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I nostri morti e i loro

«I nostri morti». Quali? Le vittime senza numero delle guerre statunitensi in Irak, Libano, Afghanistan? Le centinaia di cadaveri lasciati il 4 settembre dall’aviazione della NATO accanto a una cisterna di benzina? I sei paracadutisti italiani che hanno consapevolmente scelto di dare e rischiare la morte in cambio di un ingaggio di 7.000 euro al mese? Perché i primi non contano e i secondi sì? Forse perché costoro sono «i nostri morti» mentre uomini, bambini, donne sterminati a centinaia di migliaia dagli eserciti occidentali e dalla resistenza locale sono i loro morti? Non è questa la logica arcaica e tribale di ogni conflitto, che l’Europa illuministica, cosmopolita e moderna si illude di aver oltrepassato e che invece ritorna di continuo nella propaganda militarista dei governi di ogni colore? E non è forse un’ipocrisia, un’insensatezza, un ossimoro voler generare «democrazia e libertà» coi bombardamenti, con i carri armati, con uomini di altre religioni, di lontane terre, vestiti come robot da combattimento che entrano nelle case a mostrare il volto più feroce e più impaurito dei ricchi del pianeta? E lo spreco di risorse che in Italia sottrae solo per l’Afghanistan un miliardo di euro alla salute, alla scuola, alla ricerca, alla bellezza e alla pace, arricchendo invece le industrie che producono armi e i conti correnti dei politici che da esse intascano tangenti? A tutto questo ha dato voce stamattina Massimo D’Alema rispondendo così a una domanda del GR3: «Andare via dall’Afghanistan, dal Libano, dal Kosovo? No. Dobbiamo decidere se l’Italia è un Paese importante o se vogliamo andare in serie B». Non dunque per cercare Bin Laden, non per vendicare l’11 settembre (evento per il quale non un solo afghano è stato indagato), non per togliere il burqa alle donne e neppure per il petrolio. È per rimanere “in serie A” tra «i grandi del mondo» che si uccide e si muore, che si moltiplicano i nostri e i loro morti. Politica di potenza, puro imperialismo.

13 commenti

  • Alberto G. Biuso » Più morti degli altri

    Marzo 11, 2012

    […] questi afghani vittime della follia statunitense meriteranno soltanto un trafiletto. Eh sì, «tutti i morti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri». Dato che -diversamente dai cristiani occidentali portatori di civiltà- non credo al valore […]

  • agbiuso

    Ottobre 11, 2011

    Sul perpetuarsi insensato in Afghanistan della guerra, dei lutti, dell’illegalità internazionale, della distruzione, Beppe Grillo ha scritto parole del tutto condivisibili, che invito a leggere.

  • agbiuso

    Settembre 29, 2009

    Leggo da Televideo:

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    29/09/2009 09:07
    Afghanistan, bambino ucciso per errore

    Afghanistan, bambino ucciso per errore Un bambino di 13 anni è stato ucciso per errore da una pattuglia statunitense della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf), in Afghanistan.
    Il bambino stava tornando a casa con la sua bicicletta quando è stato colpito da una pallottola che gli ha traforato la testa.”Il doloroso incidente è dovuto ad un proiettile sparato in aria” ha spiegato un portavoce dell’Isaf che ha espresso le sue condoglianze alla famiglia del bambino che viveva alla periferia del capoluogo di Paktika, Sharan.
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    Un proiettile sparato in aria…Ovvio, il bambino o la sua bici saranno stati alti cinque-sei metri oppure stavano volando. Gli assassini possono permettersi anche il surrealismo, tanto questo non è uno dei “nostri ragazzi” ma soltanto uno dei “loro bambini”. Che cosa ce ne importa?

  • Gianni Carmeli

    Settembre 28, 2009

    sottoscrivo il suo articolo,
    ma le vere ragioni della presenza Italiana in Afghanistan non sono riconducibili alle inattendibili fonti mediatiche ufficiali, le quali, notoriamente, mirano solo al generale consolidamento del patriottismo nazionale sfruttando l’emotività degli incresciosi eventi…

    le vere ragioni della presenza Italiana in Afghanistan non sono ufficialmente pervenute… sono solamente intuibili e presumibilmente complesse, sicuramente note alle caste politiche e finanziarie nazionali e transnazionali che tutelano i nostri interessi ingigantendo l’inestinguibile debito pubblico delle nazioni che presidiano e colonizzano, come insegnano le storiche Federal Reserve e Bank of England e la più recente ma encomiabile European Central Bank o BCE…

    la consapevolezza non nuoce alla salute se si evita la somatizzazione delle angoscie…

  • Omar Forese

    Settembre 23, 2009

    Discutendo in classe con il professore (poichè sono un suo studente) riguardo il lutto nazionale e il minuto di silenzio,il mio primo pensiero è stato volto alla polemica nei confronti nei potenti di oggi: succedono governi,cambiano presidenti in ogni paese,ma la guerra rimane e i soldati non sono che povere (perchè molto probabilmente di povera gente si tratta,che non riuscirebbe a vivere rimanendo nella propria Patria) pedine in una scacchiera comandata da persone con interessi troppo elevati per la gente comune; mi sembrava quindi giusto dedicare un minuto di silenzio ad una vittima del sistema sociale attuale,che come già detto,avrebbe magari avuto difficoltà a vivere in condizioni normali.
    Analizzando più a fondo la situazione(e tralasciando il compianto per delle persone morte che verte su qualsiasi morte di persona),ci si può render conto di come tutti dobbiamo esser coinvolti,dal punto di vista di cittadini italiani – perchè come diceva G.Gaber “io non mi sento italiano,ma per fortuna o purtroppo lo sono” – per svariate questioni.
    Questa fantomatica missione di pace ha degli effetti economici per il nostro paese,e per il mondo occidentale coinvolto nella stessa,non da sottovalutare: i soldati in Afghanistan sono lì per addolcirci la crisi economica; Non fossimo stati in Afghanistan,Irak,Libano,di certo il petrolio e il gas non sarebbero mai arrivati ai dei prezzi,si può dire,calmierati di questi mesi(rispetto ad una condizione normale). Si tratta di una questione di dominio delle risorse energetiche e strategiche planetarie: controllare le risorse allevia la crisi perchè permette di accaparrarsi materie prime ad un prezzo controllato per le aziende,il che si traduce in prezzi meno esosi ed in occupazione più stabile e quindi maggiori investimenti perchè il popolo ha fiducia in un buon esito dell’investimento.
    Come esempio contrario,se il controllo dei pozzi petroliferi fosse sotto Saddam Hussein o chi per esso,l’investimento in un’attività che presuppone l’utilizzo del petrolio sarebbero decisamente inferiori.
    Con questo non giustifico di certo la guerra,ma reputo che chiunque si debba sentire partecipe di ciò,perchè sarebbe ipocrita il comportamento populista in cui si dà poca importanza al sangue versato per i motivi descritti poco fa,e poi uscire e prendere la macchina,con la benzina pagata da quel sangue(sia di civili che si soldati,sia chiaro),senza pensarvici.
    L’ipocrisia fa parte del mondo politico attuale e quindi da lorsignori è un comportamento prevedibile,ma dalla gente comune,sarebbe preferibile che non lo fosse.
    Per di più,quel che di più tragico vi è,è la non-evoluzione che l’uomo sta subendo o per meglio dire attuando: spiegandomi meglio,già Machiavelli alla sua epoca studiando la Storia aveva notato come essa si muovesse secondo delle regole cicliche: la storia è un continuo tentativo di dominare le risorse,invadere i popoli per la ricchezza,il tutto mascherato da religione e dottrine politico-popolari per conquistare la lealtà e il morale del popolo: le crociate,la vis romana,il nazionalsocialismo di Hitler,la fede islamica e la lotta al terrorismo e la diffusione di democrazia ora; è drammatico vedere come l’economia influenzi la storia ma è così da sempre e, in quanto individui interessati al consumo di beni e individui che vivono in una situazione economica variabile,qualsiasi cittadino si deve sentire coinvolto in questa sfera,giusta o sbagliata che sia.
    “Siamo ancora quelli della pietra e della fionda”.

  • agbiuso

    Settembre 22, 2009

    Ricevo da un amico e inserisco qui una pagina di Don Paolo Farinella, parole che condivido per intero.

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    La strage di Kabul e la strage della libertà di stampa
    di Paolo Farinella, prete
    Genova 18 settembre 2009

    I titoli di quasi tutti i giornali, dei tg e dei commentatori sono unanimi: «Strage di Italiani in Afghanistan: 6 militari uccisi». Ecco il modo ideologico di leggere e dare false notizie per vere. La «strage» riguarda 20 afghani e 6 militari, tutti uccisi nello stesso istante e con le stesse modalità; poi vi sono oltre 60 feriti afghani e 4 militari italiani. I feriti italiani sono stati rimpatriati per le cure necessarie, gli afghani sono rimasti per strada e se non interviene Emergency restano lì ad aumentare il numero dei morti afghani.

    A costo di apparire cinico (e non lo sono) non riesco a piangere questi morti «italiani», isolati dal loro contesto reale. Mi dispiace e sono addolorato che qualcuno debba morire così e per le loro famiglie che adesso avranno un vuoto esistenziale e affettivo che nessuno potrà riempire: non le parole d’ordinanza della retorica politica che subito ne ha fatto degli «eroi» in appoggio ad una politica miope, demenziale e incivile che pretendeva di esportare la democrazia con le armi e assicurare la sicurezza seminando morte tra la popolazione inerme afghana. Morti inutili, morti senza senso.
    No! Non ci sto! I soldati morti sapevano che potevano morire (fa parte del loro mestiere), ma sono andati ugualmente per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più. So anche che molti vanno per il brivido della guerra, per dirla alla popolana, per menare le mani e sperimentare armi nuove e di precisione. Dov’è l’eroismo nell’uccidere sistematicamente, per sbaglio o per fuoco amico, civili che a loro volta sono vittime nel loro paese e vittime degli occupanti stranieri?

    Dopo 8 lunghi anni di guerra, quali risultati ha portato la peacekeeping o la peacemaking? Se si chiama «peace» lo sterminato stuolo di mutilati, di affamati, di morti, come si deve chiamare la «guerra» o per dirla alla moderna la «war»? Prima che arrivassero Bush e i suoi valvassini in Afghanistan i talebani erano considerati «occupanti»; ora dopo 8 anni di occupazione occidentale, il popolo tifa per i talebani e potenzia le divisioni tribali che hanno portato ad un aumento di potere dei «signori locali della guerra » che hanno imposto la loro legge, aumentato la coltivazione del papavero e diffuso capillarmente la corruzione.
    Dopo 8 anni di «peacekeeping» l’Afghanistan si trova con un presidente fantoccio, Karzai, corrotto e corruttore, che sta lì perché ha imbrogliato almeno un milione e mezzo di schede elettorali, che per vincere e avere i voti dei capi tribù ha introdotto nel diritto «democratico», difeso dalle armi occidentali, il diritto del marito di stuprare, violentare, picchiare e anche uccidere la moglie e le donne in sua proprietà. E’ questo l’obiettivo per cui sono morti i militari italiani, inglesi, spagnoli, tedeschi, e americani? Ne valeva la pena!
    Sono morti inutili, morti che dovrebbero suscitare vergogna in chi li ha mandati e lì li ha tenuti e anche in coloro che vi sono andati per scelta libera e volontaria per avere uno stipendio proporzionato. No! Non sono eroi, sono vittime come sono vittime i morti afghani, come sono vittime i talebani usati dall’occidente quando venivano comodo contro i Russi e da questi, a loro volta, armati quando servivano alla bisogna; mentre ora i beniamini di ieri sono i nemici di tutti.

    I funerali di Stato di questi sventurati morti per nulla o per la vanagloria dei loro fantocci governanti, come i 19 morti di Nassiriya, sono a mio avviso l’appariscenza di una retorica vuota e colpevole perché incapace di fare politica e politica di pace. Il potere assatanato ha bisogno di carne da macello che poi copre con gli onori di Sato: tanto pagano sempre i cittadini «sovrani» che non contano nulla.
    La strage di Kabul, in Italia, ha interrotto «la democrazia», facendo spostare la manifestazione a favore della libertà di stampa di sabato 19 settembre 2009 ad altra data. E’ il segno della mistificazione. Queste morti sono funzionali al governo che così raffredda la piazza, allontana un colpo di maglio sferrato dalla società e il presidente del consiglio, l’amico di Bush e Putin, riprende la scena, mostrandosi afflitto e piangente ai funerali «dei nostri ragazzi», espressione orrenda che nega la verità dei fatti e conferma le ragioni che vi stanno dietro: questi «ragazzi» sono militari di carriera che sono andati da sé in un Paese in guerra e sono andati armati. Non sono «ragazzi», sono consapevoli e responsabili delle loro scelte e delle loro morti.
    Spero che i figli e le famiglie non me ne abbiano perché il modo migliore per onorare i morti è continuare a garantire i diritti di tutti, non solo quelli di qualcuno, creando le condizioni perché questi diritti possono essere esercitati. Un pilastro della democrazia è la libertà di stampa e la libertà totale di criticare il governo. La «strage» di Kabul ha colpito in Italia, a 4.000 km di distanza, uccidendo insieme agli innocenti Afghani e ai soldati italiani, quella democrazia che solo un pazzo poteva pensare di esportare. In compenso si è saputo uccidere la democrazia italiana: chi ha deciso di spostare la manifestazione del 19 settembre è diventato complice della strage di Kabul, estendendola fino a noi. Ora la guerra è totale.

    Poveri morti, diventati la foglia di fico di un potere inverecondo che si nutre solo di rappresentazione vacua e vuota, effimera e assassina. No! non faccio parte del coro.
    Paolo Farinella, prete
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  • agbiuso

    Settembre 21, 2009

    Grazie, Marco, per questa tua testimonianza di docente e di conoscitore delle realtà africane e islamiche.
    Condivido quasi tutto ciò che hai scritto, in particolare l’aver ricordato che già per i sovietici (che dicevan pure loro di voler portare “socialismo e sviluppo”) l’Afghanistan si rivelò una conquista effimera, foriera di lutti, e l’amara ma realistica conclusione.

  • marco de paoli

    Settembre 21, 2009

    Sono un docente di Liceo, oltretutto di Filosofia ma anche di Storia, e quindi quando questa mattina a scuola è stato richiesto il minuto di silenzio per i sei paracadutisti italiani morti a Kabul mi sono sentito ancora più coinvolto nella cosa, poiché anche questa è storia – storia contemporanea. Non potevo limitarmi all’osservanza del “rito” richiesto, ma mi ponevo il problema di quanto e cosa sappiano gli studenti di questa guerra.
    Uno studente, all’avviso dato per altoparlante in ogni aula, sbotta: “non esiste che si faccia il minuto di silenzio, non è cosa che mi tocca, non mi riguarda, io non ho nessun parente o amico in Afghanistan, io faccio il minuto di silenzio per un mio amico morto in un incidente stradale”; e poi: “non sono eroi, si trattava di soldati la cui libera scelta ben remunerata comportava il rischio di morte, perché non fare un minuto di silenzio per le vittime del lavoro?”. Alcuni altri studenti, seppur in termini diversi, ribadiscono di non condividere la retorica imperante e di avere dubbi su tutta la cosa.
    Provo un certo imbarazzo, perché come docente sarei tenuto a fare rispettare la “consegna” ricevuta a meno di non inscenare (nel caso non vi credessi) plateali ribellioni, e perché (al di là delle frasi volutamente provocatorie) credo di capire la sostanza del discorso. Dico che ci riguarda e ci tocca eccome il fatto che l’Italia sia in guerra, che molti italiani hanno parenti e amici in questa guerra e che se anche le bombe ora non ci toccano direttamente potrebbero arrivarci domani, e comunque un minuto di silenzio come rispetto per questi soldati morti, anche se non esteso a tutte le vittime innumerevoli del mondo, non è cosa cattiva, aggiungendo però che chi non vi crede è libero di lasciare l’aula per un minuto (come infatti farà il primo studente).
    Poi però, come ragionando fra me stesso in classe, aggiungo alcune considerazioni su questa guerra. E mi dico, e dico, sviluppando il discorso: ovviamente, non si esporta con le armi la “democrazia” (ammesso che quella occidentale sia una autentica democrazia e non una plutocrazia, per quanto io continui a preferirla a regimi la cui natura ho potuto vedere direttamente vivendo anni in Africa). Chi dice che questa guerra sia fatta per il nobile scopo di esportare la democrazia come intesa in occidente in paesi che ne sono privi, o è un ingenuo o è in malafede. Non è dunque una missione di pace (a meno che non si intenda per pace la pax romana, basata sul silenzio dei vinti) ma è, appunto, una guerra, una guerra che (se arriveranno i rinforzi americani) vedrà quasi 100.000 soldati impegnati. E allora qual è il motivo di questa guerra? Non credo che siano (almeno non in primo luogo) gli oleodotti afghani, a meno di non vedere erroneamente le guerre come causate solo ed unicamente da motivi strettamente economici, peraltro surclassati dall’enorme dispendio di denaro che una guerra perdurante dal 2001 comporta.
    Si dice dunque: “in Afhganistan si combatte il terrorismo, si combattono le formazioni militari e le cellule di Al Qaeda che in Afhganistan hanno trovato rifugio, ospitalità, finanziamenti, connivenze. Da queste centrali è partito l’attacco alle due torri dell’11 settembre 2001, e quant’altri (di cui solo alcuni sventati) hanno colpito il mondo occidentale. In Afghanistan facciano quel che vogliono, applichino il taglione e lo sgozzamento dei rei, si sterminino reciprocamente, sono cose loro in cui noi non abbiamo il diritto di entrare. Ma se da lì parte l’integralismo fanatico e integralista che ha colpito e può colpire l’occidente e dunque noi, allora la cosa ci riguarda. Abbiamo il diritto di difendere la nostra sicurezza”.
    Si potrebbe a questo obiettare che la frattura è a monte, perché evidentemente vi sarà pur un motivo per cui gli Stati Uniti hanno raccolto tanto odio nel mondo islamico, fino alle feste di piazza alla notizia dell’attentato alle due torri. E dunque forse il Congresso americano dovrebbe rivedere la propria politica, non fosse altro che per la sua stessa sicurezza, e gli alleati occidentali dovrebbero andare cauti prima di imbarcarsi nel mondo al seguito americano. Ma, ancor più, appare chiaro il sostanziale equivoco di base: l’idea, già smentita da M. Foucault, che il potere (qualunque potere, dunque anche quello di Al Qaeda) abbia un centro preciso e ben localizzabile, magari nelle caverne e sui monti afghani. Ora, può essere benissimo che i talebani – la cui visione del mondo è da me aborrita -, o alcuni di essi, abbiano avuto contatti (ora sicuramente sì!) con Al Qaeda, pur senza dimenticare che Bin Laden prima delle due torri non era un ricercato internazionale e quindi poteva legittimamente vivere in Afhganistan. Ma Al Qaeda è diffusa trasversalmente in tutto il mondo, arabo e occidentale (quante cellule di Al Qaeda sono state scoperte a Milano e altrove in Italia, financo in procinto di attentati sventati all’ultimo?). E allora cosa si fa? La guerra a tutto il mondo?
    La si è fatta in Iraq, ove il massacratore di curdi Saddam Hussein è stato impiccato (come se Bismarck avesse fatto impiccare Napoleone III dopo Sedan!) e al suo posto è stato installato un governo iracheno filoamericano che però – nonostante anni di occupazione militare occidentale a suo sostegno – fatica a mantenere il potere. Eppure, nessuna prova di effettivi e perduranti collegamenti fra il dittatore iracheno e il terrorismo di Al Qaeda è mai stata trovata (anzi, a quanto sembra sono risultate prove di dissensi e divergenze donde la reciproca lontananza); e parimenti nessuna arma di massa o nucleare – di cui l’Iraq, secondo le accuse, sarebbe stato pieno – è stata trovata (alcuni traggono da ciò un rinnovato motivo: il fatto che quelle armi non siano state trovate non dimostra che non vi fossero ma semmai che fossero ben nascoste. Il che ricorda molto la barzelletta: hai mai visto un elefante nascosto dietro una fragola? No. Si nasconde bene, nevvero?). E però per intanto guerra è stata fatta, col suo carico di bombardamenti, distruzioni e sterminio.
    Poi, si è detto: bisogna impedire ai fondamentalisti islamici che hanno vinto le elezioni in Algeria di governare, perché sai quanti attentati farebbero in occidente. E così si è fatto. Poi si è detto: bisogna impedire alle coorti islamiche di comandare in Somalia, anche se fossero volute dalla popolazione, perché per l’occidente sarebbe la fine. E così si è invasa la Somalia (gli Stati Uniti hanno delegato all’uopo l’Etiopia da sempre in conflitto per motivi territoriali con la Somalia), difendendo e imponendo un governo filooccidentale e riducendola ad un cumulo di macerie (c’è ancora una casa in piedi a Mogadiscio? Certi articoli comparsi sulla stampa francese sono impressionanti).
    Ma il fatto è che, come si diceva, le cellule di Al Qaeda sono sparse ovunque nel mondo: Afghanistan, Iraq, Somalia, Yemen, Siria, Arabia Saudita (alla cui corte reale è o era fino a ieri vicinissima la potente famiglia Bin Laden), Italia, Inghilterra etc. Nei paesi islamici queste cellule non sono necessariamente protette dai governi arabi, che per lo più le vedono come una pericolosa mina vagante foriera di disastri, bensì sono semplicemente diffuse endemicamente e capillarmente, e anche il taxista di Damasco potrebbe essere un finanziatore occulto di Al Qaeda. E allora nuovamente la domanda è: cosa si fa? La guerra a tutto il mondo? Bombardiamo Milano, Damasco, Sanaa? Per quanto riguarda l’Afghanistan, come l’Iraq, occorre comprendere questo: questi due paesi sono occupati dal 2001, da 8 anni. L’occupazione militare occidentale su suolo sovrano straniero dura da otto anni. E durerà per sempre, finché quella occupazione perdurerà. Perché, alla fin fine, è stato detto e non solo da Al Qaeda: combatteremo sempre finché il nostro suolo non sarà libero dall’occupazione militare straniera. Esattamente come hanno fatto contro l’occupazione sovietica, pur dovuta ad altre cause, dove, alla fine, la resistenza afghana ha vinto. Alla fin fine, sembra che la politica occidentale abbia prodotto un solo risultato: diffondere vieppiù il messaggio di Al Qaeda nel mondo arabo.
    Il che, e concludo, aumenta la tristezza per i nostri morti.

  • agbiuso

    Settembre 21, 2009

    Quando ci si chiede come fu possibile che tra il 1914 e il 1915 interi popoli andassero baldanzosi verso il baratro; quando ci si stupisce del “maggio radioso” che vide le piazze italiane piene di interventisti; quando si pensa con sconcerto ai Partiti Socialisti di tutta Europa e ai loro deputati che -tranne pochissime eccezioni- votarono nelle aule parlamentari a favore della guerra…basterebbe pensare al sostegno che partiti e cittadini italiani “di sinistra” danno oggi alle guerre decise dai loro governi. E sì che nel frattempo è stato approvato l’articolo 11 della Costituzione!
    Insomma, è il tipico e anglosassone «Right or wrong, it’s my country». Ma se tale principio vale per gli italiani o per gli statunitensi, dovrebbe valere anche per i tedeschi degli anni Trenta del secolo scorso, no? Che invece vengono condannati e ritenuti complici della barbarie. Al governo era salito il nazionalsocialismo ma era pur sempre il loro country, right or wrong che fosse…

  • Enrico Galavotti

    Settembre 20, 2009

    Io risparmierò la facile demagogia quando tu risparmierai il facile pietismo.
    Anche La Russa l’ha detto: Siamo in guerra in Afghanistan. Esiste un’insorgenza popolare. Più aumentiamo l’efficacia dei nostri mezzi, più quelli aumentano la potenza delle loro bombe.
    Ci sono altri modi per aiutare un paese, che non quello di mandare i militari.
    Siamo troppo dipendenti dagli americani, che in tutti questi anni sono riusciti soltanto a far aumentare il traffico di droga di questo paese. Un paese che interessa loro solo per controllare Cina e Russia.

  • Alessandro Rabbone

    Settembre 20, 2009

    Riporto testualmente il post scriptum di Scalfari sulla Repubblica di oggi:

    Sul Foglio di ieri sera ho letto la rubrica di ‘Andrea’s version’ […] Fa l’elenco dei sei paracadutisti caduti a Kabul, tutti nati nelle regioni del sud e del Centro d’Italia e così conclude: ‘Che c… gliene frega alla Lega d’una questione squisitamente meridionale?’

    Questa domanda sui “nostri morti o i loro” è il puntuale rovescio della medaglia…
    Non so chi siano i morti vostri, ma questi sei ragazzi li sento come i ‘miei’ morti. Perché sono e mi sento italiano; perché a Kabul ce li ha mandati il paese in cui vivo e lavoro, alla cui costruzione e al cui sviluppo partecipo ogni giorno, nel bene e nel male, e del cui benessere traggo anche vantaggio.
    La morte violenta di un essere umano è sempre un evento terribile in tutti i casi. Ma questi sei soldati sono morti perché erano là anche a nome mio.
    Si può discutere del perché e del per come l’Italia e la Nato siano in Afghanistan, se ci stiano per mantenere la pace o per fare la guerra, ma, per favore, risparmiamo le troppo facili demagogie.
    E poi non parliamo di cose di cui non sappiamo… La mancanza di lavoro e la miseria può anche spingere qualcuno alla vita militare, ma non è detto che tra i giovani sia sparito del tutto il desiderio di servire il proprio paese facendo il proprio dovere, anche se, mi rendo conto, questo possa sembrare incomprensibile ad alcuni…

  • Enrico Galavotti

    Settembre 20, 2009

    La cosa che mi fa più spavento è la convinzione dei familiari di aver avuto a che fare con eroi, martiri della patria, difensori della democrazia fino al sacrificio di sé… Io capisco che a certe frasi si sia costretti in qualche modo dalle circostanze (non ultima quella di poter beneficiare di un risarcimento statale), e capisco anche che a certe professioni la miseria spinga assai più della vocazione, ma come è possibile non rendersi conto che questi poveri disgraziati non sono che pedine in mano a gente senza scrupoli, che sta giocando a Risiko, che vuol far soldi come al Monopoli, che aspira a far Guerre stellari… I familiari stanno perdendo una grande occasione per mandare in malora chi viola l’art 11 della nostra Costituzione che vieta l’uso della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

  • Augusto Cavadi

    Settembre 20, 2009

    Come non concordare, caro Alberto, con queste tue considerazioni? La singola dichiarazione di D’Alema potrebbe essere anche una battuta troppo sintetica, ma purtroppo va letta alla luce delle opzioni politiche dello stesso quando era a capo del governo.

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