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Per la conoscenza

Nel paragrafo 39 delle lezioni dedicate al Sofista (Marburgo, semestre invernale 1924-1925), Martin Heidegger offre una delle sue più dense definizioni della filosofia, la quale non ha nulla a che vedere con elevazioni spirituali, con soluzioni di angosce psichiche o con miglioramenti del mondo ma è invece il tentativo di una riflessione scientifica che indaghi «la realtà delle cose». «Philosophie» è dunque -come dirà nei §§ 7 e 83 di Essere e tempo– «universale phänomenologische Ontologie» (ontologia universale e fenomenologica). L’unica passione della filosofia è per la conoscenza. Una passione spinoziana. Anche per questo la filosofia non ha alcun bisogno di essere popolarizzata, edulcorata o giustificata. Essa è. E questo basta.

«La filosofia scientifica occidentale, qualora essa abbia salvato, dopo i Greci, la propria autenticità, si è trovata a subire la decisiva influenza del cristianesimo, e precisamente del cristianesimo inteso come religione culturale, potenza insieme mondana e spirituale. […] Ne risultò che l’idea della ricerca fu completamente offuscata da generiche tendenze spirituali e l’idea della filosofia subì l’egemonia di esigenze culturali ben precise, fino a diventare una creazione che soddisfa in senso eccellente tali esigenze e che può a buon diritto essere chiamata ‘filosofia profetica’: essa ha la capacità di prevedere a intermittenza la situazione culturale media prossima ventura e possiede quindi in certi periodi un ruolo dominante.
[…]
A confronto con l’indagine filosofica classica dei Greci, l’esigenza radicale di indagare la realtà delle cose è scomparsa dalla filosofia. Di questo fenomeno di decadenza della filosofia -altri vi scorgono un progresso- è fondamentalmente responsabile il cristianesimo e ciò non deve sorprendere, dal momento che la filosofia è stata associata con il bisogno di elevazione dell’anima. […] È un segnale del fatto che siamo completamente sradicati, che soffriamo di stanchezza del domandare e che in noi si è ormai estinta l’autentica passione della conoscenza. L’altra faccia di tale stanchezza del domandare e di tale esaurimento della passione per il conoscere è nel contempo la tendenza a pretendere dalla filosofia o addirittura dalla scienza qualcosa come un appiglio, a cercare sostegno in essa per l’esistenza spirituale, oppure a congedarla qualora essa non lo conceda. Questa tendenza a cercare rifugio rappresenta un fraintendimento fondamentale dell’indagine filosofica.
[…]
Chi ha compreso questo dialogo [il Sofista], chi si è fatto carico della profonda cogenza che esso comporta, chi si espone a questo dialogo che, in tutta libertà, senza alcun retroterra sistematico e senza alcuna ispirazione si accosta alle cose stesse non ha bisogno di alcuna celebrazione culturale dell’importanza della filosofia».
(Heidegger, Il «Sofista» di Platone, Adelphi, 2013, § 39, pp. 281-284)

 

6 commenti

  • Programmi dell'anno accademico 2016-2017 - agb

    Settembre 5, 2016

    […] fronte; preferibilmente l’edizione curata da Bruno Centrone, Einaudi 2008) Martin Heidegger, Il ‘Sofista’ di Platone, Adelphi 2013, paragrafi 33-80, pp. 259-600 Alberto Giovanni Biuso, Aiòn. Teoria generale del […]

  • Filippo Scuderi

    Gennaio 22, 2014

    Certe volte, cenando con amici e parlando del più e del meno, gli dico che noi siamo il risultato di noi medesimi, come avviene nella tabellina del nove, qualcuno mi risponde; ” perché questo esempio matematico, dove vuoi parare” ribatto che se fai la somma del risultato ; es 9×2=18, 1+8=9; 9×3=27, 2+7=9,ect.ect. quindi tutto porta al nove, paragonando io al nove, e il risultato delle mie azioni la somma, alla fine rispecchio me medesimo, cerco di dare un nesso, che alla fine tutto ciò che facciamo non è altro che un rivedere noi stessi. certamente ci vuole un po’ di fantasia per fare un simile ragionamento, ma vi assicuro che è solo l’inizio di un lungo dibattito, che si prolunga dopo cena, il nostro vivere il quotidiano, le nostre azioni sono sempre lo specchio del nostro io interiore, anche se facciamo finta di non vedere, alla fine i conti che si fanno si fanno con noi stessi.

  • diego

    Gennaio 13, 2014

    grazie Alberto carissimo: ho compreso la differenza fra chi è sostanzialmente un antropologo e chi è invece un «vero» filosofo

  • agbiuso

    Gennaio 13, 2014

    Caro Diego, credo che per la filosofia accada come per la matematica.
    I risultati di questa scienza possono avere e hanno delle enormi conseguenze sulla vita degli esseri umani ma la matematica in quanto tale si occupa dei numeri, delle forme geometriche e delle loro leggi.
    Non a caso Platone -qui semplicemente commentato da Heidegger- istituì un rapporto strettissimo tra la matematica e la filosofia. Per Platone e per Heidegger la filosofia è ontologia. Quanto più sarà rigorosa nell’analisi del suo tema -l’essere- tanto più potrà dire qualcosa anche sulla vita quotidiana degli umani. Ma non deve essere questo il suo obiettivo e il suo senso. I filosofi che tu hai citato -e Spinoza che non hai citato- sono stati capaci di illuminarci sull’ente perché hanno indagato a fondo (in modi certo assai diversi) l’essere.
    In caso contrario, sarebbero stati degli ottimi divulgatori, letterati, giornalisti, esperti di pensiero religioso, economisti, moralisti ma non dei filosofi.

  • diego

    Gennaio 13, 2014

    avrei una domanda, caro Alberto, forse dettata da incompetenza; perché i filosofi allora si interessano delle vicende umane, come hanno fatto Hegel e ancor di più Marx? Perchè si interessano del rapporto fra l’uomo e il suo substrato naturale, come fanno Nietzsche e Shopenhauer? La filosofia è studio del pensiero «di tutti» o è solo il sentiero profondo, austero, ma solitario di Heidegger? Un filosofo come te, che vede il pensiero come evento incardinato totalmente nella corporeità, eppur con non banale acutezza sottratto ad un riduzionismo facile per esser collocato in quel processo temporale, in quell’accadere che non crede più ad un «io» consistente, indaga sulla verità o sull’umano «non essere»? La filosofia, non è dunque indagine senza limite, laddove c’è un qualcosa definibile come pensiero? Scusa le domande, un po’ dilettantesche, ma sono emerse leggendo.

  • Pietro Ingallina

    Gennaio 13, 2014

    [Leggendo The ends of man di Derrida, riflessioni]… Così, la più volte conclamata fine del Pensiero, da la Philosophie c’est moi! di Hegel a vero e proprio leitmotif e genere letterario del Novecento, sembra proprio essere la fine dell’Uomo, vituperato dal Medioevo… è questo Cristianesimo tutto ciò?

    Questo testo di Heidegger deve essere uno strumento davvero interessante, ma attualmente troppo costoso per me! =D
    Un saluto da Varsavia.

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