottenerla uccide -senza risentimento né odio- ventiquattro ragazze splendenti di bellezza e di fragranza e, alla fine, la più bella fra di loro: Laure Richis. È la goccia del perfetto odore di lei a trasformare la folla che intrisa d’odio aspetta il supplizio di Grenouille in una massa di corpi adoranti e orgasmici, nel miracolo ironico e potente della più grande orgia che si fosse vista da secoli, nelle migliaia di persone che investite dall’aura della sua presenza «copularono in posizioni e accoppiamenti impossibili […] L’aria era greve del sudore dolciastro del piacere e colma delle grida, dei grugniti e dei gemiti delle diecimila belve umane. Era infernale» (243).
Profumo_2Destinato alla Crocifissione, Grenouille si trasforma da mostruoso assassino nell’«innocenza in persona», da abominio dell’umano in Angelo del Signore, «nell’essere più bello, più attraente e perfetto che si potesse immaginare» (240), nel Salvatore stesso per i cristiani, nel Signore delle tenebre per i satanisti, nell’Essere Sublime per i deisti.
Quest’uomo insignificante e potente, questa nullità capace di creare mondi fatti di piacere e di assoluta gioia, si offre alla fine in pasto a un gruppo di malnati e malvissuti, a un’antologia della canaglia umana. Ciascuno di costoro «voleva toccarlo, ognuno voleva una parte di lui, una piccola piuma, un’ala, una scintilla della sua fiamma meravigliosa» (258). L’Angelo sterminatore diventa così una figura eucaristica, che infonde nelle anime di coloro che si sono comunicati alla sua carne -anime fino ad allora intrise di tenebra- «un’ombra di gaiezza», un «barlume di felicità», un sorriso, una fierezza, e soprattutto la sensazione di avere per la prima volta nelle loro vite depravate «compiuto un atto d’amore» (259).
Il Profumo è quello del Paradiso perduto. Il romanzo è una metafora cristologica e gnostica che esprime il meglio di sé nei primi e negli ultimi capitoli, là dove la dimensione simbolica -l’essere letteralmente gettati nel puzzo della materia riscattandosi attraverso il profumo della Luce- diventa struttura narrativa. Nel mezzo c’è l’itinerario dell’anima, delineato con una certa lungaggine e qualche ripetitività. In ogni caso, pur essendo Jean-Baptiste Grenouille una creatura evidentemente ripugnante, rimane nel lettore un’attrazione profonda verso di lui. Ancora un miracolo del suo profumo.

6 commenti

  • agbiuso

    Marzo 21, 2016

    Caro Diego, puoi contraddirmi ogni volta che ti sembra necessario e opportuno!
    La tua bellissima metafora enologica mi onora. E ciò che dici sul rapporto tra il lettore e il libro ha un nome: si chiama ermeneutica.
    Grazie, come sempre.

  • agbiuso

    Marzo 21, 2016

    Caro Pasquale, il disaccordo argomentato e critico è una ricchezza per tutti noi.
    So bene che cosa è diventato il mercato editoriale, so come sia difficile che un vero scrivere vi abiti.
    Anche per questo apprezzo libri e opere in ogni caso intelligenti come il romanzo di Süskind.
    Anche per questo sono un tuo lettore.

  • diego

    Marzo 21, 2016

    Alberto carissimo, contraddire un Maestro mi fa un po’ patire. A me non è piaciuto, nel complesso. L’incipit è meraviglioso, i primi capitoli appassionanti, purtroppo nelle lungaggini centrali mi sono arenato, e lo stesso è accaduto alla mia signora, nonostante che, da brava ligure, considera il non finire un libro un colpevole spreco. Le megnifiche recensioni di Alberto a volte sono un bicchiere di brunello di montalcino versato nel pur onesto tavernello. Quando un lettore è troppo superiore al libro che legge, lo arricchisce a discapito dell’oggettività.

  • Pasquale

    Marzo 20, 2016

    Ho scritto Alberto che mi interrogo. Ho scritto di getto rischiando il disaccordo ed eccolo ed è un bene. Già lo dicemmo. Il film non mi piacque ma non mi dispiacque, un film come tanti. Forse rivedendolo cambierei parere. Per il resto non mi riferivo a quei grandi che citi, ma ai nanetti che ottengono successo oggi con le loro piccole storie. Intendo citare per l’accusa la libraia di Empoli, l’unica, Vuole Faletti? Me lo mandano a bancali. Vuole la Szymborska? Vedo se la trovo da un collega a Firenze.
    Spero che vorrai scusarmi il disaccordo parziale. Un caro saluto. P.

  • agbiuso

    Marzo 20, 2016

    Caro Pasquale, stavolta siamo in clamoroso disaccordo. Vidi il film prima di leggere il romanzo e mi parve bellissimo. Ne scrissi qui: Profumo. Storia di un assassino.
    Ho rivisto il film di recente e confermo quel giudizio di dieci anni fa.

    In generale, non credo che il successo di un’opera tra un ampio pubblico vada sempre a suo demerito. Che cosa dire, ad esempio, di Omero, Shakespeare, Alighieri, tanto per rimanere tra i soliti nomi?
    Süskind (romanzo) e Tykwer (film) non possono naturalmente essere accostati a quelli e ad altri nomi ma hanno creato due opere che -al di là di tutto- accennano a degli elementi profondi della mia filosofia. Ed è di questo che ho cercato di parlare, tramite il libro e anche al di là del libro.

  • Pasquale

    Marzo 20, 2016

    C’è un brutto film, tu sai Alberto, di questo racconto impossibile la cui tentazione è pur tuttavia stata, a mio modo di vedere, quella di avere successo, ovvero il plauso della folla, che è l’atto proprio ai profeti . E lo avuto, con merito per i motivi che bene hai delineato, e con demerito nella misura in cui, un sucesso di questo tipo muove verso la folla del supplizio, che tu ricordi. Cioè verso l’abominio. Peccato mi dico, perché l’opera avrebbe potuto diventare libro per nessuno, in sostituzione, al posto di nessuno intendo dire. Credo come tutti i libri veri, impossibili. Mi interrogo. Un abbraccio. P.

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