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La fragilità umana

Locke
di Steven Knight
USA – Gran Bretagna, 2013
Con Tom Hardy (Ivan Locke)

LockeUn solo attore. Voci che parlano con lui al telefono. Un viaggio di notte in automobile lungo le autostrade intorno a Londra. Nessun morto, nessuna violenza, nessun evento oltre il viaggio stesso. Quasi dall’inizio si sa già tutto. E tuttavia Locke è un thriller. Perché è la lotta di un uomo qualsiasi -un capocantiere- con i propri limiti e con l’ombra del padre.
Ivan Locke, infatti, sta rinunciando al proprio lavoro, sta distruggendo la propria famiglia. Invece di tornarsene a casa la sera prima di una importantissima colata di cemento che costerà milioni di sterline e vedrà coinvolti centinaia di camion per porre le fondamenta di un enorme palazzo -lavoro del quale Locke ha la piena responsabilità tecnica-; invece di correre tra le braccia della moglie e dei due figli che lo aspettano per vedere una partita di calcio e bere birra indossando la maglia della propria squadra; invece di affidarsi alla sicurezza e al premio di una vita scrupolosa e onesta sul lavoro e in famiglia, Locke se ne va verso una clinica di Londra dove una donna con la quale, in una notte di solitudine, ha tradito -prima e unica volta- la moglie, sta per partorire
Perché fa tutto questo? Perché il padre di Locke lo ha abbandonato sin da bambino, è ricomparso ormai vecchio e patetico, è morto disprezzato dal figlio. «I Locke sono state sempre persone di merda ma io ho ripulito il tuo nome» dice Ivan al padre. Padre le cui ossa vorrebbe andare a disseppellire per poter dichiarare: «Impara come si vive».
La valutazione morale di un simile comportamento potrebbe essere la più diversa, in relazione al punto di vista. I due figli e la moglie, ad esempio, non hanno gli stessi diritti di attenzione e di cura che ha la donna incontrata in una sola notte? Ma non è questo ciò che conta. Importa che di continuo, e specialmente all’inizio, Locke ripeta agli altri e a se stesso: «Farò quello che è necessario, non posso fare altro». È questo il cuore del determinismo, che i sostenitori del libero arbitrio non riescono proprio a capire: essere costretti non da altro, nemmeno dalle circostanze, ma dalla propria natura, da se stessi, da ciò che Eraclito chiama il carattere/demone. Lo si vede benissimo nel gesto iniziale, quando a un semaforo/incrocio Ivan alza il braccio in modo teatrale e inserisce la freccia che lo porterà altrove. La decisione di un attimo, non poteva fare altro. Una costrizione che induce Ivan a dipendere ancora una volta e in tutto dal padre che profondamente odia. È infatti il ressentiment che lo spinge, un sentimento che lega totalmente chi lo nutre al proprio nemico, esattamente come se si fosse costretti a obbedire ai suoi ordini.
Ressentiment è un concetto centrale della critica nietzscheana alle morali. E tuttavia questo personaggio, che nel suo contrapporsi al padre conferma del padre tutta la potenza, è a suo modo un oltreuomo. Per la determinazione e la serenità, sì la serenità, con la quale dissolve la propria esistenza pur di poter dire a se stesso «è così che si vive, è così che bisogna vivere». Che sia il punto di vista del regista è forse confermato dal giudizio formulato da uno degli interlocutori telefonici: «Locke è il miglior uomo d’Inghilterra».
Naturalmente tutto questo è potuto diventare un film, un bellissimo e impegnativo film, per merito dell’ottima sceneggiatura e della maestria tecnica di Steven Knight. Una sceneggiatura dove non si dice una parola di troppo e una tecnica cinematografica che trasforma nel corpo a corpo di un uomo con se stesso le luci artificiali, lo scorrere dell’asfalto, le superfici di un’automobile, lo spazio, l’andare.

4 commenti

  • agbiuso

    Settembre 11, 2014

    Il film sarà proiettato domani -12.9.2014- alle 22,40 all’Arena Argentina di Catania, in lingua originale con sottotitoli in italiano, per la rassegna universitaria Learn by Movies.

  • agbiuso

    Settembre 9, 2014

    Una delle definizioni più articolate del ressentiment.
    Con una traduzione un po’ diversa, si trova nell’edizione Adelphi di Umano, troppo umano II, Parte I –Opinioni e sentenze diverse-, aforisma 52, pagina 29.
    Grazie Antonella 🙂

  • Antonella

    Settembre 9, 2014

    « È stolto il far torto. Il torto nostro, quello che abbiamo arrecato, è più pesante da portare del torto altrui, […] bisognerebbe guardarsi dal far torto più ancora che dal subirlo: quest’ultima cosa ha infatti il conforto della buona coscienza, della speranza in una vendetta, nella compassione e nel consenso dei giusti, anzi dell’intera società, che teme chi compie il male. — Non sono pochi gli uomini versati in quel sudicio raggiro di sé stessi consistente nel volgere il proprio torto in torto altrui, […] per potere in tal modo portare molto più facilmente il proprio peso. »
    Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano

  • diego

    Settembre 9, 2014

    grazie Alberto, già ne ero convinto, ora lo sono anche di più, è un film da vedere, assolutamente

    se ci riesco, passo di qui per il mio commento, e spero che anche altri più in gamba di me facciano altrettanto

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